Il gioco per i bambini è vita. Eppure per molti, che nella loro ancora breve esistenza hanno conosciuto solo la brutalità della violenza, dei conflitti e della fame, è quasi un sogno. Ai nostri occhi ciò risulta ancora più evidente in questi giorni, nei quali hanno preso il via i Giochi olimpici di Parigi, la cui legittima magnificenza stride però con i “giochi di guerra” dei potenti, che non si è riusciti a fermare come più volte ha invece chiesto anche il Papa.
A questo stato di cose fanno da contraltare alcune piccole realtà che, pur nella drammaticità del momento, provano con coraggio e dedizione a strappare le persone al cappio della paura e della disperazione, aiutandole a superare anche traumi psicologici e sociali. Così nella Repubblica Democratica del Congo, martoriata da oltre un anno da un conflitto sanguinario che oppone milizie paramilitari — l’M23 e gli islamisti dell’Adf (Allied democratic forces), oltre ad altri 120 gruppi armati —- all’esercito regolare, si prova a riscoprire il valore autentico, semplice, del gioco, con la sua funzione ludica, ma anche di sviluppo dell’amicizia e della concordia. A questo mira l’iniziativa “Chess in the city”, dedicata agli scacchi — per i più piccoli, ma anche per gli adulti —, che si tiene nel campo profughi di Kibati, vicino a Goma, nel Nord Kivu, e documentata dalla Reuters.
«Vogliamo spezzare il ciclo infernale per cui le giovani menti sono plasmate dal conflitto. Gli scacchi eliminano lo stress, danno alle persone l’opportunità di trovare soluzioni pacifiche ai problemi. Crediamo che così, riscoprendo la logica, possano riscoprire anche se stessi», ha detto il fondatore del progetto, Akili Bashige Lwenda, di 24 anni. Giocare non solo rende possibile sviluppare le capacità del pensiero critico, ma contribuisce altresì ad alleviare la devastazione psichica che nasce dalla sopportazione di una situazione drammatica senza fine.
Ogni settimana volontari esperti, insegnano mosse e trucchi di quello che Stefan Zweig riteneva addirittura ingiurioso chiamare solo un gioco, passando qualche ora insieme a chi ha perso tutto e adesso vive accampato, con scarsissimo accesso a servizi igienici, cibo e acqua, esposto a malattie ed epidemie, in migliaia di tende ai margini della città. Oggi nel Paese ci sono quasi 7 milioni di sfollati interni.
Claude Bwenge, direttore dell’associazione che gestisce il campo di Kibati, ha detto che la vita quotidiana dei bambini è stata trasformata dal programma scacchistico e che chi riuscirà ad andare a competere anche a livello internazionale scoprirà una «pace al di fuori della violenza che stiamo vivendo». Con l’augurio che i giocatori possano poi tornare nelle rispettive comunità per promuoverla e costruirla concretamente, la pace. Peché il gioco non è solo metafora della vita, è anche strumento di riconciliazione e promessa di accoglienza dell’altro.
di Roberto Paglialonga