· Città del Vaticano ·

Simul currebant - Giochi di pace

Quando il Sud Sudan
va a canestro

TOPSHOT - (From L) South Sudan's #11 Marial Shayok, South Sudan's #10 Jt Thor, South Sudan's #13 ...
30 luglio 2024

Gran parte del mondo “distratto” ha “scoperto” che esiste il Sud Sudan da una partita di basket alle Olimpiadi (peraltro vinta 90-79 con Portorico). Quei canestri potrebbero persino essere più “comunicativi” degli anni di guerre, violenze e ingiustizie, povertà e fame di un popolo che vive in modo smisurato il dramma dei campi di sfollati, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute.

A febbraio 2023 Papa Francesco è andato ad abbracciare e a incoraggiare, personalmente, la gente del Sud Sudan. Sì, ha compiuto un pellegrinaggio ecumenico di pace per parlare di speranza e di riconciliazione.

E così domenica tramite le Olimpiadi anche il mondo “distratto” — affatto interessato alle storie di violenza e povertà delle periferie dimenticate — ha “scoperto” che esiste il Sud Sudan. E anche il Sudan. È stato a tutti chiaro dalle reazioni dei giocatori quando, all’inizio del match, è risuonato l’inno sbagliato, proprio quello del Sudan (nella controversa cerimonia di apertura la Corea del Sud era stata chiamata Corea del Nord).

In realtà che esiste il Sud Sudan gli appassionati di basket se n’erano accorti qualche giorno fa quando, in amichevole, c’era voluto un canestro del più forte giocatore del mondo, LeBron James, per dare la vittoria proprio all’ultimo istante al “dream team” degli Stati Uniti d’America. I sudsudanesi — nell’ambito del girone c — riproveranno domani alle ore 21 a entrare nella leggenda nella partita con le stelle Nba e sabato, poi, avranno a che fare con la Serbia (altro squadrone).

Il “dream team” olimpico del Sud Sudan ha, almeno, tre padri. Loul Deng, sudsudanese già giocatore dei Chicago Bulls e dei Los Angeles Lakers e ora presidente della Federbasket, ha messo tenacemente insieme i talenti migliori con il coach Royal Ivey: da Marial Shayok a Majok Deng, da Carlik Jones fino a Khaman Malouach, neppure diciottenne, 218 centimetri di altezza, cresciuto in un campo profughi in Uganda con ciò che resta della sua famiglia devastata dalla guerra.

Il secondo padreè Manute Bol, il ”gigante buono” sudsudanese della Nba (231 centimetri di altezza e anche una stagione a Forlì) che ha dato tutto se stesso per regalare speranze ai giovani della sua terra. È morto nel 2010, a 47 anni, nel pieno di questo progetto.

Terzo padre è il missionario comboniano italiano Daniele Moschetti che ha proposto anche l’esperienza sportiva, tra maratona e calcio, proprio come opportunità di riscatto nel «lungo e sofferto cammino verso pace, giustizia e dignità».

A Parigi il Sud Sudan è presente anche nell’atletica con Lucia Morris (100 metri) e Abraham Guem(800 metri) che rappresentano tutti gli atleti “scoperti” — in quel “vivaio” (non solo sportivo) che sono i campi profughi — dalla leggendaria maratoneta kenyana Tegla Loroupe, ambasciatrice sportiva di pace, e dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati. E dal campo profughi di Kakuma, nel nord del Kenya, dove è cresciuto senza la sua famiglia, arriva il sudsudanese Yiech Pur Biel, ai Giochi del 2016 con il Team dei rifugiati e oggi membro del Comitato olimpico internazionale.

di Giampaolo Mattei