È interamente dedicato all’annuncio del Vangelo il terzo capitolo della «Evangelii gaudium». Si tratta di un compito prioritario per i credenti di «qualunque epoca e luogo». Ed è proprio la natura eminentemente ecclesiale di questo annuncio che spinge Papa Francesco a soffermarsi a lungo sul “mistero” della Chiesa vista non tanto come «istituzione organica e gerarchica» ma come «popolo pellegrino ed evangelizzatore» in cammino verso Dio. (111).
Il Pontefice ricorda anzitutto che la salvezza offerta all’uomo è «per tutti» ed è frutto della «pura grazia» perché nasce dall’iniziativa divina rivolta a ogni uomo (112). Essere Chiesa, dunque, «significa essere popolo di Dio» e «fermento di Dio in mezzo all’umanità», offrendo a ciascuno la «misericordia gratuita» che fa sentire «accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (114). E se è vero che il popolo di Dio «si incarna» nelle storie e nelle culture dei «diversi popoli della Terra», è lo Spirito Santo ad agire per costruire «la comunione e l’armonia» creando quell’unità «che non è mai uniformità ma multiforme armonia che attrae» (117). Ed è sempre «la forza santificante dello Spirito» ad alimentare nel credente «un istinto della fede» capace di cogliere in modo intuitivo «ciò che viene realmente da Dio» (119). In questo senso riveste grande importanza la pietà popolare, «autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del popolo di Dio» (122). Ma non va dimenticato anche il ruolo della teologia e il suo apporto decisivo nel «promuovere il dialogo con il mondo della cultura e della scienza» (133).
Un banco di prova significativo per l’impegno della Chiesa nell’evangelizzazione è «la predicazione all’interno della liturgia» (135). La cura e la preparazione dell’omelia da parte dei pastori sta particolarmente a cuore a Francesco, in ragione del fatto che «la Chiesa è madre» ed è chiamata perciò a predicare «al popolo come una madre che parla a suo figlio» (139). No dunque a un’omelia «puramente moralistica o indottrinante», infarcita «di verità astratte o di freddi sillogismi» (142). Entra in gioco qui la figura del predicatore, che «dev’essere disposto a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne» (150). Per il Papa è «indispensabile» che egli «abbia la certezza che Dio lo ama» e si lasci «penetrare dalla sua Parola prima di trasmetterla» (151): è questo che gli permette di essere «contemplativo della Parola» e, allo stesso tempo, «contemplativo del popolo» (162).
111. L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale. (...)
112. La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé. Egli invia il suo Spirito nei nostri cuori per farci suoi figli, per trasformarci e per renderci capaci di rispondere con la nostra vita al suo amore. La Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio. (...)
114. Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo. (...)
117. Se ben intesa, la diversità culturale non minaccia l’unità della Chiesa. È lo Spirito Santo, inviato dal Padre e dal Figlio, che trasforma i nostri cuori e ci rende capaci di entrare nella comunione perfetta della Santissima Trinità, dove ogni cosa trova la sua unità. Egli costruisce la comunione e l’armonia del Popolo di Dio. Lo stesso Spirito Santo è l’armonia, così come è il vincolo d’amore tra il Padre e il Figlio. Egli è Colui che suscita una molteplice e varia ricchezza di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è mai uniformità ma multiforme armonia che attrae. L’evangelizzazione riconosce gioiosamente queste molteplici ricchezze che lo Spirito genera nella Chiesa. Non renderebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde. Sebbene sia vero che alcune culture sono state strettamente legate alla predicazione del Vangelo e allo sviluppo di un pensiero cristiano, il messaggio rivelato non si identifica con nessuna di esse e possiede un contenuto transculturale. Perciò, nell’evangelizzazione di nuove culture o di culture che non hanno accolto la predicazione cristiana, non è indispensabile imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica, insieme con la proposta evangelica. Il messaggio che annunciamo presenta sempre un qualche rivestimento culturale, però a volte nella Chiesa cadiamo nella vanitosa sacralizzazione della propria cultura, e con ciò possiamo mostrare più fanatismo che autentico fervore evangelizzatore. (...)
119. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede — il sensus fidei — che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione. (...)
122. Ogni popolo è il creatore della propria cultura ed il protagonista della propria storia. La cultura è qualcosa di dinamico, che un popolo ricrea costantemente, ed ogni generazione trasmette alla seguente un complesso di atteggiamenti relativi alle diverse situazioni esistenziali, che questa deve rielaborare di fronte alle proprie sfide. L’essere umano «è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso» [Giovanni Paolo ii, Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), 71: aas 91 (1999), 60]. Quando in un popolo si è inculturato il Vangelo, nel suo processo di trasmissione culturale trasmette anche la fede in modi sempre nuovi; da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione. Ciascuna porzione del Popolo di Dio, traducendo nella propria vita il dono di Dio secondo il proprio genio, offre testimonianza alla fede ricevuta e la arricchisce con nuove espressioni che sono eloquenti. Si può dire che «il popolo evangelizza continuamente sé stesso» [iii Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Puebla (23 marzo 1979), 450; cfr. v Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), 264]. Qui riveste importanza la pietà popolare, autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista. (...)
