«Presto! Chiudete ed allontanatevi dalle finestre».
Questo ci dissero le agenti per motivi di sicurezza, poco prima che Papa Francesco atterrasse. Mentre tutte noi eravamo curiose ed impazienti di vedere il Pontefice atterrare nella nostra area passeggi.
Abbiamo solamente sentito il rumore prodotto dalle eliche e, da qualche metro lontane dalle finestre, visto i rami degli alberi piegarsi, le panchine spostarsi, l’intera Casa di Reclusione fu pervasa da una forte raffica d’aria.
Credenti o no, tutte custodivano un’emozione in quel momento, perché era qualcosa di diverso, inaspettato come il vento del nord che va verso sud, lo riconosci, senti che non è qualcosa che provi tutti i giorni.
Quel giorno faceva un po’ freddo, ma fa poca differenza per noi che il freddo ce lo portiamo dentro ogni giorno.
Papa Francesco ci ha accolte con un sorriso e delle potenti parole, che vanno oltre la fede, perché qui siamo tutte di etnie, religioni e credenze diverse.
Le sue parole ambivano alla speranza, la speranza di un futuro migliore e differente.
La speranza nelle persone che stanno attraversando il nostro stesso cammino, un invito ad aiutarci, starci vicino l’una con l’altra, senza se e senza ma.
La speranza nell’aiuto delle persone che ci assistono, che non si limitano a farci rispettare le regole e punirci, ma che senza giudizio, senza sentirsi potenti e dominanti nei nostri confronti solo perché indossano una divisa e sono dall’altro lato della medaglia, lascino che svanisca questa superiorità per tramutarsi in insegnamento. Speranza nelle persone che stanno al di fuori di questa realtà, che non si curano o chiedono che cosa accada in questi posti, perché non sai mai cosa la vita ti riserva. Giudicare è condannare, condannare è costringere a subire qualcosa di molto brutto.
Alle volte senza nemmeno conoscere.
Speranza nell’umanità, nell’aiuto, nel perdono, nell’umiltà di persone che stanno dimenticando sé stesse e di conseguenza anche gli altri e tutto ciò che le circonda.
Il Papà della Speranza ci vuole ricordare che non esiste solamente la ricchezza materiale, che si può ottenere in modo legale e non, ma che esiste soprattutto una ricchezza che non ha niente a che fare con la materia e non si può ottenere né acquistare con nessun denaro. Una ricchezza che abbiamo tutti, ma che tutti abbiamo sepolto come uno scrigno, da qualche parte dentro di noi.
Intraprendete un viaggio alla ricerca di quello scrigno, scavate a fondo, disseppellitelo e, se ciò che troverete non sarà sufficiente, potrete arricchirvi compiendo atti di Amore, di Aiuto, di Unità, di Conforto sia con voi stessi che con gli altri.
L’unica vera eredità che conta alla fine di tutto non sarà quella che avete nel conto, ma la vostra eredità interiore e la vostra capacità di trasmetterla.
Giulia Boschin, per Angelica, Antonella, Marceby, Paola, Patrizia, Rosaria ,
e tutte le donne della Casa
di Reclusione Femminile Venezia - Giudecca