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Il 18 agosto a Uvira la beatificazione di tre missionari saveriani e un sacerdote diocesano martiri

Testimoni di fraternità

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13 agosto 2024

Domenica 18 agosto, alle 9, nello spazio antistante la cattedrale di San Paolo di Uvira, nella Repubblica Democratica del Congo, verranno beatificati Vittorio Faccin, Luigi Carrara e Giovanni Didoné, missionari saveriani, assieme a Albert Joubert, sacerdote della diocesi di Uvira. La celebrazione — preceduta da un triduo di preghiera dal 12 al 14 agosto e da due giorni di conferenze, il 15 e il 16 — sarà presieduta, in rappresentanza di Papa Francesco, dal cardinale cappuccino Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa. Si tratterà della seconda beatificazione ospitata nel Paese africano, dopo quella, nel 1985, di suor Anuarite Nengapeta Maria Clementina, uccisa il 1° dicembre 1964, appena tre giorni dopo i martiri saveriani.

I tre religiosi, tutti italiani, originari delle diocesi di Vicenza, Bergamo e Padova, erano partiti per la Repubblica Democratica del Congo non ancora trentenni, prestando servizio a Kiliba, Kiringye, Murhesa ma soprattutto a Baraka e Fizi. Avevano 30, 31 e 34 anni al momento della loro morte, avvenuta il 28 novembre 1964. Albert invece — figlio di Louis-Léopold, francese naturalizzato congolese e sposato con Agnès Atakaye, congolese — ha sempre trascorso la sua missione pastorale nel Paese africano, essendo nato a Saint Louis de Mrumbi-Moba. Aveva prestato servizio in una decina di parrocchie, nell’arco di un vasto territorio che, dagli anni ’50, era stato suddiviso prima in vicariati poi in diverse diocesi. Fra i primi sacerdoti locali dell’est del Paese, la sua attività principale fu la pastorale scolastica. Vittorio e Luigi sono morti a Baraka, 90 km a sud di Uvira, mentre Giovanni e Albert a Fizi, a 125 km dalla stessa città.

Per comprendere meglio il contesto sociale e religioso dell’epoca, basti citare alcune date: i primi missionari saveriani arrivano a Uvira nell’ottobre 1958; due anni dopo — il 30 giugno 1960 — il Paese diventa indipendente dal Belgio. Nel 1962 viene eretta la diocesi e il saveriano Danilo Catarzi viene nominato primo vescovo. Ma nel maggio 1964, i Simba — movimento rivoluzionario guidato da Pierre Mulele — prendono la città di Uvira, reagiscono contro il potere centrale di Kinshasa, tengono in domicilio coatto il vescovo e una dozzina di religiosi e laici. La prigionia durerà fino al 7 ottobre 1964. Anche a Baraka e Fizi i mulelisti regnano sovrani: fra loro ci sono capi che difendono la missione e i padri; altri, indottrinati da ateismo e comunismo, perseguitano sacerdoti e fedeli.

In quel momento storico, i quattro martiri hanno fatto una scelta missionaria consapevole, desiderosi di fare del bene e di condividere la loro fede. Giovanni aveva lasciato il seminario diocesano per entrare dai saveriani e così pure Luigi aveva insistito con i genitori che, alla vocazione missionaria, avrebbero preferito inizialmente quella di presbitero diocesano. Anche Vittorio, dopo alcuni anni di servizio nelle comunità di Parma e di Desio, aveva chiesto a più riprese ai superiori di non dimenticare il suo desiderio di vivere pienamente il «voto di missione», il primo dei quattro voti professati dai saveriani. Erano pure i primi anni della presenza nella Repubblica Democratica del Congo della famiglia religiosa fondata da san Guido Maria Conforti e si cercava personale per avviare comunità a Uvira.

Il loro martirio è avvenuto nello stesso giorno e per opera della stessa mano, anche se in due località distanti tra loro 35 km. Le testimonianze indicano l’uccisore nella persona di Abedi Masanga: prima falegname a Baraka, poi recatosi in Burundi, rientra nel 1964 come radicalizzato nella dottrina anticristiana. Anche i suoi familiari non lo riconoscono più e pure loro subiscono torture per la loro fede.

Quando, verso le 14 di sabato 28 novembre 1964, Vittorio e Luigi lo vedono arrivare a Baraka con la sua jeep carica di Simba, pensano di poterlo calmare. Ma dopo qualche parola, l’ira di Abedi si scatena: Vittorio viene colpito al petto con un colpo di pistola; Luigi si inginocchia davanti al confratello già esanime e, con saggezza, pronuncia le sue ultime parole: «Se mi vuoi uccidere, preferisco morire accanto a mio fratello». E così avviene. Verso sera, la stessa scena si ripete a Fizi: Abedi fa irruzione nella casa dei religiosi, nonostante i militari di guardia. Giovanni gli va incontro, facendosi luce con una lampada a petrolio, ma viene ucciso immediatamente. Subito dopo, tocca ad Albert essere colpito a morte.

Sessant’anni dopo il loro martirio, restano soprattutto due insegnamenti: l’amore alla gente e lo spirito di fraternità. Il santo fondatore Conforti lo raccomandava: il missionario ama le persone che incontrerà ancora prima di conoscerle; il suo ideale è fare del mondo una sola famiglia in Cristo. Vittorio, Luigi e Giovanni, così pure Albert, hanno vissuto in un periodo sociale molto delicato, nel momento in cui il Paese africano si trasformava da colonia belga a Nazione indipendente. Luigi diceva: «In questo momento storico, l’Africa va amata». Si sono inseriti promuovendo la collaborazione e sostenendo i laici, sono stati premurosi verso i più poveri e i più lontani, andando loro incontro in viaggi molto rischiosi. Voler bene alla gente era una loro priorità, e la fraternità è stata il loro testamento: si sono sostenuti e aiutati l’un l’altro nella prova e nella speranza. Anche la gente li ha protetti, accogliendoli in casa perché il presbiterio non era una zona sicura.

La loro beatificazione significa speranza per la Repubblica Democratica del Congo come Nazione e come Chiesa, per i saveriani nel loro presente e nel loro avvenire. C’è un grande coinvolgimento soprattutto nella diocesi di Uvira e nelle Chiese di origine dei martiri italiani. Ci si prepara da molti mesi con grande generosità per prestare servizi e offrire mezzi, per organizzare canti e preghiere, animare le comunità, raccogliere testimonianze. L’auspicio è che il Signore trovi spazio nei cuori di chi è causa di conflitti armati nel Paese e susciti processi di pace. Anche Abedi Masanga ha chiesto perdono, prima di morire. E questo è uno dei primi miracoli operati dal Signore per l’intercessione di questi martiri.

di Faustino Turco
Postulatore della causa