· Città del Vaticano ·

Il racconto

La speranza
delle donne ucraine

 La speranza delle donne ucraine  QUO-144
26 giugno 2024

«Questa è la nostra ultima speranza. Siamo venute a ringraziare Papa Francesco della sua continua preghiera per il nostro martoriato Paese e chiedere un aiuto affinché sia possibile uno scambio di prigionieri». In un perfetto inglese Tamara Koryagina — giovane ucraina insegnante di lingue — ha descritto lo stato d’animo con cui, insieme ad altre connazionali, ha partecipato stamane all’udienza generale. Suo marito è un sottufficiale che ha difeso Azovstal e catturato dai russi è stato condannato all’ergastolo. «È dura, ma teniamo duro» ha confidato, cercando di incoraggiare le altre donne accanto a lei: Tetyana, madre di Artem Vyshniak, sergente anche lui, che deve scontare 22 anni in prigione; e Alla Didenko e Vialetta Shovkova, entrambe giovanissime, la prima fidanzata e l’altra moglie di militari ucraini finiti nelle mani del nemico. Tutte e quattro hanno salutato il Pontefice, dopo che lui aveva invocato l’intercessione dei santi Pietro e Paolo per l’Ucraina e per le altre nazioni sofferenti a causa dei conflitti.

Insieme hanno consegnato nelle sue mani un disegno rappresentativo della condizione dei prigionieri che hanno difeso l’acciaieria Azovstal a Mariupol e un libretto fotografico contenente la storia di ciascuna di loro, con alcune immagini di felicità insieme ai propri cari prima del conflitto e poi nella tragica situazione attuale in cui non hanno notizie dei congiunti, se non dai prigionieri che vengono liberati.

Tamara sa che suo marito si trova detenuto in Siberia. «Recentemente ho ricevuto informazioni, non da lui, ma dai media, so che è stato picchiato e soffre di attacchi di panico a causa delle contusioni e del forte stress» ha raccontato, precisando che l’ultima volta che l’ha «sentito è stato il 16 maggio 2022, quando mi ha detto: “Non preoccuparti, andrà tutto bene. Ci vediamo presto. Ci prepareremo per un vero matrimonio”».

Tetyana sostiene di aver riconosciuto il suo unico figlio Artem — ventiquattrenne che il 19 giugno ha festeggiato per la terza volta il compleanno in prigionia — lo scorso 22 marzo in un filmato della televisione russa, e di aver appreso che è stato processato e condannato a ventidue anni di prigione per la difesa di Mariupol. La madre, anch’ella giovanissima, è fortemente preoccupata per le condizioni di salute del ragazzo che soffre di allergie, otiti e alcune patologie croniche alle vie biliari.

«Vorrei conoscerti e parlarti di un mio desiderio di pace per le guerre nelle quali , purtroppo, muoiono tante persone, soprattutto bambini innocenti; vorrei che tu convincessi le persone ad aver più cura della nostra terra; vorrei incontrarti per parlarti delle tante ingiustizie subite dalle donne; vorrei incontrarti perché mi infondi gioia e trasmetti la pace di Dio con il tuo carisma; vorremmo abbracciarti perché quando parli sembra tutto possibile e sentiamo che ci vuoi bene». Sono alcune delle frasi raccolte in una lettera consegnata nelle mani del Pontefice. A firmarla sono stati i giovani chierichetti e ostiarie della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù a Grottaferrata, accompagnati dal loro responsabile e da alcuni genitori.

«Siamo venuti dalla Polonia per ringraziare Papa Francesco per la beatificazione di padre Michał Rapacz — celebrata sabato 15 giugno —, giustamente considerato un testimone e profeta di Dio, un testimone di altissimo valore». Così l’arcivescovo di Cracovia, Marek Jędraszewski, ha riassunto il motivo della presenza odierna in piazza San Pietro della delegazione da lui guidata, che ha donato al Pontefice una riproduzione del quadro esposto durante la beatificazione. «Per don Rapacz non è stato un problema rischiare la propria vita e dimostrarsi fedele alla Chiesa e alla patria, sia durante la guerra contro il nazismo che successivamente contro il regime comunista» ha aggiunto il presule, sottolineando che il beato «in una delle sue ultime prediche, consapevole che era stata decisa la sua uccisione, disse: “Anche se dovessi morire, non lascerei i miei parrocchiani e non rinuncerei al Vangelo e alla Croce”».

L’arcivescovo ha poi ricordato l’importanza che avevano i giovani per il sacerdote martirizzato nella notte del 12 maggio 1946, giorno in cui «Stefan Wyszyński ricevette l’ordinazione episcopale».

«Nella disabilità c’è molto di più»: questo il titolo del progetto inclusivo destinato a bambini e ragazzi, presentato al Papa dall’associazione sportiva dilettantistica “Gabry dance”. È stata fondata nel 1995 a Poggiomarino, in provincia di Napoli, quando Gabriele Cretoso, allora ventottenne, coinvolse nella danza Irene Rita Enriquez, una ragazza che passava dalle 12 alle 14 ore sulla sedia a rotelle. Nel 2005 l’associazione ha dato vita al progetto, creando un ambiente in cui «i ragazzi possano vivere al pari dei loro coetanei normodotati, e grazie alla danza superare le barriere e sentirsi liberi», racconta Cretoso.

Una delegazione della Fondazione Corall Family, da Barcellona, ha partecipato all’udienza generale, accompagnando una ventina di bambini affetti da cardiopatie congenite. A guidare il gruppo il presidente della Fondazione, il cardiochirurgo Raúl Abella.

L’ambasciatrice dei Paesi Bassi presso la Santa Sede, Johanna Gerarda Maria Ruigrok, ha presentato infine al Pontefice il libricino Giovani idee per un futuro luminoso - Un appello appassionato per l’educazione alla sostenibilità contenente le idee di tanti bambini e ragazzi per la lotta al cambiamento climatico.

di Fabrizio Peloni