Una “fiducia” che ci invita

L’intenzione del testo
La Dichiarazione Fiducia supplicans fa eco all’invito del pontificato di Papa Francesco di guardare il mistero della condizione umana dalle “periferie” della Chiesa. Per fede, crediamo che il pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita non per questo non ha cura di quelle che sono giunte nell’ovile. Anzi, il pastore spera che il pericolo a cui va incontro per salvare una di loro sarà occasione di rafforzare la preghiera per lui, il pastore, la compassione per la pecora in pericolo, e la gratitudine da parte di chi abita nella “sua” casa.
La Dichiarazione riguarda «la ricezione dell’insegnamento del Santo Padre», il nostro Pastore, e prende in considerazione il fatto che quando con fiducia i figli supplicano, secondo la misura della ferita del loro cuore, la risposta del Padre è secondo la misura infinita della misericordia.
I gesti e i pronunciamenti della Chiesa indicano, epoca dopo epoca, la coerenza teologica che sostiene la sua dottrina. Dopo il Responsum del 2021, che dichiarava che «la Chiesa non ha il potere di impartire benedizione alle unioni tra persone dello stesso sesso», la Dichiarazione Fiducia supplicans vuole «offrire un contributo specifico e innovativo» (cfr. Presentazione) argomentando sulla «possibilità di benedire coppie dello stesso sesso» (cfr. Introduzione). La novità che porta la Dichiarazione è di dire che ciò che non è possibile in un contesto liturgico sacramentale, lo è in una prassi pastorale, «senza modificare l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio» (cfr. Presentazione). Queste premesse date nella presentazione della Dichiarazione sono costantemente ricordate lungo tutto il testo.
Il contenuto della terza parte
Ci fermiamo sulla terza parte della Dichiarazione, che è certamente la parte che ha suscitato più commenti. Suppone ovviamente di avere presenti gli elementi sviluppati nella prima parte, La benedizione nel sacramento del matrimonio, e nella seconda parte, Il senso delle diverse benedizioni. La prima parte conferma la dottrina sul matrimonio, la seconda parte amplia e arricchisce il senso delle benedizioni, per cui sarà possibile una terza parte che è la proposta centrale: Le benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso.
Diciamo in breve come si sviluppano i dieci paragrafi di spessore diverso che compongono la terza parte. Nella prima frase si legge che «nell’orizzonte delineato» nella prima e nella seconda parte, «si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso» (n. 31). Si tratta di persone che chiedono insieme l’aiuto di Dio sulla loro vita senza rivendicare «la legittimazione di un proprio status», status ritenuto “irregolare” dalla Chiesa. La preghiera a Dio è una richiesta che ognuno può rivolgere, supplica di salvezza della persona, di aiuto, di liberazione, di crescita «nella fedeltà al messaggio del Vangelo» (n. 31). «La Chiesa accoglie tutti coloro che si avvicinano a Dio con cuore umile» e deve dare a tutti «quegli aiuti spirituali» che è sua vocazione dare (n. 32). La benedizione, da parte di chi la chiede è già l’espressione di «una vicinanza a Dio, un seme dello Spirito che va curato e non ostacolato» (n. 33). Quale è l’ostacolo? “« nostri peccati, mancanze di merito, debolezze e confusioni». Quale è la fede? Che Dio si fa presente «oltre ogni desiderio e ogni merito». Questo è l’annuncio stesso della Chiesa (cfr. n. 34). La preoccupazione del Papa guarda al beneficio per la fede, in quanto la benedizione può fornire «un mezzo efficace per accrescere la fiducia in Dio da parte delle persone che la chiedono» (n. 36). Qui si inserisce meglio il numero 35, che dice che i ministri devono essere sensibili a questa prospettiva pastorale, sensibilità che deve «essere educata anche ad eseguire spontaneamente benedizioni». Come? Ci vogliono «prudenza pastorale», «discernimento pratico» (n. 37), libertà anche «perché la vita della Chiesa passa attraverso molti canali, oltre a quelli normativi» (Esortazione Apostolica Amoris laetitia, 304).
