C’è una voce, anzi un coro di voci che fa da “guida” alla lettura di questo numero dell’«Osservatore di Strada». Come quelle che raccontiamo ogni mese, sono voci che arrivano da una periferia estrema perché il carcere, anche quando è posto in quartieri centrali, resta comunque un luogo lontano, estraneo al resto della città, invisibile come l’umanità che lo abita.
Le voci sono quelle delle detenute della casa di reclusione della Giudecca che, insieme con una comunità di artisti di fama internazionale, sono le artefici del Padiglione della Santa Sede alla Biennale d’arte di Venezia 2024. Le donne hanno affidato i loro pensieri più intimi all’artista Simone Fattal che li ha poi incisi su placche di lava smaltate disseminate lungo il percorso all’interno della casa di reclusione. Chi ci legge troverà i testi nelle pagine che seguono, fissati in alto come post-it per ricordare che al di là delle sbarre di una prigione non ci sono mostri, ma donne e uomini con gli stessi sentimenti, le stesse paure, le stesse speranze di chiunque altro. Hanno sbagliato e stanno pagando il loro conto con la società, ma non per questo hanno perso il diritto di essere riconosciute e rispettate, di sognare un futuro migliore, per sé, per le proprie famiglie e per la società.
D’altra parte, proprio questo è il messaggio che scaturisce dalla scelta della Santa Sede di allestire il proprio padiglione per la Biennale d’arte di Venezia all’interno di un carcere: aprire una breccia nel muro della diffidenza e dell’indifferenza, promuovere, attraverso il linguaggio dell’arte, la cultura dell’incontro, accendere sulla realtà della detenzione un riflettore “diverso” da quello del pregiudizio e del luogo comune. Perché, come ha detto Papa Francesco durante la visita compiuta il 28 aprile (la ricordiamo nelle pagine 7, 8 e 9), «tutti abbiamo errori di cui farci perdonare e ferite da curare, io anche, e… tutti possiamo diventare guariti che portano guarigione, perdonati che portano perdono, rinati che portano rinascita».
Perciò, con gioia e gratitudine «L’Osservatore di Strada» ha accolto l’invito del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, ente promotore del Padiglione, dei curatori Chiara Parisi e Bruno Racine e del maestro Maurizio Cattelan — l’autore dell’unica opera esposta all’esterno del carcere (è la nostra copertina), a far parte della squadra. È nata così questa edizione “speciale” che, nella versione cartacea, viene distribuita, oltre che in piazza San Pietro, anche tra i visitatori della Biennale.
In queste pagine troverete il racconto del Padiglione visto “con i nostri occhi”, come recita il titolo, che sono quelli di un giornale di strada. Scoprirete un capolavoro di creatività che ha trovato casa e ragion d’essere là dove non ce lo si aspetta. Vedrete la bellezza che, quando è vera, non nasconde ombre e ferite. E, soprattutto, ascolterete le voci delle donne della Giudecca intrecciate con quelle degli artisti e le nostre, per far nascere da questa esperienza un “ponte” tra chi sta “dentro” e chi sta “fuori”, senza “ultimi” né “primi”.
Il matto, nel film di Fellini «La Strada», spiegava a Gelsomina che anche un sasso, «uno qualunque, serve a qualcosa». Questo vale anche per il sasso più sbrecciato.
di Piero
Di Domenicantonio