· Città del Vaticano ·

Il cardinale Semeraro in rappresentanza del Papa ha beatificato in Slovacchia il seminarista Ján Havlík

Il dono e il perdono

 Il  dono e il perdono  QUO-196
31 agosto 2024

«Nei gesti del dono e del perdono» Ján Havlík visse la sua vocazione di «fedele discepolo del Signore Gesù, al quale offrì generosamente la vita, perdonando i persecutori». In queste parole il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, ha sintetizzato la testimonianza del giovane seminarista della congregazione della Missione (vincenziani) martire della fede in Slovacchia nel 1965. In rappresentanza di Papa Francesco, il porporato ha presieduto questa mattina, presso la basilica dei Sette Dolori della Vergine Maria, a Šaštin, il rito di beatificazione, pronunciando l’omelia che pubblichiamo di seguito.

Durante il rito di beatificazione celebrato all’inizio di questa santa liturgia e poi nell’ascolto della Parola di Dio, mi è risuonata nella memoria l’espressione del Prefazio dei Martiri, che dice: «Sei tu, o Padre, che riveli nei deboli la tua potenza e doni agli inermi la forza del martirio». Questo, che vale per tutti i martiri, è particolarmente evidente nel beato Ján. Di lui una testimonianza dice che era persona equilibrata, gioiosa, allegra in compagnia, aperta e attenta ai bisogni degli altri; dopo il suo arresto, però, e poi progressivamente le sue condizioni di salute ebbero un progressivo degrado. Questo, sia a motivo del lavoro duro e pesante cui fu sottoposto, sia del persistente isolamento, dei gravi maltrattamenti e delle molte torture che subì. Morì tre anni dopo essere stato rilasciato, in un totale abbandono alla volontà di Dio e perdonando ai suoi persecutori. «Sei tu, o Padre, che riveli nei deboli la tua potenza e doni agli inermi la forza del martirio».

Nella prima lettura abbiamo udito le parole dell’apostolo Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm 8, 35). È l’amore di Cristo la forza che ci fa superare la debolezza, l’energia che ci fa sorpassare la paura, la luce che ci fa sconfiggere le tenebre. Sant’Agostino esclamava: «Ecco grazie a chi hai combattuto, ecco grazie a chi hai faticato, ecco grazie a chi non sei venuto meno, ecco grazie a chi hai vinto» (Serm. 297, 4, 6: pl 38, 1362). E in un’altra occasione diceva: «È nella speranza che un martire può ripetere le parole di san Paolo. La speranza, infatti, dà conforto lungo la via. Il viandante, quando si affatica nel cammino, sopporta la stanchezza appunto perché spera di raggiungere la mèta. Strappagli la speranza di giungervi e immediatamente crollano le possibilità di andare avanti» (Serm. 158, 8: pl 38, 866).

Ciò che intendo sottolineare, sorelle e fratelli carissimi, è che il beato Ján Havlík è stato un uomo di speranza e lo è stato fin dal principio. È stata la virtù della speranza quella che ha fatto crescere e ha sostenuto la sua vocazione. Segno di speranza, infatti, è già la scelta di essere discepolo di san Vincenzo de’ Paoli. Questo santo, infatti, è nome di speranza per i poveri, per i sofferenti, per gli abbandonati. Egli diceva che occorre «imitare la luce del sole che illumina e riscalda e, sebbene passi sopra cose immonde, nonostante questo non si sporca» (Regole ai Missionari ix, 2). Il nostro beato conosceva certamente queste parole ed egli è stato davvero un raggio di sole per quanti lo incontravano. «Era straordinariamente cordiale — ha dichiarato una testimone. — Aveva dentro di sé una gioia silenziosa... Si vedeva che irradiava una profonda vita spirituale». In un’altra deposizione si legge: «L’amore per il prossimo è un aspetto che definirei come caratteristica peculiare della sua personalità. Ján manifestava nella maniera più intensa possibile la propria profondità spirituale nella condivisione della sofferenza, nel motivare gli altri alla speranza pur vivendo molte difficoltà».

Ci sono note le ragioni per le quali fu isolato, sottoposto a disumani lavori, a durissimi interrogatori, a torture fisiche e psicologiche. Non fu l’unico. Nella Positio messa a punto per la causa sul martirio è stato ricordato che nella prigionia il nostro beato incontrò il sacerdote salesiano Titus Zeman, anch’egli beatificato nel 2017. Fu vittima di un regime che voleva distruggere il fenomeno religioso e in particolare la Chiesa cattolica e i suoi ministri. Nelle testimonianze si dice pure che il nostro beato durante la prigionia ricopiò di notte, scrivendo con una matita e facendone copie anche per altri, l’Umanesimo integrale di Jacques Maritain, un filosofo francese che Paolo vi descrisse «maestro nell’arte di pensare, di vivere e di pregare». Circa 350 pagine! Mi sono chiesto perché mai egli si sia sottoposto a un lavoro così faticoso e anche rischioso. Ho, dunque, trovato in quell’opera pagine che descrivono la situazione che Ján Havlík stava vivendo. La verità — vi si legge — è che si tratta di una persecuzione mascherata; in realtà è una lotta contro Dio, di sterminio della religione lavoro di distruzione spirituale. L’essenziale è di tener prigioniera la parola di Dio (cfr. ed. it. Borla, Torino 1963, p. 129). A tutto questo il nostro beato oppose la fedeltà a Dio, la fedeltà alla propria vocazione, alla propria scelta di carità verso il prossimo. Perseverò nel cammino vocazione anche durante la crudele prigionia, ha dichiarato Papa Francesco nella lettera apostolica per la beatificazione.

Questo modello di fedeltà oggi è ufficialmente proposto certo alla Chiesa slovacca, ma pure a tutti i cristiani e, vorrei aggiungere, a tutti coloro che operano a favore della dignità umana e per la libertà di coscienza. È qui l’attualità di questa beatificazione, poiché in molti casi e pur in contesti diversi è difficile, talvolta eroico, rimanere fedeli a Cristo. Rimangono valide le parole di Gesù, udite durante la proclamazione del Vangelo: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9, 24). Spiegava san Gregorio Magno: «È come se si dicesse al contadino: se conservi per te il grano lo perdi; se, invece, lo semini, lo fai rinnovare e crescere. Chi infatti non sa che, quando viene seminato, il grano muore alla vista e cade nel terreno? Ma lì dove nella terra marcisce, lì rinverdisce e si rinnova. Così accade pure nei tempi della Chiesa: c’è il tempo della persecuzione e quello della pace. Il tempo della persecuzione è quello in cui si perde la vita» (cfr. Homiliae in Evangelia, 32, 4: pl 76, 1235).

Gesù, però, completa dicendo: «chi perderà la propria vita per me, la salverà». È stata molto presto la convinzione di quanti conoscevano Ján Havlík e la fama del suo martirio si è ben presto estesa anche oltre i confini territoriali. Oggi la Chiesa lo riconosce e lo ha confermato poco fa con le parole del Papa: Ján Havlík «fu fedele discepolo del Signore Gesù, al quale offrì generosamente la vita, perdonando i persecutori». Nei gesti del dono e del perdono egli è pure somigliante a Cristo Gesù, benedetto nei secoli. Amen.