Svegliati dai galli
Il Tar del Veneto ha stabilito che dovranno essere tolti i galli da un pollaio urbano di Mestre. Lo scorso dicembre un residente aveva chiesto e ottenuto dal comune l’autorizzazione per poter allevare galli e galline per l’autoconsumo familiare. I vicini hanno cominciato a lamentarsi a causa dell’eccessivo rumore dei galli e il Tar ha dato loro ragione. I galli dovranno sparire «al fine di ridurre per quanto possibile il disturbo degli abitanti delle case vicine» esasperati da quindici ore di canto ininterrotto.
Noi vogliamo stare tranquilli, questa è la verità. Circa un secolo fa il poeta T.S. Eliot scriveva ne La rocca: «E nessuno conosce il suo vicino o si interessa a lui / a meno che il suo vicino non gli arrechi troppo disturbo». Che sia stato profetico, cioè abbia osservato bene la realtà, lo dimostra l’aumento di violenze e delitti in ambito condominiale o di vicinato. Se le cose filano dritte, l’altro è così trasparente e innocuo da non esistere. Ma se disturba è la fine del mondo. Soprattutto se canta. Non siamo più un mondo a misura di juke box. Le canzoni, ormai, non escono da qualche altoparlante, ci ficchiamo ogni sorta di ritornelli nei condotti uditivi con cuffie sempre più simili a tappi per le orecchie. In fondo ha ragione Elodie quando canta: «Alza, il volume nella testa, è qui dentro la mia festa». Per stare un po’ tranquilli nel recinto ansiogeno del mondo bisogna cantarsela e suonarsela da soli, usare le canzoni come forma d’insonorizzazione dalla battaglia del vivere.
Il gallo che canta, e dunque sveglia, è il nemico pubblico numero uno. Sempre Eliot notava: «Dormiamo e siamo lieti di dormire». La premura ecologica troverà uno spazio adeguato affinché il gallo disturbatore viva in un contesto agreste in cui tutte le sue necessità siano soddisfatte, in ogni caso lo vogliamo lontano da noi. Non sia mai che ci svegli, perché potrebbero capitare cose incredibili.
San Pietro avrebbe una vecchia storia da raccontare in proposito. Fu un gallo a toglierlo dalla trappola della sua musica interiore e a svegliarlo sul serio, col suo canto gli sbatté in faccia che aveva tradito un amico. Era caduto nella tentazione di trattare l’altro come un impiccio molto scomodo, quando l’orizzonte si era fatto cupo. «Non lo conosco» ripeté Pietro tre volte. E per tre volte il gallo gli ricordò che c’era un amico che l’aveva conosciuto meglio di chiunque altro, e valeva la pena uscire dai cortocircuiti interiori e dare credito a quella voce.
di Annalisa Teggi