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La pena non è fine a se stessa

 La  pena  non è  fine a se stessa   ODS-023
06 luglio 2024

Il carcere è sofferenza e privazione della libertà. Ma la pena non è fine a se stessa, è finalizzata al reinserimento nella società. Per questo il tempo della detenzione non deve essere “un tempo vuoto”, ma riempito dalle attività trattamentali, quindi lo studio, la formazione, lo sport e il lavoro. Sono questi gli strumenti per strappare alla rassegnazione o alla vecchia vita la persona “ristretta”.

Sono tante le misure annunciate che però si misurano con gli effetti del sovraffollamento e con l’insufficiente numero di educatori, personale penitenziario e psicologi. Eppure le attività non mancano, grazie alla sensibilità di direzioni ed educatori e soprattutto ai volontari e ai loro progetti culturali e di formazione: laboratori teatrali, di lettura e di scrittura creativa, corsi abilitanti al lavoro che danno un senso e un futuro alla popolazione reclusa. Almeno ai pochi che le seguono, perché di una minoranza si tratta, visto che spesso restano fuori quelli che già erano ai margini della società: stranieri, dipendenti da sostanze, portatori di disagio psichico.

Se con pazienza si costruiscono attenzione e ascolto verso il “mondo ristretto” valorizzando le competenze presenti, possono emergere realtà di eccellenza e veri talenti. Chi non conosce il panettone Giotto, prodotto di alta pasticceria realizzato dal laboratorio del carcere Due Palazzi di Padova? Ma sono tanti i prodotti di eccellenza “galeotti”, realizzati nei diversi penitenziari italiani. Come pure le “produzioni” artigianali frutto dell’impegno di imprese, fondazioni e realtà di volontariato laico e cattolico, come la "Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti" che con il suo presidente Arnoldo Mosca Mondadori è nel comitato promotore del Padiglione della Santa Sede. Così è stato possibile assicurare professionalità, lavoro e futuro.

In varie carceri si tengono attività teatrali e laboratori di lettura e scrittura creativa che favoriscono percorsi di consapevolezza e maturazione personale che hanno fatto scoprire veri talenti, come l’ex ergastolano Cosimo Rega, recentemente scomparso. Da camorrista è diventato attore, scrittore e regista, tra i protagonisti del film Cesare deve morire dei fratelli Taviani premiato con l’Orso d’Oro al festival di Berlino, si è dedicato al recupero della devianza giovanile.

Vi sono vere tradizioni teatrali come quella della “Compagnia della Fortezza” del carcere di Volterra o esperienze più recenti, come quella della Casa di Reclusione di Rebibbia dove con lo Stap Brancaccio i detenuti hanno portato in scena Nella pancia del pescecane, liberamente tratto dal Pinocchio di Collodi.

I laboratori di lettura e scrittura creativa presenti in tante carceri sono occasioni per colmare il vuoto del “tempo ristretto” e rompere la barriera tra il dentro e il fuori le sbarre. È questo l’impegno della rivista Ristretti Orizzonti del carcere di Padova da cui è nato anche il podcast e libro Io ero il Milanese. Storie di errori e rinascite, che ha fatto conoscere al grande pubblico cosa sia la realtà carceraria.

Roberto Monteforte