L’estate di chi
«Cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua». Questa strofa della celebre canzone Azzurro interpreta bene lo spirito con cui gli italiani — che siano giovani studenti o adulti lavoratori — vivono l’arrivo della stagione estiva, il periodo delle vacanze cercato appunto lungo tutto il resto dell’anno. Da tempo ormai, in Italia come negli altri Paesi occidentali, le vacanze sono assurte a vero e proprio diritto. E del resto, gli ultimi Pontefici hanno sottolineato l’importanza di vivere un tempo di pausa dal lavoro per coltivare le relazioni più importanti, a partire da quelle familiari, e per godere del Creato che è donato gratuitamente ad ognuno di noi. Vacanza dunque non come sinonimo di oziosità, ma come tempo fecondo per dedicarsi ai valori della vita e per rallentare il ritmo di una società che ormai ci impedisce di capire pienamente ciò che ci scorre davanti ogni giorno.
Al tempo stesso, il “fare vacanza” richiama immediatamente la naturale propensione dell’uomo a viaggiare. L’essere umano è un essere in cammino da sempre. È perennemente in movimento. Come affermava sant’Agostino: «Il mondo è un libro. Chi non viaggia ne legge una pagina soltanto». Non a caso oggi si dice comunemente “vado in vacanza” utilizzando un verbo che indica l’andare perché altrimenti la vacanza non sarebbe sentita davvero come tale. Eppure nelle nostre assolate città, a partire da Roma gremita di turisti come non si registrava da tempo, c’è tutto un “popolo” che in vacanza non ci andrà perché anche questo diritto, tra tanti altri, gli viene negato: i poveri. Loro, gli invisibili o visti con indifferenza, non avranno questa opportunità. Qualche anno fa, ebbe grande risalto la notizia che l’elemosiniere apostolico, il cardinale Konrad Krajewski, aveva portato un gruppo di homeless a passare una giornata al mare. Altrettanto stupore suscitò la prima visita dei senzatetto in Cappella Sistina offerta dal Papa. Due gesti apparentemente piccoli, eppure grandi nel significato perché indicano che anche i poveri — come e più di chi non vive nell’indigenza — hanno bisogno di spazi e occasioni di divertimento e di gustare la bellezza dell’arte di cui l’Italia è un giacimento sconfinato.
Perché non immaginare allora, in questa estate 2024, che ogni città, piccola o grande, organizzi iniziative del genere? In fondo il tessuto sociale e civile si ricuce anche così: mettendo al centro quelli che stanno al confine, spesso collocati talmente ai margini che nemmeno riusciamo a vederli. Scopriremmo così che anche tra questi “scartati” c’è tanta ricchezza non solo di umanità ma anche di esperienze professionali, di culture, di intelligenze come si coglie nella lettura de «L’Osservatore di Strada» che ogni mese porta le storie degli ultimi in superficie.
Accanto a quello dei poveri, c’è un altro “popolo” che soffre particolarmente in estate e che sta molto a cuore a Bergoglio: gli anziani. Anche per loro le città che si svuotano, i servizi pubblici che diminuiscono e gli affetti che si allontanano sono una sfida difficile da affrontare. Come ha osservato l’arcivescovo Vincenzo Paglia, «i nostri anziani non muoiono di caldo, ma di solitudine e abbandono». Eppure sono proprio i nonni che, durante il resto dell’anno, assumono la funzione di un vero e proprio “Stato sociale” in particolare con i propri nipoti. Fin dall’inizio del pontificato, il Papa ha fortemente richiamato la necessità di un’alleanza tra giovani e anziani, per aprire il futuro ad un’umanità ferita. Ha incoraggiato i giovani a non lasciare soli i vecchi, a seguire l’esempio biblico di Rut, che non abbandonò l’anziana suocera Noemi. Non c’è un’alternativa valida a questo vicendevole sostenersi delle generazioni, se vogliamo veramente rendere più umana la società in cui viviamo. Almeno questo principio, sembra dirci Francesco, è bene che non vada mai in vacanza.
di Alessandro Gisotti