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DONNE CHIESA MONDO

I film sulla vita religiosa: l’analisi di Patrizia Rossi

Operazione verità

 Operazione verità  DCM-007
06 luglio 2024

Premiati dalla critica, meno dal grande pubblico e dalle sale. «La vita religiosa non è molto comprensibile nella nostra società. Così anche il cinema, quando riflette su queste tematiche, spesso usa dei clichés o dà delle rappresentazioni molto parziali». Suor Patrizia Rossi, salesiana, appassionata di cinema, è delegata Ciofs (Centro Italiano Opere Femminili Salesiane) per i Cinecircoli giovanili socioculturali ( Cgs ).

Riguardo alla vita religiosa femminile un filone che il cinema ha spesso toccato è l’abuso. Quali i registri usati?

«Nonostante i limiti a cui accennavo, ci sono film di grande spessore cinematografico che hanno affrontato queste tematiche, hanno vinto anche dei premi, ma non sono passati nei cinema o comunque non hanno avuto il successo meritato. Il registro usato è per lo più quello del sacrificio, che ritorna anche nei titoli – Agnus Dei, Agnese di Dio– o nelle colonne sonore – come per Luis Buñuel che in Viridiana sceglie il Requiem di Mozart. Un altro tema ricorrente è il conflitto di coscienza della religiosa abusata, che nasce da una scelta imposta, legata a un rapporto malsano con un/una superiore. Costante poi il riferimento alla manipolazione della volontà di Dio, in strutture malate. In genere questi film fanno vedere che qualcosa scricchiolava già prima, a prescindere dall’evento scatenante. La colpa, i film sembrano dirci, non è solo della singola suora, ma di un contesto».

Quale film a suo parere ha centrato più di altri il tema?

«È uno dei meno recenti, La Storia di una monaca, di Fred Zinnemann, con Audrey Hepburn. È la storia di Lucia, una ragazza intelligente, suora ribelle, che non si allinea alla volontà della superiora. Pur ambientato nel 1959, con tutti i distinguo temporali, rappresenta il film che, secondo me, meglio riproduce gli stereotipi degli abusi psicologici all’interno di una comunità».

E altri?

«Un po’ tutti i film che si sono occupati di questi temi, con sfumature diverse raccontano un pezzo di verità sugli abusi. Per esempio Agnese di Dio di Norman Jewison, uscito nel 1985, ci porta dentro il convento attraverso gli occhi di una psichiatra, interpretata da Jane Fonda. Una giovane suora partorisce un bambino, che muore, e la cosa viene insabbiata e derubricata come volontà di Dio. Interessante come viene affrontato il senso di colpa e il tema della generatività. Il film affronta il conflitto tra fede e scienza e lascia nello spettatore molte domande aperte talvolta insolute».

Quale film l’ha più colpita?

«Mi ha colpito e sconvolto Oltre le colline, di Cristian Mungiu, del 2012, premio per la miglior interpretazione femminile e per la miglior sceneggiatura al 65mo festival di Cannes. Non appartiene al filone cattolico, è ispirato a una storia tragica accaduta nel 2005 in una comunità di religiose ortodosse, nel convento santissima Trinità della Romania orientale. Mi ha sbigottito la storia reale per la sua brutalità, la protagonista alla fine viene crocifissa, accusata di essere posseduta dal demonio. Ma, al di là di questo, il film, che sfuma molto la brutalità della storia originale, sa rendere il clima di omertà e le modalità con cui nel convento si maschera sia l’abuso psicologico che fisico, fino alla decisione collettiva di “sacrificare” come Agnello una consorella che nella finzione filmica muore per i maltrattamenti subiti».

Altri film importanti per questi temi?

«Viridiana, del 1961, vincitore della palma d’oro a Cannes. Un premio meritato per il modo con cui si descrive la maturazione dell’abuso, che avviene fuori dal convento, da parte di un parente, seguendo quanto dice la superiora all’inizio del film: «Sforzati di essere affettuosa con lo zio». E poi Magdalene, di Peter Mullan, del 2002, un film che denuncia i soprusi subiti dalle ragazze orfane o rinnegate dalle famiglie, che venivano inviate nelle Case Magdalene, dove venivano impiegate soprattutto come lavandaie non retribuite. Una ferita che ancora oggi è aperta in Irlanda. Capolavoro a mio avviso è Ida, di Paweł Pawlikowski, vincitore del premio Oscar nel 2015. Il film scava nell’interiorità di questa donna con l’utilizzo superbo del bianco e nero, in bilico tra il dubbio di un passato e un futuro già scritto. Agnus Dei di Anne Fontaine, del 2016, è dedicato alle suore polacche che furono abusate durante la ii guerra mondiale. È il dilemma della gravidanza di una religiosa dopo uno stupro, un tema ancora attuale in alcune parti del mondo. Uno spaccato di storia vera come mille altri. Toccante la scena in cui suor Maria rivela a Mathilde, la dottoressa atea, che cosa significhi vivere credendo: «Ventiquattro ore di dubbio per un minuto di speranza». Mi ha colpito che il dubbio, in questi film, sia un leitmotiv. Sì, perché comunque il dubbio di forme abusanti è la risposta interrogante alla propria coscienza. E questo vale per tutte le donne».

di Vittoria Prisciandaro
Giornalista «Credere» e «Jesus» Periodici San Paolo