Il paragrafo 38 è decisivo: dice che «non si deve impedire o proibire la vicinanza della Chiesa» a coloro che, tramite la benedizione, bussando alla porta della Chiesa, chiedono l’aiuto di Dio. Come deve essere la benedizione? Una «benedizione spontanea», una «breve preghiera» per le necessità comuni, pace, salute, pazienza, disponibilità al dialogo e apertura «per poter compiere pienamente la volontà di Dio» (n. 38) Oltre al come, si fa presente che è importante anche il “dove”, per evitare «qualsiasi forma di confusione o scandalo» (n. 39). La proposta è che le benedizioni siano collocate in «altri contesti», cioè non liturgico, luoghi di fede popolare in cui tutti possono chiedere una benedizione «spontanea, breve», senza ricorso a «forme rituali proprie della liturgia» (n. 40). La benedizione a coppie dello stesso sesso richiede da parte dei ministri che la devono dare «prudente e paterno discernimento» (n. 41), ma anche creatività.
I paragrafi seguenti che compongono il capitolo iv della Dichiarazione sono una conclusione che ricorda che tutto questo si fonda sull’identità stessa della Chiesa: «sacramento dell’amore infinito di Dio» (n. 43) con una vocazione materna che, attraverso la carità, la penitenza e la preghiera, porta a Dio e invita «ad avvicinarsi sempre di più all’amore di Cristo» (n. 44). La speranza è che «ogni fratello e ogni sorella potranno sentirsi nella Chiesa sempre pellegrini, sempre medicanti, sempre amati e, malgrado tutto, sempre benedetti» (n. 45), persone per le quali «il Padre celeste continua a volere il loro bene e a sperare che si aprano finalmente al bene» (Francesco, Catechesi sulla preghiera: la benedizione, 2 dicembre 2020).
Una benedizione pastorale
La Dichiarazione invita a considerare che ci sono forme di benedizioni diverse che rispondono ad esigenze diverse: identificare la benedizione pastorale con un atto liturgico vanifica il significato del sacramento, non solo quello del matrimonio, ma di tutta la prassi sacramentale della Chiesa cattolica. Riconoscere come benedizione solo quella liturgico-sacramentale rischia di oscurare «la forza incondizionata dell’amore di Dio su cui si fonda il gesto della benedizione» (n. 12).
A quale condizione?
Dovrebbe essere convinzione di ogni cristiano che «a nessuno si può impedire (un) rendimento di grazie e ciascuno, anche se vive in situazioni non ordinate al disegno del Creatore, possiede elementi positivi per i quali lodare il Signore» (n. 28). Si tratta di un annuncio bello. Come potremmo giustificare che si deve mettere come condizione «una previa perfezione morale» (n. 25) a chi chiede una benedizione? Nessuno la potrebbe ricevere. Invece, benedicendo, si fa un atto di fede in «quest’aspetto della fedeltà dell’amore incondizionato di Dio, capace di generare anche col peccatore un’alleanza irrevocabile, sempre aperta ad uno sviluppo, altresì imprevedibile» (Dicastero per la Dottrina della Fede, Risposte ad alcune domande di S.E. Mons. José Negri circa la partecipazione al Sacramento del battesimo e del matrimonio da parte di persone transessuali e di persone omoaffettive, 3 novembre 2023). Speranza in chi riceve la benedizione e fede in chi la dona, «le benedizioni diventano così una risorsa pastorale da valorizzare piuttosto che un rischio o un problema» (n. 23). È «la stessa carità pastorale (che) ci impone di non trattare (le persone) semplicemente come peccatori» (Papa Francesco, Risposta al secondo Dubium, Domanda 2, risposta f).
Ricchezza pastorale sulla base della dottrina
Siamo abituati nella Chiesa ad affrontare questioni pastorali che sollevano dibattiti teologici fecondi per approfondire la dottrina. «La Chiesa, che è il corpo di Cristo, trova sempre nel coinvolgimento con questo mondo, per il quale Cristo ha sofferto, è morto ed è risorto, l’occasione per una conoscenza più approfondita del Signore stesso e del suo amore, e anche di sé stessa, l’occasione di una maggiore comprensione del messaggio di salvezza ad essa affidato. È possibile individuare diversi segni dei nostri tempi moderni che spingono a una rinnovata consapevolezza di alcuni aspetti del Vangelo che hanno particolare rilevanza per il nostro tema» (Commissione Teologica Internazionale, La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo, 19 gennaio 2007, n. 71).
