Dal Pontefice un invito
Domenica 7 luglio Papa Francesco sarà a Trieste per la chiusura della 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia in corso da mercoledì 3. Una visita breve ma che nel programma prevede alcuni incontri tra cui quello del Pontefice con un gruppo di migranti. Padre Giovanni La Manna, gesuita, è dall’ottobre scorso il direttore della Caritas triestina. Alle spalle una lunga esperienza di impegno a fianco di rifugiati e richiedenti asilo.
Padre La Manna, sappiamo che Trieste è coinvolta nel fenomeno dell’immigrazione per quanto riguarda i flussi provenienti dalla rotta balcanica. Dal rapporto “Vite abbandonate” presentato di recente proprio al Circolo della Stampa di Trieste si vede che gli arrivi sono continui e che il sistema di accoglienza presenta delle criticità. Vuol farci un quadro della situazione?
Sì, partirei dalla situazione nazionale, perché l’Italia ha sempre avuto difficoltà a governare il fenomeno dei migranti, infatti si parla sempre di “emergenza”. Trieste è la porta all’Italia e all’Europa per quanto riguarda le persone che viaggiano sulla rotta balcanica e anche qui si è fatta fatica, tant’è che si sono generate situazioni indegne dove le persone hanno avuto bisogno di procurarsi da sole una sistemazione in luoghi veramente fatiscenti, quale quello del Silos, un magazzino accanto alla stazione ferroviaria che, grazie a Dio, il 21 giugno è stato chiuso, e ora si sta cercando di dare delle risposte in tempo reale alle persone che arrivano. Proprio per questo la Caritas diocesana ha aperto già un anno fa un dormitorio per loro, ma bisogna essere bravi nell’accogliere subito coloro che arrivano e nell’attuare una rotazione perché tutti, fermandosi su Trieste, creano un peso che la città fa fatica a sostenere. Quindi con i trasferimenti in altri territori del nostro Paese — così come Lampedusa accoglie ma non possono rimanere tutti sull’isola — le cose possono funzionare e parliamo di numeri che consentono questa distribuzione. L’importante è non lasciare nessuno per strada.
Quali sono le principali necessità delle persone che arrivano in città?
C’è da ricordare innanzitutto che non tutti quelli che arrivano a Trieste hanno intenzione di fermarsi. Quello di cui hanno bisogno dopo aver percorso una rotta faticosa, dopo aver subito anche delle violenze, è un luogo dignitoso che li accolga, di qualcuno che si occupi della loro salute e che spieghi quali sono i loro diritti in modo da instradarli nella richiesta di asilo politico o dando loro le informazioni necessarie per scegliere il loro percorso.
Quali sono le condizioni di questi migranti o richiedenti asilo?
Le condizioni fisiche in cui arriva una persona che ha viaggiato per chilometri, per lo più a piedi, sono facili da immaginare. Molte persone vengono fermate dalle varie polizie ai confini e sono sottoposte anche a violenze fisiche. Vengono private delle scarpe, portano segni di bruciature. C’è tutto un sistema che preme su di loro per scoraggiarli nel mettersi in viaggio.
Qual è l’atteggiamento della cittadinanza verso queste persone? Mi pare che a fronte di qualche ostilità che c’è ovunque, anche il senso di solidarietà sia ben presente a Trieste...
Sì, l’impegno e la sensibilità della città di Trieste l’abbiamo sperimentati quando il nostro vescovo Enrico Trevisi ha chiesto di aprire questo dormitorio. Più di 100 persone hanno dato la propria disponibilità al volontariato. La città non è insensibile ma noi paghiamo un clima culturale che ha creato paura, rifiuto. Per questo c’è bisogno di sensibilizzare con un linguaggio appropriato e soprattutto di favorire l’incontro con i migranti per scoprire che sono persone come noi, che non sono una minaccia. Ci sono tante realtà di volontariato, scuole d’italiano, centri diurni ecc... C’è un mondo che qui a Trieste si adopera in favore di queste persone e anche noi siamo chiamati ad assumere un atteggiamento costruttivo, non di contrapposizione o di protagonismo, ma concentrati sempre sul loro bene. Questo è quello che ha portato alla chiusura del Silos e sta ora consentendo lo sforzo di accogliere e di trasferire.
Ricordo che i vescovi della regione Friuli Venezia Giulia in una lettera scritta in occasione della sospensione del trattato di Schengen al confine con la Slovenia lo scorso ottobre, raccomandavano di mantenere quella identità fatta di accoglienza che è propria delle sue comunità, perché da sempre questa è una zona di incontro tra persone diverse.
Fare memoria della nostra storia dovrebbe aiutarci a comprendere la situazione di queste persone. Trieste ha accolto i profughi istriani, quindi è una città che ha dato dimostrazione di accoglienza per persone che avevano perso tutto. Noi italiani siamo stati migranti e alla luce di questa esperienza dovremmo avere una sensibilità maggiore. I problemi del nostro Paese non sono i migranti, anzi, per alcuni problemi quale la diminuzione della nostra popolazione, della forza lavoro, la loro presenza potrebbe essere un aiuto valido nel momento in cui noi non rendiamo impossibile la vita, ma consentiamo loro di rimettersi in piedi, di essere una forza positiva nel nostro contesto.
Padre La Manna, per anni lei ha diretto il Centro Astalli dei gesuiti a Roma. Che cosa di nuovo, di diverso, sta sperimentando ora qui con i migranti?
Dopo undici anni al Centro Astalli ho provato gratitudine per essere stato alla scuola dei migranti, delle persone in difficoltà, dei poveri. A Trieste il contesto è diverso, i numeri sono diversi. Una prima impressione per me è stata notare questa diversità. Roma ha numeri molto più grandi. Trieste è una città dove non ci sono difficoltà economiche e quindi stride la fatica che si fa ad essere progettuali e accoglienti. Le persone sono le stesse, sono persone quelle che arrivano a Lampedusa e lo sono quelle che arrivano dalla rotta balcanica. Quello che mi rende contento è l’essere ritornato alla scuola delle persone in difficoltà, dei migranti, con un contesto diverso che rende possibile l’accoglienza progettuale. La sfida è crescere sempre più in questa capacità.
Chi saranno i migranti che incontreranno Francesco domenica? C’è qualcosa che lei si augura possa nascere da questo incontro?
Sicuramente sarà un momento che potrà donare speranza concreta a queste persone con diverse storie, con diverse provenienze. Ci saranno persone appena arrivate, persone che hanno avuto modo di fare un percorso qui a Trieste. Saranno singoli, donne con bambini, e ci saranno anche nuclei familiari.
di Adriana Masotti