«Spero che mi ricorderanno come un uomo positivo». Se qualcuno aveva dei dubbi in passato, ora non può che ammetterlo: Sven-Göran Eriksson era un uomo positivo. Il suo messaggio d’addio è forte, diretto e forse difficile da comprendere. Sono le parole di un uomo che, guardandosi allo specchio, riconosce di essere giunto alla fine di un cammino. O al triplice fischio di una partita, per rimanere in tema. Eriksson era un maestro di calcio, e il suo ringraziamento a «allenatori, giocatori e pubblico» dimostra come abbia vissuto a 360 gradi questo sport. Un esempio da seguire, come chi sa cadere e rialzarsi. Il sogno di diventare calciatore, stroncato a 27 anni da un infortunio al ginocchio, non lo ha fatto desistere. Anzi, lo ha spinto a diventare uno dei migliori allenatori in circolazione. Cinquantatré anni nel mondo del calcio, di cui 42 da allenatore. Diverse esperienze in Italia, tra cui Roma, Sampdoria e Lazio, di cui ha scritto la storia. Primo allenatore non britannico a guidare la Nazionale inglese: lo è stato dal 2001 al 2006.
Il 26 agosto Eriksson è venuto a mancare. Pochi giorni prima era tornato al centro dell’attenzione con le sue ultime parole estrapolate da un documentario prossimo all’uscita dal titolo “Sven”: «Ho avuto una bella vita, sì. Penso che tutti noi abbiamo paura del giorno in cui moriremo. Ma la vita riguarda anche la morte. Dovete imparare ad accettarla» è il messaggio di speranza che ha lanciato. «È stato fantastico. Prendetevi cura di voi stessi, prendetevi cura della vostra vita e vivetela. Fino alla fine», è quello dell’addio. È proprio vero che la vita è un “ludus”, un gioco. E come tutti i giochi, prima o poi finisce. Per chi crede è un preludio, il gioco prima del grande gioco eterno. Qui ci fermiamo, ricordando la sua «ricerca continua» di qualcosa «più grande dell’uomo», come raccontò al nostro giornale diverso tempo fa. Certo si può dire che onorare la partita è il compito di chi la disputa e l’affetto da lui ricevuto nelle ore successive alla notizia della sua morte certifica la sua vittoria al fischio finale.
di Matteo Frascadore