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Gli atleti rifugiati paralimpici ai Giochi di Parigi

Facendo il tifo
per i più coraggiosi

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10 luglio 2024

A 50 giorni dall’apertura dei Giochi paralimpici di Parigi — prevista il 28 agosto — il Comitato internazionale paralimpico ha annunciato i nomi degli otto atleti e dell’atleta-guida che fanno parte del Team dei rifugiati. Erano in due a Rio de Janeiro nel 2016 e in sei a Tokyo nel 2021.

Con i 36 atleti del Team olimpico sono, dunque, 45 i rifugiati presenti ai Giochi. Una partecipazione che è un progetto di pace.

Per la prima volta nella squadra paralimpica di rifugiati è stato selezionato un atleta residente in Italia: lo schermidore Amelio Castro Grueso, di origine colombiana, che a Roma ha la possibilità di allenarsi ad alto livello con Daniele Pantoni, coach delle Fiamme Oro-Polizia di Stato, ed è particolarmente vicino all’esperienza inclusiva di Athletica Vaticana, l’associazione polisportiva ufficiale della Santa Sede.

In rappresentanza di oltre 100 milioni di rifugiati e di tutte le persone con disabilità — tengono a dire insieme — gli sportivi paralimpici provengono da Afghanistan, Siria, Iran, Colombia e Camerun e sono stati accolti in Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna, Grecia e, appunto, Italia.

Gareggeranno in sei sport paralimpici: atletica, sollevamento pesi, tennistavolo, taekwondo, triathlon e scherma.

Capo missione del Team è Nyasha Mharakurwa che ha rappresentato lo Zimbabwe nel tennis paralimpico ai Giochi di Londra 2012.

Per Andrew Parsons, presidente del Comitato internazionale paralimpico, se «tutti gli atleti con disabilità hanno storie di incredibile resilienza, le vicende dei rifugiati — sopravvissuti a guerre e persecuzioni — sono fuori dal comune». È un dato di fatto, aggiunge Parsons, che «oggi nel mondo molti sfollati forzati vivono in condizioni terribili. Questi atleti paralimpici hanno perseverato e mostrato un’incredibile determinazione per arrivare a Parigi e dare così speranza a tutti i rifugiati, perché il Team paralimpico accende i riflettori sull’impatto trasformativo dello sport nella vita delle persone e delle società».

Filippo Grandi, alto commissario dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati che segue da vicino le questioni del Team, va dritto al punto: «Per la terza Paralimpiade, gli atleti rifugiati, molto determinati e ispirati, mostreranno al mondo cosa possono ottenere se viene data loro l’opportunità di utilizzare, sviluppare e mettere in mostra capacità e talenti, nello sport e negli altri ambiti della vita». Lo sport, secondo Grandi, «è fondamentale per l’inclusione e l’integrazione dei rifugiati nelle comunità che li ospitano».

E lo sport visto con lo sguardo di atleti con disabilità e rifugiati è sostenuto in modo particolare da Papa Francesco. Nella prefazione del libro Giochi di pace. L’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi (edito dalla Lev su iniziativa di Athletica Vaticana), il Papa incoraggia proprio questa esperienza sportiva inclusiva: «Penso alle atlete e agli atleti con disabilità Sono sempre sbalordito guardando le loro prestazioni e ascoltando le loro parole. L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che persone — pur fortemente ferite nella vita — riescono a raggiungere quando sono messe nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita».

Di più, rilancia il Papa sempre nella prefazione di Giochi di pace: «Penso alle atlete e agli atleti rifugiati che raccontano storie di riscatto, speranza (…). Non sono “solo” donne e uomini di sport. Sono donne e uomini di pace, protagonisti di una tenace speranza e della capacità di rialzarsi dopo un “momento no”».

In Giochi di pace c’è anche la testimonianza di Ibrahim Al Hussein, siriano, che parteciperà alla sua terza Paralimpiade nella squadra dei rifugiati — è stato portabandiera a Rio de Janeiro 2016 — passando dal nuoto al triathlon (e confidando che mettere insieme i soldi per «l’attrezzatura necessaria per gareggiare nel triathlon» è una vera impresa). Racconta nel libro: nel 2012 «stavo scappando verso un domani migliore — sono nato nel 1988 a Deir el-Zor, in Siria — quando un cecchino ha colpito un mio amico. Era a terra e gridava aiuto. Sapevo che se fossi andato ad aiutarlo avrei potuto essere colpito anche io. Ma poi non mi sarei mai perdonato di averlo lasciato in mezzo alla strada. Pochi secondi e una bomba è esplosa proprio accanto a me. Ho perso la parte inferiore della gamba destra e ho avuto danni anche alla sinistra».

Ibrahim era un ottimo nuotatore, ma nella tragedia della guerra e con un’amputazione alla gamba la passione per lo sport sembrava essere naufragata. «In qualche modo ho raggiunto Istanbul e lì ho trovato persone generose che mi hanno procurato una protesi precaria, ma meglio di nulla: dovevo ripararla ogni 300 metri. Poi la notte del 27 febbraio 2014 — che è la data di inizio della mia “seconda vita” — ho attraversato il mare Egeo su un gommone fino all’isola di Samos, in Grecia». Persone generose gli hanno offerto un lavoro e donato una protesi vera. E Ibrahim ha ripreso a nuotare per riprendersi la sua vita, tanto da riuscire a partecipare alle Paralimpiadi del 2016.

Zakia Khudadadi — unica donna del Team — ha già partecipato ai Giochi di Tokyo nel 2021, dopo una rocambolesca fuga dall’Afghanistan in seguito al “divieto olimpico” imposto dai talebani. Ora vive a Parigi e ha vinto il Campionato europeo di taekwondo 2023 (categoria 47 kg), dedicando la vittoria alle donne del suo Paese.

Guillaume Junior Atangana, camerunense, velocista ipovedente che ora vive nel Regno Unito, correrà con la sua guida e connazionale Donard Ndim Nyamjua, anch’egli rifugiato, nei 100 e nei 400 metri (categoria T11). Ai Giochi di Tokyo è arrivato quarto, mancando di un soffio la medaglia, nei 400 metri. A giugno, nel Grand Prix Para Athletics di Nottwil, ha vinto i 400 arrivando secondo nei 100.

Per Salman Abbariki, iraniano oggi in Germania, è la seconda Paralimpiade, dopo aver gareggiato nel lancio del peso a Londra 2012. Ai Giochi paralimpici asiatici del 2010 ha vinto l’oro e ha battuto il record asiatico.

Il sogno paralimpico di Hadi Darvish, iraniano, è iniziato dopo aver visto in tv le Paralimpiadi di Londra 2012. Arrivato in Germania, ha vissuto due anni in un campo profughi con la moglie e i figli. Senza un soldo, ha avuto difficoltà a praticare sport ma non si è arreso: a giugno ha vinto la medaglia di bronzo nella gara di sollevamento pesi (fino a 80 kg) ai Mondiali di Tbilisi.

Sayed Amir Hossein Pour, iraniano residente in Germania, ha vissuto a lungo in diversi campi profughi, lontano dalla famiglia. Nel tennistavolo ha vinto due medaglie d’oro agli Asian Youth Para Games 2021 in Bahrain.

Hadi Hassanzada, afghano, ha vissuto il dramma di essere stato sfollato più volte nella ricerca di una vita migliore e ha affrontato situazioni difficili nelle rotte dei rifugiati attraverso la Turchia. Oggi vive in Austria. Nonostante l’amputazione del braccio destro, il taekwondo lo sta aiutando «a trasformare le difficoltà in opportunità».

di Giampaolo Mattei


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