· Città del Vaticano ·

Intervista all’arcivescovo di Addis Abeba, cardinale Souraphiel

Dalla parte del popolo etiope che soffre

Sudanese refugees waits in line to collect water at Kumer refugee camp, near Maganan, 70 km from the ...
04 luglio 2024

La Chiesa cattolica in Etiopia è sempre dalla parte del popolo che soffre. Così il cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo metropolita di Addis Abeba, in un’intervista ai media vaticani ha commentato i conflitti che colpiscono l’Etiopia tra gruppi regionali e governo federale. Da quello formalmente concluso nel Tigray a quelli in Oromia e Amhara. «Noi come Chiesa cattolica non appoggiamo né una parte né l’altra, ma siamo con il popolo che soffre», afferma il cardinale. «Piuttosto siamo per l’assistenza sociale e per cercare una riconciliazione per il dopo guerra, quando si deve fare non solo la pace, ma anche guarire dai traumi sia chi ha sofferto direttamente nella guerra, come le donne vittime di abusi e i bambini che hanno visto le loro famiglie morire. Questo è importante e non si fa solo a livello di una piccola Chiesa, ma con l'appoggio della Chiesa universale. Si può fare insieme con i tanti missionari che lavorano con noi e che vengono da tutto il mondo».

Più di 500 anni fa i cristiani dell’Etiopia viaggiavano fino ad Alessandria, in Egitto, per pregare sulla tomba di San Marco, poi andavano a Gerusalemme per pregare sul Golgota e poi prendevano una nave fino a Roma, per recarsi sulle tombe dei Santi Pietro e Paolo e dei martiri, riposando nel luogo che è ancora il collegio etiopico in Vaticano. «Siamo qui a continuare la storia di questo pellegrinaggio antico», spiega il cardinale Souraphiel, in visita ad limina a Roma insieme ad altri 12 presuli e un sacerdote della Chiesa cattolica etiope. Dopo aver pregato nelle quattro basiliche maggiori a Roma, i vescovi hanno visitato i dicasteri della Santa Sede e, venerdì 28 giugno, sono stati ricevuti da Papa Francesco. «Ci ha ricevuto con tanta semplicità e anche umiltà», racconta, «lo abbiamo ringraziato anche per il suo appoggio durante le guerre e i conflitti nel Paese, di cui lui ha parlato negli appelli dopo l'Angelus. Lo abbiamo ringraziato e gli abbiamo chiesto di continuare a pregare per noi».

«Abbiamo presentato la situazione dell'Etiopia dal punto di vista dei giovani, perché su 120 milioni, il 70% della popolazione è costituito da giovani che vogliono migliorare la loro vita e quella dei loro parenti. Vedono sulla tv e sui social media come vivono in altre parti del mondo e molti vanno nei Paesi arabi e purtroppo lì soffrono perché non sono preparati a lavorare come domestici. Altri vogliono andare in Sudafrica, dove va un pò meglio, ma anche lì ci sono problemi. Gli altri vanno a nord e attraversando il Sudan e la Libia cercano di arrivare in Europa», aggiunge il cardinale Souraphiel. «Nel XIX secolo», continua, «molti europei migravano e c’erano alcuni luoghi in Europa disponibili a riceverli e sostenerli, ma tutto questo adesso viene a mancare. Papa Francesco questo lo sa. «Dobbiamo», quindi, «fare qualcosa per aiutare la gente, sia in Africa sia in Siria o in altri Paesi».

«Quando qualcosa riguarda i poveri», continua l’arcivescovo di Addis Abeba ricordando le parole che il Pontefice ha rivolto loro, «allora dobbiamo essere vicini a loro: noi siamo accanto ai bambini, che soffrono molto quando non vanno a scuola perché le scuole sono distrutte, siamo vicini alle mamme che non possono andare negli ospedali perché sono distrutti e agli anziani che sono sfollati dai loro villaggi e vivono come stranieri». I fedeli della Chiesa cattolica etiope sono circa il 2% dei 120 milioni della popolazione. La maggioranza degli abitanti dell’Etiopia è cristiana: più del 45% sono ortodossi, poi vengono i protestanti, intorno al 18-20%. «Abbiamo la responsabilità di essere luce e sale in questo grande Paese», dice il cardinale Souraphiel, «siamo al secondo posto per i servizi sociali che offriamo, come scuole, centri sanitari o centri gestiti dalle suore di Madre Teresa o presidi per lo sviluppo o l’assistenza umanitaria, come la Caritas. In tutto questo siamo chiamati ad essere luce e sale, come Gesù ci ha detto. Non è facile, ma ci stiamo provando».

di Michele Raviart