Cosa spinge l’uomo nel cammino della sua vita? Chiamiamo speranza questa forza che mette l’umanità in movimento. Non poteva mancare quindi una puntata, nel corso del programma Parole in cammino, dedicato al tema “sperare”. Ne abbiamo parlato venerdì scorso, 21 giugno, con Leonardo Marcucci e Leonardo Carducci, gli stessi con cui, ad aprile, conducemmo la seconda puntata dedicata a “desiderare”. L'uomo sogna, desidera e quindi si mette in cammino. Tra desiderare e sperare il passo è breve (se ne occupa Marcucci a sottolineare la differenza parlando del film Il grande Gatsby) perché senza queste due azioni l'uomo non si muove. La speranza è la virtù che fa riprendere il cammino contro ogni fatica, tentazione di rassegnazione. Ecco perché parliamo di sperare oggi verso la fine del “viaggio”, perché è proprio alla fine che si rischia di crollare per la stanchezza ed è allora che arriva in soccorso la speranza. Perché la speranza ha senso, come osserva Chesterton, proprio quando la situazione è disperata. La spes è sempre contra spem, come dice San Paolo riferendosi ad Abramo che “sperò contro ogni speranza” uscendo dalla propria terra, dalla propria casa, verso un futuro incerto.
Un po' come Frodo e Sam che affrontano un cammino nell'oscurità aggrappandosi alla speranza, come ha evidenziato Leonardo Carducci nel suo intervento. Ma senza scomodare l’epica di Tolkien c'è una speranza, sempre “epica” (la speranza non può essere una virtù meno che epica), ma quotidiana, che si spalma nei gesti minimi dell’esistenza umana. Quando andiamo a dormire, abbandonati al sonno, compiamo un atto di fede, dentro il cuore abbiamo la speranza di risvegliarci, così come al risveglio è sempre la speranza che ci spinge a quello scatto di nervi e di reni che ci fa mettere i piedi per terra e alzarci in posizione eretta: speranza che oggi sia migliore di ieri e domani migliore di oggi. E niente ce lo garantisce. La speranza vive lì, nell'inquietante territorio dell'incertezza. Lo stesso campo in cui cresce la preghiera. Lo ricorda un altro scrittore inglese C.S.Lewis: «Il nostro è un mondo fatto di scommesse e polizze di assicurazione, di speranze e di ansie, dove non esiste nulla di certo tranne l’inatteso e la prudenza risiede nella sagace amministrazione dell’imprevisto. Quasi tutte le cose che gli uomini chiedono nella preghiera sono imprevedibili: il risultato di una battaglia o di un’operazione, la perdita o l’ottenimento di un lavoro, un amore corrisposto. Non preghiamo certo per le eclissi».
Nel corso della puntata abbiamo parlato della speranza come attesa e quindi mostrato i quadri di Edward Hopper (con le sue donne che guardano la luce entrare da una finestra aperta) e ascoltato la canzone di Dylan I Shall Be Realeased che nel ritornello ripete: «Vedo la mia luce che splende da ovest ad est / Da un momento all’altro sarò liberato».
E infine si è parlato, inevitabilmente, di disperazione. Abbiamo quindi ricordato il discorso rivolto ai comici dal Papa che sottolineava il loro grande potere di far ridere e sorridere le persone e aggiungeva, a braccio, che far piangere sia più facile che far ridere. È vero, un attore lo sa, far piangere è più semplice e questo ci ricorda che la disperazione è più facile della speranza. La speranza è la via più lunga e faticosa ma l’unica pienamente umana.
di Andrea Monda