«Nessuno ci lascerà far morire di fame due milioni di persone, anche se può essere giustificato e morale (….) Viviamo oggi in una certa realtà e abbiamo bisogno della legittimazione internazionale per condurre questa guerra». Sono le parole del ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, che ha anche le deleghe per lo sviluppo delle colonie israeliane nei territori palestinesi. Nelle scorse settimane il governo israeliano ha approvato la realizzazione di 5.000 nuove case in quei territori, su sua richiesta.
Le parole pronunciate dal ministro dell’estrema destra religiosa — e riferite con preoccupazione dagli stessi media israeliani — svelano una preoccupante maniera di concepire la vita umana, qualunque siano le opinioni sul conflitto in corso.
Giorni fa si è rilevato con altrettanto sgomento l’atteggiamento cinico mostrato dal leader di Hamas Ismail Haniyeh alla notizia della morte dei suoi figli a Gaza. Allo stesso modo le parole di Smotrich svelano un volto disumanizzante del conflitto in corso, con la triste constatazione che i leader politici ammantano le proprie posizioni con riferimenti alla propria identità religiosa.
C’è da riflettere sul fatto che i poli estremi di questo conflitto vestano i panni di una improbabile religiosità. Ci consola invece sapere che una parte ancora oggi maggioritaria del popolo ebraico, in Israele e in altri Paesi è estranea a queste logiche disumane.
Molti religiosi e studiosi ebrei impegnati nel dialogo giudaico-cristiano hanno chiesto a Papa Francesco attestati di amicizia e vicinanza, che il Pontefice non ha esitato ad esprimere. Sarebbe bello che quelle stesse voci denuncino questa disumanità.
La fede dei cristiani, quella degli ebrei e quella dei musulmani non conosce vendetta ed odio. È comune la consapevolezza che è possibile vivere, come ci esorta Papa Francesco, da “fratelli tutti”.
di Roberto Cetera