· Città del Vaticano ·

A partire da una rilettura di Jürgen Moltmann

Pellegrini di una speranza ecumenica

 Pellegrini  di una speranza  ecumenica  QUO-186
20 agosto 2024

Ci stiamo avvicinando all’inizio del Giubileo ordinario indetto da Papa Francesco per il 2025. Questo pellegrinare pieno di speranza e di luce rappresenterà una sfida ecumenica da una prospettiva ecclesiale, politica, umana e sociale. Da un punto di vista cristiano protestante in questa tematica appare indispensabile una rilettura dell’opera classica di Jürgen Moltmann, Teologia della speranza (1970). Il mio intento qui è di riflettere su alcuni aspetti fondanti di questo inesauribile tema partendo da detta opera scritta sessant’anni fa da questo teologo riformato, morto lo scorso 3 giugno.

Riflettendo sul ruolo della speranza escatologica della cristianità come comunità ecumenica all’interno della società, il teologo tedesco afferma: «Il dominio venturo del Cristo risorto è qualcosa che non si può solo sperare e attendere. Questa speranza e questa attesa imprimono il loro sigillo anche sulla vita, sull’agire e sul soffrire nella storia della società. Perciò missione non significa soltanto diffondere la fede e la speranza, ma anche modificare storicamente la vita». Tale sfida missionaria della Chiesa di modificare, di cambiare forma e non assumere la forma di un mondo, dove la Chiesa di Cristo deve presentarsi profeticamente come antisistemica dal punto di vista sociale, umano e culturale, è centrale nel suo pensiero. Tale cambiamento di forma o modello per l’autore affonda le sue radici nelle Scritture paoline: «Non prendete come modello questo mondo. Al contrario, trasformatevi interiormente rinnovando la vostra mentalità, affinché possiate discernere qual è la volontà di Dio: “ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Romani, 12, 2)». A partire da ciò, Moltmann sottolinea che «la speranza del Vangelo mantiene una relazione polemica e liberatrice non solo con le religioni e le ideologie degli uomini, ma anche e molto di più con la vita pratica ed effettiva dei soggetti e con le circostanze in cui tale vita si svolge».

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Moltmann fu costretto ad arruolarsi nell’esercito tedesco e, dopo essere stato arrestato e aver trascorso tre anni in un campo di prigionia in Belgio, iniziò ad avvicinarsi al Vangelo. Più di dieci anni dopo quell’evento traumatico e definitivo della sua vita, una volta conseguito il dottorato in teologia nel suo Paese, scrisse il libro che stiamo citando. Il suo alto profilo accademico si percepisce quando, nell’approfondire la tematica trattata, scrive: «In una vita istituzionalizzata la speranza cristiana pone la “questione del senso”, poiché di fatto non può accontentarsi di queste circostanze e riconosce che la “benefica problematicità della vita” che in esse si verifica è solo un’espressione della morte. La speranza cristiana di fatto si rivolge ad “altre istituzioni”, poiché deve attendere la vita vera, le relazioni vere e giuste, deve attenderle, diciamo, dal Regno venturo di Dio».

Questa visione a partire dal Regno di Dio e dalla sua giustizia verso la missione della Chiesa universale, insistendo sempre su una speranza ecumenicamente liberatrice, lo porta ad affermare che «la speranza cristiana cercherà di far uscire le istituzioni moderne dalla loro tendenza alla stabilizzazioni — immanente a esse —, cercherà di renderle insicure, storiche, e di aprirle a quell’elasticità che corrisponde all’apertura verso il futuro che essa attende. Con la resistenza pratica e con la riconfigurazione creatrice, la speranza cristiana mette in discussione l’esistente e serve il futuro. Supera ciò che trova sul suo cammino verso il nuovo atteso, e cerca occasioni per corrispondere sempre meglio, nella storia, al futuro promesso». Personalmente trovo che questi pensieri sulla speranza, l’attesa, il Regno di Dio e la sua giustizia siano di estrema attualità. Moltmann guarda a questi concetti da un orizzonte di attesa, per lui solo parzialmente visibili dalla sua spiritualità piena di speranza. Lo esprime così: «L’orizzonte di attesa, dove è necessario sviluppare una dottrina cristiana della prassi, è l’orizzonte escatologico di attesa del regno di Dio, della sua giustizia e della sua pace, portati da una nuova creazione, dalla sua libertà e dalla sua umanità verso tutti gli uomini. Solo questo orizzonte di attesa, che s’impossessa del presente configurandolo, consente all’uomo pieno di speranza e inviato di resistere e di soffrire a causa del presente insufficiente, lo pone in conflitto con la figura presente della società e gli consente di trovare “la croce del presente” (Hegel)».

Jürgen Moltmann conclude questa parte della sua riflessione sociologica a partire da una speranza cristiana ecumenica, escatologica e profetica, con le seguenti parole: «La speranza della resurrezione deve suscitare un nuovo modo d’ intendere il mondo. Questo mondo non è il cielo della realizzazione di sé, come si affermava nell’idealismo. Questo mondo non è l’inferno dell’alienazione di sé, come si dice nella letteratura romantica ed esistenzialista. Il mondo non è ancora pronto, ma è concepito come situato nella storia. Perciò è il mondo del possibile, dove si può servire la verità, la giustizia e la pace future promesse. La lode dell’autorealizzazione e il lamento dell’autoalienazione nascono entrambi dalla mancanza di speranza in un mondo che ha perso l’orizzonte. Aprire questo mondo all’orizzonte del futuro del Cristo crocifisso è il compito della comunità cristiana».

di Marcelo Figueroa