· Città del Vaticano ·

Da Saba a De André i versi dedicati agli emarginati

La poesia
della “città vecchia”

 La poesia della “città vecchia”  QUO-153
08 luglio 2024

«Spesso, per ritornare alla mia casa / prendo un’oscura via di città vecchia. / Giallo in qualche pozzanghera si specchia / qualche fanale, e affollata è la strada. / Qui tra la gente che viene che va / dall’osteria alla casa o al lupanare, / dove son merci ed uomini il detrito / di un gran porto di mare, / io ritrovo, passando, l’infinito / nell’umiltà».

Sono i primi versi della Città vecchia di Umberto Saba, poesia citata dal Papa nell’omelia della messa celebrata ieri, domenica 7 luglio, a Trieste. Il poeta triestino ci mostra i personaggi che popolano i vicoli della città vecchia: la prostituta e il marinaio, la donna che litiga e il soldato: «sono tutte creature della vita / e del dolore; / s’agita in esse, come in me, il Signore». Quando Saba scrive questa poesia (1910-1912) a dominare la scena letteraria è il “vate” Gabriele D’Annunzio, con il suo estetismo narcisista e l’esaltazione pagana del superuomo. Lo sguardo di Saba è tutto diverso: «Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi / più puro dove più turpe è la via».

Il Papa commenta: «Dio si nasconde negli angoli scuri della vita della nostra città…L’infinito di Dio si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende una presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati, degli scartati». Non è l’idealizzazione romantica dell’emarginato, è la constatazione del metodo di Dio: sin dalla nascita, in una grotta a Betlemme, preferisce manifestarsi nella piccolezza. Gesù non esclude nessuno, ma storicamente è più facile che lo seguano gli umili e lo avversino persone che si sentono moralmente a posto: «Pubblicani e prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio».

Una curiosità: fu proprio la poesia di Saba a ispirare una delle più popolari canzoni di Fabrizio De André, La città vecchia. Anche qui, ma senza l’afflato religioso di Saba, troviamo i vicoli malfamati di un quartiere portuale e storie di persone disprezzate dai benpensanti. Francesco è stato il primo Papa a citare il cantautore genovese in un suo scritto (la prefazione al libro di Alver Metalli, Cuarentena — Diario dalla “peste” in una bidonville argentina). De André, rubando l’attacco del testo a Prévert, narrava di quartieri dove «il sole del buon Dio non dà i suoi raggi» troppo impegnato a «scaldar la gente di altri paraggi». Il Papa riprendeva questa espressione ma notava — come ieri a Trieste — che «non c’è zona, per quanto oscura, dove un raggio del buon Dio, tramite la testimonianza, non possa arrivare a scaldare qualche cuore e illuminare esistenze altrimenti invisibili».

di Lucio Brunelli