Mercoledì 28 a Parigi iniziano le Paralimpiadi. La “notizia” è che in Vaticano si svolsero — tra il 1905 e il 1908 — “campionati mondiali” di atletica con 2.000 partecipanti, anche con disabilità fisiche. Quarant’anni prima dell’avvio del movimento paralimpico, che ha preso le mosse dalle macerie della seconda guerra mondiale.
Un progetto vaticano inclusivo, concreto, rilanciato oggi attraverso Athletica Vaticana, l’associazione polisportiva ufficiale della Santa Sede: più di un secolo dopo quelle gare, il primo passo di Athletica Vaticana — la “squadra del Papa” — è stato proprio aprire la sezione paralimpica e firmare un protocollo d’intesa con la Federazione italiana sport paralimpici e sperimentali (Fispes), nell’ambito del Comitato italiano paralimpico.
Nel settembre 1908, in Vaticano, c’erano atleti amputati: Baldoni gareggiava nella velocità (vittoria irlandese, per la cronaca). C’erano atleti sordi e, nel salto in alto, 9 giovani non vedenti dell’Istituto Sant’Alessio. Con il vincitore, Cittadini (capace di saltare 1 metro e 10 centimetri), intervistato dal cronista de «L’Osservatore Romano».
Forse le Paralimpiadi sono nate proprio nel Cortile vaticano del Belvedere, trasformato in straordinaria pista di atletica, davanti a Papa san Pio x e al cardinale segretario di Stato Rafael Merry del Val. E a chi gli diceva «dove andremo a finire?» — vedendo atleti correre nei Giardini vaticani — san Pio x ebbe a rispondere in veneziano: «Caro elo, in paradiso!».
«L’Osservatore Romano» nel 1908 seguì quelle gare internazionali di atletica (già lo aveva fatto nella prima edizione, nell’ottobre 1905, che si svolse anche nel Cortile di San Damaso) quasi come fosse... «La Gazzetta dello sport»: classifiche, commenti, interviste e persino schede tecniche sull’équipe medica del Fatebenefratelli (con tanto di diagnosi degli infortunati), le note di servizio per i 2.000 atleti e per Guardia svizzera e Gendarmeria che si alternavano nell’accogliere gli sportivi, anche con le loro bande musicali, fino a fornire informazioni al Portone di Bronzo quando alcune gare vennero rimandate per pioggia. E le parole del Papa, con tanto di foto, in prima pagina.
Come al tempo delle gare inclusive sostenute da san Pio x , anche oggi il movimento paralimpico segna, giorno dopo giorno, passi in avanti nella promozione di una diversa percezione della disabilità. La sempre più ampia copertura mediatica delle manifestazioni sportive paralimpiche favorisce una nuova consapevolezza e stimola riflessioni preziosissime sia sul ruolo sociale dello sport sia sul concetto stesso di “abilità”. Le Paralimpiadi che tra due giorni si aprono a Parigi sono l’apice di questo movimento che, appunto, non è solo un fatto sportivo.
Scrive Papa Francesco nella prefazione del libro Giochi di pace. L’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi, pubblicato a cura proprio di Athletica Vaticana: «Penso alle atlete e agli atleti con disabilità. Sono sempre sbalordito guardando le loro prestazioni e ascoltando le loro parole. L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che persone — pur fortemente ferite nella vita — riescono a raggiungere quando sono messe nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita. Vedere le abilità di una persona paralimpica di alto livello porta inevitabilmente a restare meravigliati. Con lo sport si può — si deve — coltivare la consapevolezza di cambiare la percezione della disabilità nella quotidianità di una famiglia, di una scuola, di un posto di lavoro».
Sì, non solo nello sport — che, però, aiuta per la sua capacità di comunicare e suscitare emozioni — le persone con disabilità vanno messe — per un fatto di giustizia — nelle condizioni di esprimere ciò che possono fare. Creando pari opportunità. Costatando consapevolmente i limiti della disabilità (che ci sono), ma guardando anche l’enorme potenzialità che ciascuno può esprimere. Se ne ha la possibilità.
Recuperando anche il concetto sportivo dell’assist declinato in positivo: l’assist-enzialismo dovrebbe essere quell’esperienza di persone che si aiutano l’una con l’altra. È un po’ folle pensare di cambiare cultura e mentalità radicate assai poco inclusive attraverso (anche) lo sport paralimpico? Forse, ma senza quella sana follia Alex Zanardi non sarebbe diventato un contagioso “incoraggiatore” di “disperati” — sì, letteralmente — e Bebe Vio sarebbe rimasta a piangersi addosso in un letto, senza braccia e senza gambe.
di Giampaolo Mattei