La Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione che Papa Francesco indirizza ai sacerdoti, a «tutti gli agenti pastorali» ma pure a «qualsiasi cristiano» è un testo ricco, denso di spunti e contenuti che meritano di essere tutti affrontati e sviluppati. Chiunque ha un ruolo educativo deve, secondo il Papa, frequentare la letteratura, acquisire il gusto della lettura. C’è un’urgenza nel tono della lettera perché c’è un problema, tra i tanti, che sta a cuore di Francesco, ed è quello della “sensibilità”.
Vale la pena, ad una prima lettura, concentrarsi su questo che è il tema centrale del testo papale, un tema collegato al difficile rapporto tra uomo contemporaneo e cristianesimo per cui il problema oggi «non è innanzitutto quello di credere di più o di credere di meno nelle proposizioni dottrinali. È piuttosto quello legato all’incapacità di tanti di emozionarsi davanti a Dio, davanti alla sua creazione, davanti agli altri esseri umani. C’è qui, dunque, il compito di guarire e di arricchire la nostra sensibilità». E cita due poeti, grandi e distanti, come T.S. Eliot e J.L. Borges per precisare i termini di questo problema che il primo chiama «incapacità emotiva» e, alla luce del secondo, il Papa indica come «sordità spirituale». C’è un terzo autore, non citato nel testo, ma che esprime la stessa urgenza con il suo stile inconfondibile, Franz Kafka. Di fronte a questo “torpore” dell’uomo di oggi, c’è infatti bisogno di leggere quei libri che secondo Kafka «mordono e pungono» in modo da ricevere «larghe ferite» che permettono alla coscienza di diventare più sensibile. Il romanziere praghese nella lettera a Oskar Pollak del novembre 1903 usa immagini dure, violente: «Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martella sul cranio, perché dunque lo leggiamo? […] Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi». Questa esperienza così forte, contundente fa sì che i lettori, dice il Papa, diventino «più sensibili alla piena umanità del Signore Gesù». Questa lettera sul ruolo della letteratura esce il 4 agosto, il giorno dopo il 60° anniversario della morte di Flannery O’Connor che sosteneva la letteratura come la «più incarnatoria» di tutte le arti. Il punto critico è questo, l’evaporazione della fede nell’incarnazione. La preoccupazione di oggi è la stessa che il Papa nel 2013 esprimeva nella Evangelii gaudium che metteva in guardia da una «forma di consumismo spirituale» altra faccia di un «morboso individualismo» perché «più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro» ( eg 89). Contro il consumismo spirituale disincarnato l’antidoto è la letteratura. Nei Racconti dell’Anticristo del 1899 Vladimir Soloviev faceva dire allo starez Giovanni, l’unico cristiano capace di resistere alle seduzioni dell’Anticristo che proponeva una chiesa “umanitaria”, “buona” ma senza Cristo: «Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente la pienezza della divinità».
Ma come può la lettura di un testo narrativo realizzare questa resistenza all’eliminazione dell’umano e quindi del cristiano? Innanzitutto si deve ricordare che leggere un libro equivale a un’immersione nella realtà perché, come diceva Guardini, un libro è «un piccolo oggetto ricco di mondo». Inoltre, citando una riflessione di C.S. Lewis il Papa osserva che «leggendo un testo letterario, siamo messi in condizione di “vedere attraverso gli occhi degli altri”, acquisendo un’ampiezza di prospettiva che allarga la nostra umanità. Si attiva così in noi il potere empatico dell’immaginazione, che è veicolo fondamentale per quella capacità di identificazione con il punto di vista, la condizione, il sentire altrui, senza la quale non si dà solidarietà, condivisione, compassione, misericordia. Leggendo scopriamo che ciò che sentiamo non è soltanto nostro, è universale, e così anche la persona più abbandonata non si sente sola».
Palestra per la sensibilità, per la misericordia, per un discernimento che non porti a giudizi sommari e “stilizzati”, la letteratura affina e umanizza innanzitutto lo sguardo sulla realtà, del mondo e degli uomini, abbattendo «gli idoli dei linguaggi autoreferenziali, falsamente autosufficienti, staticamente convenzionali, che a volte rischiano di inquinare anche il nostro discorso ecclesiale, imprigionando la libertà della Parola». È una questione, ancora una volta, di sguardo, di educazione dello sguardo che è il grande beneficio della letteratura; conclude il Papa: «Lo sguardo della letteratura forma il lettore al decentramento, al senso del limite, alla rinuncia al dominio, cognitivo e critico, sull’esperienza, insegnandogli una povertà che è fonte di straordinaria ricchezza. Nel riconoscere l’inutilità e forse pure l’impossibilità di ridurre il mistero del mondo e dell’essere umano ad una antinomica polarità di vero/falso o giusto/ingiusto, il lettore accoglie il dovere del giudizio non come strumento di dominio ma come spinta verso un ascolto incessante e come disponibilità a mettersi in gioco in quella straordinaria ricchezza della storia dovuta alla presenza dello Spirito, che si dà anche come Grazia: ovvero come evento imprevedibile e incomprensibile che non dipende dall’azione umana, ma ridefinisce l’umano come speranza di salvezza».
di Andrea Monda