Prendiamo due esempi recenti di novità sollevate nell’interazione fra dottrina e urgenze pastorali, uno di carattere più dogmatico e uno di carattere più pastorale. Il tema della salvezza dei bambini che muoiono senza battesimo è stato argomento dibattuto. Dopo secoli in cui era accettata la teologia del limbo (condizione permanente dei bambini morti senza battesimo), ci fu un “chiarimento” «affrontato alla luce di una antropologia della solidarietà» (n. 6). Lo studio della Commissione Teologica Internazionale ha risposto alla preoccupazione di chi vedeva nella proposta, «una tensione tra alcuni principi vitali della fede, in particolar modo la necessità del Battesimo per la salvezza, e la volontà salvifica universale di Dio» (n. 70). Ma non si trattava di negare la necessità del battesimo, come se il sacramento non servisse a nulla. La questione riguardava la misericordia del Padre che, in virtù della redenzione di Cristo, fa partecipare della sua visione, per grazia, cioè fa entrare nella salvezza, i bambini che muoiono senza avere potuto ricevere il sacramento del battesimo. La dottrina sul sacramento del battesimo non è cambiata. Si è ampliata la comprensione della misericordia di Dio.
Un esempio ancora più recente di indole pastorale riguarda il tema della pena di morte. Come si poteva leggere nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 al numero 2267, l’insegnamento tradizionale della Chiesa non escludeva, «supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani». Nella versione definitiva del Catechismo (1° agosto 2018) si legge: «Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi [...]. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità della persona e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2267).
In questo caso si vede che nella nuova risposta della Chiesa, c’è uno sviluppo della comprensione della dignità della persona «alla luce del Vangelo», mentre si prende distanza da una tradizione umana, civile, alla quale l’insegnamento della Chiesa si è per secoli conformato.
Nel caso della salvezza dei bambini senza battesimo, si trattava di rileggere una “dottrina”, quella del «legame tra peccato originale e privazione della visione beatifica» e della «creazione dell’essere umano in Cristo» (Introduzione), cioè rileggere la dottrina della condanna legata al peccato originale, alla luce della teologia della creazione ad immagine di Dio. Bisognava affermare che ogni vita nuova ha origine nell’amore del Padre e nel mistero della salvezza compiuta dal Figlio, anche se nel tempo non si è manifestata l’azione dello Spirito Santo nella adesione personale a Cristo. Nel caso della pena di morte, Papa Francesco ha invitato a guardare alla prassi secolare che la giustificava rileggendola alla luce della Tradizione che è per noi il Vangelo, criterio di discernimento delle tradizioni che possono essere riconosciute legate ad un contesto storico superato.
Questi due esempi sono solo alcuni fra tanti che la storia della Chiesa ci offre e la Dichiarazione circa la possibilità di benedire le coppie dello stesso sesso si inserisce perfettamente in questa vocazione della teologia di rendere accessibile costantemente la comprensione teologica della dottrina per «offrire una visione che componga in coerenza gli aspetti dottrinali con quelli pastorali» (cfr. Introduzione). Fiducia supplicans conferma la dottrina sul sacramento del matrimonio: l’unica unione riconosciuta dalla Chiesa è quella fra un uomo e una donna benedetta nel sacramento del matrimonio. Tuttavia la Chiesa ha cura di rispondere alla richiesta di persone che vivono «una unione che in nessun modo può essere paragonata al matrimonio, (che) desiderano affidarsi al Signore e alla sua misericordia, invocare il suo aiuto, essere guidate a una maggior comprensione del suo disegno di amore e verità» (n. 30). La Chiesa cattolica, tramite il Dicastero per la Dottrina della Fede, nella Dichiarazione Fiducia supplicans comunica, in conformità con l’insegnamento di Papa Francesco, che non si deve considerare un errore o una infedeltà alla dottrina cattolica il gesto di benedizione di due persone in situazione irregolare.
Una questione da approfondire: l’irregolarità delle situazioni
La terza parte ha per titolo «Le benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso» (n. 31). Nell’introduzione (n. 2) la Dichiarazione indica di prendere in considerazione «la possibilità di benedire coppie dello stesso sesso» e di offrire così nuovi chiarimenti rispetto al Responsum del 2021 che trattava lo stesso argomento. Qui si parla di coppie in genere e di coppie dello stesso sesso. La stessa parola “irregolarità” è attribuita sia ad una coppia uomo-donna, sia ad una coppia dello stesso sesso. Questi diversi tipi di irregolarità sollevano questioni diverse.
