Il viaggio unico dell’uomo
Arrivare, tornare: potrebbe sembrare il tema dell'ultima puntata di Parole in cammino ma quella di venerdì scorso in realtà è stata la penultima. Lasciamo un po' di suspence non rivelando il tema che sarà trattato il prossimo venerdì 5 luglio e diciamo qualcosa della conversazione su questo tema, arrivare e tornare, affrontato con l'aiuto di Marta D'Ambrosio e Francesco Porceddu.
La nota particolare è stata quella delle prevalenza del tema del ritorno su quello dell’arrivo. Come se, nel cuore dell'uomo, il ritornare fosse più chiaro dell'arrivare. Arrivare dove? Si arriva veramente da qualche parte oppure si arriva ma solo per ripartire? Il ritorno invece appare più rassicurante, più sicuro, il sentimento della casa e quindi della nostalgia (homesick in inglese) è uno dei più forti che albergano nell'interiorità degli esseri umani. Si è quindi, di nuovo, parlato di Ulisse. Questa figura ci ha accompagnato in quasi ogni passo che abbiamo fatto durante i 3 mesi di viaggio compiuti da Parole in cammino. Questa volta di Ulisse ci ha interessato il finale della storia. Perchèé di Ulisse ne corso dei secoli non ce né solo uno, ma molti. Pensiamo ad esempio al doppio Ulisse di Omero e di Dante. Il primo torna a Itaca, il secondo riparte da Itaca per fare il “folle volo”.
Questa stessa doppiezza la ritroviamo nel finale de Il Signore degli Anelli, in cui da una parte c'è Sam che torna dalla moglie Rosie, a casa, proprio come l'Ulisse omerico, e dice le parole con cui si chiude il romanzo: «Sono tornato». Ma in quella stessa ultima pagina c'è anche il finale di Frodo che prende la nave per un altro “volo”, fuori dalla Contea e dalla stessa “Terra di Mezzo”.
C'è un’inquietudine nell'uomo che vince ogni nostalgia, le due spinte quasi si confondono a voler significare che la nostra “casa” non è qui, in questo mondo. C’è un antico detto africano che esprime questa unicità dell'essere umano, solo tra tutte le altre realtà naturali, a vivere “senza ritorno” o, per dirla con Dylan “no direction home”: «Nel tempo in cui Dio creò tutte le cose, il sole creò. Il sole nasce, muore e ritorna. Le stelle creò: le stelle nascono, muoiono e ritornano. L’uomo creò. L’uomo nasce, muore e non ritorna più».
C'è una ciclicità nella natura che non si può applicare facilmente alla realtà umana che sfugge alla presa. L'uomo non è un essere (soltanto) naturale. C’è anche una dimensione spirituale. È la fonte della sua libertà e, infine, della sua dignità. Ecco perché si può parlare di una “storia” di un essere umano, o di un popolo, ma è difficile applicare lo stesso termine ad un essere naturale che sia minerale, vegetale o animale. Una storia è sempre contraddistinta dalla libertà, per cui ogni attimo è “decisivo”, in ogni momento la direzione di quella persona può cambiare o addirittura interrompersi: un uomo può anche suicidarsi, non così gli altri esseri viventi.
Quella ciclicità della natura era ben presente agli antichi greci che parlavano infatti di un tempo ciclico, il Fato, che era ineluttabile e sempre (ri)tornava.
A questa visione si contrappone quella semita, presente nella Bibbia, che si apre ad una novità, al futuro, all' “avvenire”. Abramo parte verso un paese nuovo, sconosciuto, che “Io ti indicherò”. Ecco perchè Levinas osservava come il vero viaggiatore non è Ulisse che torna verso il già noto, ma Abramo che si lancia verso una meta ignota. Mutatis mutandis, Papa Francesco quando parla di una “chiesa in uscita” sta dicendo di non essere “indietristi” ma affidarsi con fiducia ad una novità che proviene dal Dio della Bibbia e del Vangelo che è il Dio delle sorprese. Così come una sorpresa sarà il tema della prossima, ultima puntata di Parole in cammino.
di Andrea Monda