Città di frontiera
Da subito, tutti entusiasti e collaborativi: le istituzioni, la città tutta e la comunità cristiana. Poi la complessità dell’evento, l’assommarsi delle attività che impone la vita (civile ed ecclesiale) hanno reso il cammino non privo di ostacoli.
Trieste è una città di frontiera, con una storia complicata e che ha visto l’accavallarsi del dramma della Risiera di San Sabba (unico campo di concentramento con forno crematorio in Italia), delle foibe di Basovizza, dell’esodo dei profughi dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. Trieste ne porta ancora le cicatrici, che non sono i monumenti, ma le sofferenze che permangono incise nella propria identità. Per questo la memoria va non solo coltivata ma anche bonificata, purificata perché è come la terra: se è inquinata dà frutti avvelenati.
Trieste è dentro questa opera di rielaborazione continua: si presenta come una frontiera in cui si sperimentano vie di riconciliazione. È un ponte verso i Balcani e come sarebbe bello che altre terre potessero intuire che il lavoro paziente di confronto, di comprensione delle paure proprie e altrui, di ascolto del dolore proprio e altrui darà i suoi frutti.
La Chiesa e la città di Trieste si sono preparate con una serie di incontri, talvolta a livello diocesano, altre volte nelle parrocchie, nelle associazioni, nel confronto e nei dibattiti che si sono succeduti nei mesi passati. Anche sfruttando alcuni eventi e momenti che già fanno parte del calendario pastorale. Un certo scossone collettivo lo si è avuto quando è giunta la conferma che il Papa sarebbe venuto a Trieste.
In questi ultimi mesi in ogni messa ci si è uniti a pregare per essere trovati come una Chiesa che brilli di Vangelo e perché l’incontro con Papa Francesco fosse davvero espressione di una fede che fa sentire parte di un popolo di credenti che si estende fino agli estremi confini della terra.
Una partecipazione che ha commosso è stata quella degli anziani delle case di riposo: spontaneamente hanno iniziato a scrivere lettere al Papa. Ad essi si sono aggiunti i bambini con i loro disegni e le loro letterine. È sembrato che anziani e bambini fossero i più entusiasti e che in qualche modo indicassero a tutti che occorreva prepararsi, anzitutto con il cuore, con la preghiera, con il desiderio di non sciupare la venuta del Papa a Trieste. Solo in ritardo si è estesa l’iniziativa “Caro Papa ti scrivo...”: allargandola anche ad altri anziani e bambini che un po’ alla volta, anche attraverso le scuole e gli oratori, si sono aggiunti. La Settimana sociale dei cattolici in Italia è sulla “partecipazione” e sulla democrazia: la partecipazione spontanea di anziani e bambini è stata un segno positivo che fa riflettere, anche quelle sacche di persone che rischiano di rimanere indifferenti e distaccate, magari per motivi ideologici (che non mancano anche in qualche gruppuscolo di credenti) o perché distratti dai propri impegni.
E poi c’è il capitolo dei volontari: occorre ringraziare tutti coloro che si sono resi disponibili, persone di tutte le età. Certo i giovani sono ancora in periodo di esami all’università, alcuni sono impegnati in altri fronti... È vero... sarebbe stato bello avere più giovani, ma è anche bello vedere che persone di tutte le età collaborano gratuitamente per lo svolgimento della Settimana sociale dei cattolici e per l’arrivo del Papa.
Una delle iniziative che è ricca di suggestioni è la grande tovaglia realizzata dagli studenti. Viene da dire che lo Spirito soffia davvero dove vuole e non sappiamo da dove viene e dove va (Gv 3, 8). Sono stati alcuni insegnanti che si sono posti l’interrogativo: come aiutare le nostre classi a lavorare sul tema della Settimana sociale dei cattolici? Certo si può ragionare di partecipazione e di democrazia, ma si può anche sperimentare la partecipazione: e così, nella logica della peer education gli studenti delle superiori sono andati ad aiutare quelli delle medie e quelli delle medie quelli delle elementari. Ma non solo per ragionare, ma anche per realizzare una lunghissima tovaglia, in un’esperienza estetica-operativa (ispirati dall’artista frate Sidival Fila). Si partiva dalle case. Ogni studente doveva scegliere una stoffa significativa della sua famiglia che in qualche modo raccontasse un pezzo di storia, di vita familiare: per esempio un pezzo di una vecchia coperta di quando si era bambini; un pezzo di maglietta di calcio con la quale, accompagnati dal papà si andava a giocare, un pezzo di una tovaglia logora attorno alla quale tante volte si aveva mangiato insieme... A scuola si sono portati questi pezzi di stoffa e si è imparato a cucirli, aiutati dai più grandi. È bella la metafora: la scuola come l’istituzione che insegna a creare legami, a tessere legami di storie familiari. Su questi pezzi di stoffa ciascuno ha scritto qualcosa: chi il proprio nome, chi uno slogan che riassumesse un qualche aspetto di cosa significhi “partecipare”. Ne è saltata fuori una tovaglia di 90 metri e larga 180 centimetri. Vi hanno collaborato quasi 2.000 ragazzi. Sia di scuole di lingua italiana sia di lingua slovena. Poi l’hanno stesa in piazza Unità d’Italia. I più grandi — circa 1100, più i loro insegnanti — vi hanno pranzato attorno. E poi dai loro zainetti hanno estratto pasta, riso, tonno... per i poveri, per quelli che a quella mensa non c’erano. E si sono raccolte ben più di 12 ceste piene. È il miracolo della condivisione. Dalla partecipazione alla condivisione. Dalle famiglie e dalle loro storie, per la mediazione della scuola, si è arrivati — tutti sorridenti — al centro della città: piazza Unità d’Italia. La scena era bellissima: e non è mancata l’ispirazione di cogliervi come una grande tovaglia di altare, attorno alla quale tutti si è affamati, e non solo di pane ma dell’Amore di Dio. Tutti bisognosi di Lui. E saziati da Lui. Per ripartire ricordando chi ancora non ha partecipato a quella mensa.
Ecco qualche suggestione da Trieste. Ma ormai si è arrivati. Ora è il tempo di prendere parte, di partecipare alla Settimana sociale dei cattolici: per la prima volta la città non è solo ospitante i delegati, ma animata da varie piazze tematiche e spettacoli e stand di buone pratiche a cui liberamente partecipare.
di Enrico Trevisi
Vescovo di Trieste