Per una coppia uomo-donna si tratta di una irregolarità che la Chiesa Cattolica definisce in riferimento alla dottrina sul sacramento del matrimonio: «soltanto in questo contesto (matrimonio) i rapporti sessuali trovano il loro senso naturale, adeguato e pienamente umano» (n. 4). Per quanto riguarda la irregolarità nel caso di coppie uomo-donna si potrebbe forse affermare che si tratta di unione, nel senso che fra un uomo e una donna, secondo la “natura” dei sessi può avvenire l’unione, considerando che la differenziazione maschio-femmina è per la Chiesa il presupposto dell’esercizio della sessualità orientata all’unione, ma è una unione irregolare perché non è “regolata” dal sacramento. Invece, la relazione sentimentale e sessuale fra persone dello stesso sesso, anche se nella prassi civile può essere riconosciuta come “unione civile”, dal punto di vista dottrinale potrebbe essere piuttosto considerata una relazione irregolare a causa dell’aspetto sessuale della relazione.
Sicuramente nella prassi pastorale si tiene conto della differenza che c’è fra una coppia in situazione di “unione irregolare” (quando si tratta di una coppia formata da un uomo e una donna) e una coppia che vive nella situazione di “relazione irregolare” (quando si tratta di coppie dello stesso sesso). Le parole sono limitate, sia unione che relazione. Aiuta ricordare che Papa Francesco ha voluto specificare che «non si benedice l’unione, ma semplicemente le persone che insieme ne hanno fatto richiesta» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Dicastero per la Dottrina della Fede, 26 gennaio 2024).
Proprio perché si benedicono le persone, la bontà si esprime nella vita di relazioni. Nella relazione uomo-donna, la coppia ha una visibilità sociale che include spesso un nucleo di “fratellanza” che lega fra di loro i figli di genitori diversi ecc. A causa dei figli, gli stessi genitori sono a volte portati in Chiesa e sono vicini agli insegnamenti della Chiesa. Nelle coppie dello stesso sesso non mancano elementi da benedire. La bontà delle persone manifesta che ogni essere umano è costituito, ha origine e si realizza nella relazione. Bisogna considerare che ci sono tanti tipi di relazioni: fra amici, fra genitori e figli, tra fratelli ecc. La tradizione cristiana ha riconosciuto come testimonianza evangelica il dono di sé per amore che si può trovare in ogni tipo di relazione. Tuttavia, per la Chiesa cattolica, la relazione sessuale è considerata specifica del dono di sé fra un uomo e una donna nell’unione matrimoniale. Tanto che, altrimenti, il ricorrere al sesso è considerato espressione di una relazione “non regolare” e si può parlare di “peccato”: non per una ossessione intorno alla realtà sessuale, ma piuttosto per una grande stima della realtà della differenziazione maschio-femmina come dono di Dio alla creazione che segna la grandezza e il limite dell’essere umano. Il primo peccato avviene perché l’essere umano rifiuta il dono della creazione a causa del limite che Dio vi ha posto e perverte così anche il dono della grandezza. Il peccato non è raccontato come qualcosa che riguarda il sesso, ma riguarda la “conoscenza”, il desiderio di “possedere” (conoscere e unirsi hanno lo stesso senso nella terminologia biblica), possedere tutto, l’uno e l’altro. In termini di fede, essere o “uno/a” o “altra/o”, secondo la sessualità di nascita, rappresenta l’ambito del limite che ci viene posto come creature umane, maschio o femmina, per accedere attraverso l’identità sessuale al mistero dell’unione che è possibile fra un uomo e una donna, due persone di sesso diverso create per diventare, per amore, una sola carne, figura dell’alleanza che Dio vorrà stabilire con il popolo eletto e con tutta l’umanità, immagine della Chiesa. Accettare il limite che ogni creatura porta segnato nella sua identità sessuale dovrebbe orientare verso il desiderio dell’altro da me, l’altro che rappresenta il mio limite, ma l’“altro” che rappresenta l’infinito della promessa dell’unione che diventerà comunione feconda nell’amore. La distanza nel rispetto del limite (l’alterità) arricchisce più che la riduzione a sé del possesso (la conoscenza), perché fa sperimentare la forza misteriosa della vita che si rivela nel simbolo dell’unione sessuale, un dono della creazione voluta dallo stesso Creatore. Ecco il mistero grande dal punto di vista antropologico: la sessualità è lo spazio in cui si rivela il mistero dell’alterità come limite che custodisce ognuno nel suo mistero, ognuno che non può essere “posseduto” (conosciuto), ma solo amato nella sua alterità, anche sessuale.
di Michelina Tenace
Consultore presso il Dicastero per la Dottrina della Fede