133. La teologia — non solo la teologia pastorale — in dialogo con altre scienze ed esperienze umane, riveste una notevole importanza per pensare come far giungere la proposta del Vangelo alla varietà dei contesti culturali e dei destinatari. La Chiesa, impegnata nell’evangelizzazione, apprezza e incoraggia il carisma dei teologi e il loro sforzo nell’investigazione teologica, che promuove il dialogo con il mondo della cultura e della scienza. Faccio appello ai teologi affinché compiano questo servizio come parte della missione salvifica della Chiesa. Ma è necessario che, per tale scopo, abbiano a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa teologia e non si accontentino di una teologia da tavolino. (...)
139. La Chiesa è madre e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio, sapendo che il figlio ha fiducia che tutto quanto gli viene insegnato sarà per il suo bene perché sa di essere amato. Inoltre, la buona madre sa riconoscere tutto ciò che Dio ha seminato in suo figlio, ascolta le sue preoccupazioni e apprende da lui. Lo spirito d’amore che regna in una famiglia guida tanto la madre come il figlio nei loro dialoghi, dove si insegna e si apprende, si corregge e si apprezzano le cose buone; così accade anche nell’omelia. Lo Spirito, che ha ispirato i Vangeli e che agisce nel Popolo di Dio, ispira anche come si deve ascoltare la fede del popolo e come si deve predicare in ogni Eucaristia. La predica cristiana, pertanto, trova nel cuore della cultura del popolo una fonte d’acqua viva, sia per saper che cosa deve dire, sia per trovare il modo appropriato di dirlo. Come a tutti noi piace che ci si parli nella nostra lingua materna, così anche nella fede, ci piace che ci si parli in chiave di “cultura materna”, in chiave di dialetto materno (cfr. 2 Mac 7, 21.27), e il cuore si dispone ad ascoltare meglio. Questa lingua è una tonalità che trasmette coraggio, respiro, forza, impulso. (...)
142. Un dialogo è molto di più che la comunicazione di una verità. Si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole. È un bene che non consiste in cose, ma nelle stesse persone che scambievolmente si donano nel dialogo. La predicazione puramente moralista o indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi, riducono questa comunicazione tra i cuori che si dà nell’omelia e che deve avere un carattere quasi sacramentale: «La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10, 17). Nell’omelia, la verità si accompagna alla bellezza e al bene. Non si tratta di verità astratte o di freddi sillogismi, perché si comunica anche la bellezza delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene. La memoria del popolo fedele, come quella di Maria, deve rimanere traboccante delle meraviglie di Dio. Il suo cuore, aperto alla speranza di una pratica gioiosa e possibile dell’amore che gli è stato annunciato, sente che ogni parola nella Scrittura è anzitutto dono, prima che esigenza. (...)
150. Chiunque voglia predicare, prima dev’essere disposto a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nella sua esistenza concreta. In questo modo, la predicazione consisterà in quell’attività tanto intensa e feconda che è «comunicare agli altri ciò che uno ha contemplato» [San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, ii-ii, q. 188, art. 6]. Per tutto questo, prima di preparare concretamente quello che uno dirà nella predicazione, deve accettare di essere ferito per primo da quella Parola che ferirà gli altri, perché è una Parola viva ed efficace, che come una spada «penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4, 12). Questo riveste un’importanza pastorale. Anche in questa epoca la gente preferisce ascoltare i testimoni: «ha sete di autenticità […] reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l’Invisibile» [Paolo vi, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 76: aas 68 (1976), 68].
151. Non ci viene chiesto di essere immacolati, ma piuttosto che siamo sempre in crescita, che viviamo il desiderio profondo di progredire nella via del Vangelo, e non ci lasciamo cadere le braccia. La cosa indispensabile è che il predicatore abbia la certezza che Dio lo ama, che Gesù Cristo lo ha salvato, che il suo amore ha sempre l’ultima parola. Davanti a tanta bellezza, tante volte sentirà che la sua vita non le dà gloria pienamente e desidererà sinceramente rispondere meglio ad un amore così grande. (...) Il Signore vuole utilizzarci come esseri vivi, liberi e creativi, che si lasciano penetrare dalla sua Parola prima di trasmetterla; il suo messaggio deve passare realmente attraverso il predicatore, ma non solo attraverso la ragione, ma prendendo possesso di tutto il suo essere. Lo Spirito Santo, che ha ispirato la Parola, è Colui che «oggi come agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da lui, che gli suggerisce le parole che da solo non saprebbe trovare» [Paolo vi, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 75: aas 68 (1976), 65]. (...)
154. Il predicatore deve anche porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo (...) Si tratta di collegare il messaggio del testo biblico con una situazione umana, con qualcosa che essi vivono, con un’esperienza che ha bisogno della luce della Parola. (...) La preparazione della predicazione si trasforma in un esercizio di discernimento evangelico. (...)
155. Occorre accrescere la sensibilità per riconoscere ciò che realmente ha a che fare con la loro vita. Ricordiamo che non bisogna mai rispondere a domande che nessuno si pone; neppure è opportuno offrire cronache dell’attualità per suscitare interesse: per questo ci sono già i programmi televisivi. (...)
157. Una buona omelia, come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”. (...)
159. Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività. Che buona cosa che sacerdoti, diaconi e laici si riuniscano periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione!