· Città del Vaticano ·

Rileggendo la «Evangelii gaudium» / 4

No alla tentazione
della mondanità spirituale

 No alla tentazione della mondanità spirituale  QUO-183
12 agosto 2024

È la “mondanità spirituale” — che «consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale» — una delle tentazioni più insidiose a cui sono sottoposti oggi gli operatori pastorali. Descritto per primo dal benedettino dom Anscar Vonier  e poi rilanciato da Henri de Lubac, questo pericolo è stato più volte denunciato da Papa Francesco, che non a caso gli dedica una parte significativa del secondo capitolo della «Evangelii gaudium».  Il Pontefice mette in guardia in particolare dalle due forme più ricorrenti di mondanità spirituale — lo gnosticismo e il neopelagianesimo (94) — e riserva parole severe alla «vanagloria» di quanti «si accontentano di avere qualche potere» e, come «generali sconfitti», sognano «piani apostolici espansionisti» che non hanno riscontro nella realtà, restando vittime del «peccato del “si dovrebbe fare”» (96). Chi cade in questa tentazione «guarda dall’alto e da lontano» ed è chiuso alla misericordia e al perdono: per il Papa si tratta di «una tremenda corruzione» alla quale bisogna porre rimedio «mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé» e «di missione centrata in Gesù Cristo» (97). 

Una delle conseguenze più gravi di questa mondanità è l’individualismo che contrappone i cristiani tra loro e genera divisione e invidia: «Siamo sulla stessa barca — ammonisce in proposito Francesco  — e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti» (99). 

Altre «sfide ecclesiali» indicate in questo capitolo dal Pontefice riguardano i laici, le donne e i giovani. Per i primi il Papa sottolinea l’accresciuta «presa di coscienza» della loro «identità» e della loro «missione» (102), mentre non manca di riconoscere il «bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa» (103), pur ricordando tuttavia che non si tratta di una questione di mero «potere» (104). Quanto ai giovani, infine, Francesco ammette che da parte degli adulti manca spesso una risposta «alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite» (106). Ciò deriva dalla incapacità di parlare il loro «linguaggio» e di ascoltare la loro voce, che unita a quella degli anziani può rappresentare oggi «la speranza dei popoli» e «dell’umanità» (108).

Dal capitolo II


93. La mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale. È quello che il Signore rimproverava ai Farisei: «E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?» (Gv 5, 44). Si tratta di un modo sottile di cercare «i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2, 21). Assume molte forme, a seconda del tipo di persona e della condizione nella quale si insinua. Dal momento che è legata alla ricerca dell’apparenza, non sempre si accompagna con peccati pubblici, e all’esterno tutto appare corretto. Ma se invadesse la Chiesa, «sarebbe infinitamente più disastrosa di qualunque altra mondanità semplicemente morale» [Henry De Lubac, Méditation sue l’église, Paris, 1968, p. 321].

94. Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo evangelizzatore.

96. In questo contesto, si alimenta la vanagloria di coloro che si accontentano di avere qualche potere e preferiscono essere generali di eserciti sconfitti piuttosto che semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere. Quante volte sogniamo piani apostolici espansionisti, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali sconfitti! Così neghiamo la nostra storia di Chiesa, che è gloriosa in quanto storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso, perché ogni lavoro è “sudore della nostra fronte”. Invece ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” — il peccato del “si dovrebbe fare” — come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno. Coltiviamo la nostra immaginazione senza limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele.

97. Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza. Ha ripiegato il riferimento del cuore all’orizzonte chiuso della sua immanenza e dei suoi interessi e, come conseguenza di ciò, non impara dai propri peccati né è autenticamente aperto al perdono. È una tremenda corruzione con apparenza di bene. Bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri. Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali! Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spirito Santo, che ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio. Non lasciamoci rubare il Vangelo! (...)

99. Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro ad inseguire il proprio benessere. In vari Paesi risorgono conflitti e vecchie divisioni che si credevano in parte superate. Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: «Siano una sola cosa... in noi... perché il mondo creda» (Gv 17, 21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti. (...)

102. I laici sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio. Al loro servizio c’è una minoranza: i ministri ordinati. È cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa. (...) La presa di coscienza di questa responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione non si manifesta nello stesso modo da tutte le parti. In alcuni casi perché non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. (...)

103. La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché «il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo» [Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 295] e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali.

104. Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale «ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità» [Giovanni Paolo ii, Esort. ap. postsinodale, Christifideles laici (30 dicembre 1988), 51: aas 81 (1989), 493]. Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo — vale a dire, come fonte principale della grazia — non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri».[Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Inter insigniores, sulla questione dell’ammissione della donna al sacerdozio ministeriale (15 ottobre 1976), vi: aas 68 (1977) 115; citata in: Giovanni Paolo ii, Esort. ap. postsinodale, Christifideles laici (30 dicembre 1988), 51 (nota 190): aas 81 (1989), 493.] Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. (...)

105. La pastorale giovanile, così come eravamo abituati a svilupparla, ha sofferto l’urto dei cambiamenti sociali. I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. A noi adulti costa ascoltarli con pazienza, comprendere le loro inquietudini o le loro richieste, e imparare a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono. Per questa stessa ragione le proposte educative non producono i frutti sperati. (...)

106. Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra! (...)

108. Ogni volta che cerchiamo di leggere nella realtà attuale i segni dei tempi, è opportuno ascoltare i giovani e gli anziani. Entrambi sono la speranza dei popoli. Gli anziani apportano la memoria e la saggezza dell’esperienza, che invita a non ripetere stupidamente gli stessi errori del passato. I giovani ci chiamano a risvegliare e accrescere la speranza, perché portano in sé le nuove tendenze dell’umanità e ci aprono al futuro, in modo che non rimaniamo ancorati alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più portatrici di vita nel mondo attuale.