Simul currebant - Giochi di pace
Chi vince sempre

«Non metterò più lo sport davanti a tutto nella mia vita. Con mia moglie vogliamo una famiglia: avremmo potuto farla tre anni fa, dopo i Giochi di Tokyo». Gianmarco “Gimbo” Tamberi, 32 anni, che nel salto in alto ha vinto veramente tutto, rilegge la sua vertiginosa esperienza sportiva tra cadute e riscatti, fino alla scelta di scendere in pedana a Parigi (era il favorito) arrivando direttamente con l’ambulanza dal pronto soccorso dove era stato assistito proprio per il ripetersi di coliche.
«Ho voluto comunque partecipare alla finale olimpica — racconta — perché, credo, lo dovevo al mio sport, all’impegno che ci ho messo per tre anni, con il sostegno di tante persone e di amici ai quali ho sottratto tempo». Il direttore tecnico della nazionale italiana di atletica lo ha definito «un gesto omerico». Leggendario. Il campione olimpico, mondiale ed europeo che, dolorante, scende nell’arena di Parigi sapendo di perdere (nettamente) e non si tira indietro perché «lo deve alla sua etica umana e sportiva». Certo, non sono (mai) mancate le critiche a Tamberi, medaglia d’oro anche nel fare auto-critica.
«Allo sport ho dato tutto, ma per davvero!» rilancia. «Mi sono concentrato al cento per cento per ri-vincere le Olimpiadi a Parigi, forse sbagliando a questo punto: perché, poi, basta una serie di coliche renali proprio alla vigilia della gara tanto attesa, quando tutto sembrava perfetto, e capisci che hai perso tante cose per strada. Anche quella famiglia che con mia moglie avremmo voluto fare già tre anni fa, dopo Tokyo».
Forse per gli atleti il segreto è «non perdere la gioia che li ha attratti fin da piccoli»: lo scrive Papa Francesco nella prefazione del libro Giochi di pace. L’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi.
A Parigi a suggerire una visione che non riduce lo sport a vittoria-successo / sconfitta-fallimento ci hanno pensato la nuotatrice Benedetta Pilato, 19 anni, e una squadra di giovani atleti (da Filippo Macchi a Francesca Fangio... sono proprio tanti, e non solo italiani ovviamente), meno feroce ma più serena.
Benedetta è arrivata quarta nei 100 rana, ad appena un centesimo dal terzo posto: «Ci ho provato fino alla fine, peccato! Nonostante quel centesimo, è il giorno più felice della mia vita: un anno fa questa gara non ero nemmeno in grado di farla». E lo dice di pancia, uscendo dalla piscina olimpica con i capelli ancora gocciolanti, felice anche senza medaglia: «Sì, perché conta chi sono, il mio percorso nella vita condiviso con altre persone».
Federica Pellegrini (che se ne intende) dice: «Sono felice che questa nuova generazione di atleti abbia spostato lo sguardo, pretenda di provarci senza paura di fallire, gioendo per il proprio viaggio, il proprio sogno. Non conta solo vincere». Perchè lo sport «non è una guerra contro qualcuno, è educazione, rispetto, gentilezza» aggiunge Daniele Garozzo, campione di tutto nella scherma e medico.
Ha esperienza da vendere l’argentino Julio Velasco, 72 anni, coach della nazionale italiana femminile di volley che ha appena vinto l’oro a Parigi: «Ci dobbiamo divertire e smetterla con la storia della vittoria a ogni costo, perché è una filosofia di vita negativa. Guardiamo ciò che abbiamo e non quello che ci manca. E se si perde, restiamo in pace con noi stessi. Lo sport è la prossima palla da giocare, non lo scambio perso che, magari, avremmo potuto vincere. Lo sport, soprattutto, è insieme». E sì, forse proprio gli atleti più giovani a Parigi ci hanno regalato un nuovo paio di occhiali per le leggere lo sport, metafora della vita. E proposta di pace.
di Giampaolo Mattei