Afghanistan
Quello delle donne afghane è un volto cancellato, annullato dal burqa, oppure, se si tratta di manichini, da sacchetti di plastica o da strisce di nastro adesivo. Quando tre anni fa i talebani riprendono il potere a Kabul la storia delle donne vola indietro di oltre venti anni e oggi a rappresentare perfettamente la realtà femminile del Paese sono anche le vetrine dei negozi di abbigliamento, laddove a indossare abiti ricamati e colorati sono visi nascosti su ordine ministeriale che impone di coprire le teste dei manichini, compresi quelli di uomini e bambini, o addirittura, in alcuni casi, di decapitarli.
Il 15 agosto del 2021 i talebani riconquistano il Paese, dopo il ritiro delle forze Usa e della Nato, da quel momento si riaffaccia la paura, un clima di terrore più volte denunciato dall’Onu, creato dalla polizia morale che negli anni acquista sempre più potere. E le donne afghane, da quel momento, perdono tutti i loro sogni.
L’oscuramento dei volti è metafora della condizione delle donne, vittime di misure liberticide che in una società patriarcale come quella dell’Afghanistan non destano più di tanto orrore, come la reintroduzione della lapidazione per adulterio. La maggior parte dei divieti governativi sono destinati a madri, mogli, figlie, interdette da qualsiasi azione: dal camminare da sole per strada, al frequentare scuole e università, alla partecipazione alla vita attiva. Nel lavoro è tutto precluso, tranne il settore sanitario. È il vero apartheid di genere, la reclusione delle donne in casa. Ed è solo tra le quattro mura che riesce ad esprimersi la protesta femminile.
Quelle sulle donne sono restrizioni con pesanti ricadute anche sull’economia ormai a “crescita zero”, con una crisi umanitaria sempre più pressante, nella totale assenza di aiuti allo sviluppo, perché il governo non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Pane, acqua e tè oggi sono l’unica possibilità di sopravvivenza per almeno un terzo degli oltre 40 milioni di abitanti, schiacciati dalla povertà, dai cambiamenti climatici e dei devastanti disastri naturali, come i terremoti del 2022 e del 2023.
Con la sua repressione verso le donne, i talebani mettono a rischio un’intera generazione, aveva avvisato qualche tempo fa l’Unesco, perché nessun Paese può progredire se metà della sua popolazione vive segregata. (francesca sabatinelli)