· Città del Vaticano ·

Il libro del Pro Prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione dedicato alla speranza

Ciò che dà senso al presente

 Ciò che dà  senso al presente  QUO-143
25 giugno 2024

Uscirà nelle librerie venerdì 28 giugno il libro “Sperare per tutti. Parole umane sulla speranza. Un’antologia” (Libreria editrice vaticana 2024, pagg.231, euro 17) del Pro Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione - Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo. Nel libro l’autore, responsabile del Giubileo dedicato alla speranza, accompagna il lettore nel «meditare l’atto umano e cristiano di sperare», «non solo affidandosi alla Parola di Dio ma raccogliendo anche l’eco di verità che tanti autori hanno disseminato nelle loro opere letterarie», da Charles Péguy a Francesco Alberoni, da Esiodo ad Agostino, a Ignazio Silone, a Fernando Pessoa e Jürgen Moltmann, oltre naturalmente a Papa Francesco. Pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione, scritta dallo stesso arcivescovo.

«Teniamo viva la speranza» (Rm 15,4). È con questa espressione dell’apostolo Paolo che si potrebbe presentare con efficacia all’uomo del xxi secolo la realtà della speranza. Per paradossale che possa sembrare, una felice espressione di duemila anni fa permane con la sua attualità per un uomo ormai inserito in un vorticoso processo della scienza che esprime una tecnologia sempre più dominante in cui si pongono strumenti che modificano l’esistenza personale. Non è fuori luogo ribadire quanto la mentalità scientifica abbia diminuito non poco l’esigenza della speranza. La tecnologia produce strumenti che abituano a rimanere legati al presente; non ha affatto problemi a fornire risposte immediate che allontanano l’attesa e rendono inefficace ogni desiderio. Al massimo, potranno provocare la pazienza per adattarsi e inserirsi all’interno di una “logica” dello strumento di turno, ma in ogni caso è un esercizio che impegna ancora di più al fattibile del presente. Nonostante questo, anche il nostro contemporaneo ha bisogno di speranza. Forse, proprio per l’uomo di oggi abbiamo esigenza di ridestare la speranza perché assiste spesso inerme a fatti ed eventi che sconvolgono le certezze acquisite nel corso dei decenni. Tenere viva la speranza non è solo una missione che i cristiani hanno ricevuto dal Signore quando li ha inviati a annunciare il suo Vangelo in ogni parte del mondo. Oggi diventa soprattutto una responsabilità perché, nella decadenza che si sperimenta nei vari settori dell’esistenza personale e sociale, è urgente e necessaria che si levi la voce di quanti portano una parola e un segno di speranza. Si parla troppo poco della speranza. Senza cadere nella retorica, si dovrebbe distinguere subito tra speranze e speranza. Forse, il riferimento alle speranze quotidiane è più facile e immediato perché sorge spontaneo, mentre la speranza rischia di rasentare l’utopia e per questo è maggiormente eclissata. Condurre la vita sulle speranze, tuttavia, è rischioso. Queste possono facilmente essere illusorie e condurre progressivamente alla delusione. Rinchiudendo nel circuito dell’immediato è inevitabile che le speranze impediscano di guardare al futuro come attesa di un compimento, caratteristica tipica della speranza. È necessario, quindi, che si apra lo sguardo verso un orizzonte di senso differente che non sia limitato all’“adesso” e “subito”, ma si sappia porre in stato di attesa con la dovuta vigilanza. E, tuttavia, ogni volta che si cerca di descriverne la realtà, sembra che la speranza sfugga a ogni possibile identificazione. Per alcuni versi si potrebbe riprendere il famoso interrogativo di sant’Agostino: «Che cosa è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so» (Confessioni, xi , cap. xiv-xxi )1. È proprio così anche per la speranza. Come descriverla? Il voluminoso saggio filosofico di Ernst Bloch Das Prinzip Hoffnung (Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994)2 non viene meno a questa condizione. Lo stesso si deve affermare dalla prospettiva teologica per il primo tentativo compiuto da Jürgen Moltmann, Theologie der Hoffnung(Teologia della speranza, Queriniana, Brescia 1970,2017). Quanto troviamo è un’articolazione più o meno sistematica, ma alla fine il lettore rimane con l’interrogativo di partenza: ma cos’è la speranza?

Lo sguardo al futuro


Personalmente, non ritengo sia necessario giungere a una definizione. Se per definizione si intende ridurre razionalmente la speranza a una formula completa ed esaustiva. Come per tante esperienze dell’esistenza personale e universale, la speranza come l’amore non si lascia “definire”; ed è bene così. Essa rimane come un’esperienza sempre aperta, che si raggiunge per gradi fine al termine della scalata quando lascerà il posto all’amore che tutto accoglie in sé. Lo insegna con profondità san Paolo quando scrive: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!» (1Cor 13,13). Si sono scritte pagine su pagine sul significato del “rimanere”; gli esegeti si sono sbizzarriti nel trovare il senso più coerente. Chi ha sposato la tesi che la speranza avrà la sua fine con la morte e chi, al contrario, ha interpretato che il “rimanere” come un permanere, è per sempre anche nell’aldilà quando la speranza crescerà in intensità nella contemplazione del mistero. Lasciamo agli esperti di trovare la soluzione più coerente; ciò che permane nella sua importanza esistenziale è che della speranza abbiamo bisogno adesso, in questa esistenza, perché fin da ora siamo partecipi dei beni che nel futuro possederemo e contempleremo. Il richiamo alla speranza, pertanto, non consente nessuna fuga né evasione alcuna dal dovere assumersi le responsabilità nella storia presente. La speranza è qui e ora che agisce; qui e ora che impone di essere vissuta. Nella vita di ogni giorno, infatti, diventa segno e strumento di liberazione per rendere la vita più personale e umana. Della speranza abbiamo bisogno adesso. È legata al futuro, ma la si sperimenta nel presente. Essa viene in aiuto per sostenere il presente offrendogli il significato che necessita. Se la speranza fosse solo destinata a guidare il futuro si trasformerebbe presto in illusione perché non sempre ciò che si spera può diventare realtà. La speranza, quindi, si fa forte del presente per accompagnare le scelte che ognuno è chiamato a compiere con responsabilità; alla stessa stregua, acconsente che si possano operare delle rinunce perché consapevoli dei propri limiti. Non si spera, pertanto, solo davanti al pericolo o al timore per il futuro. Si spera per dare senso al presente che impone delle scelte di libertà per costruire un’esistenza personale sulla verità di se stessi e del mondo. Bene lo ha indicato Benedetto xvi quando ha scritto: «La “redenzione”, la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino (…). Compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una “buona notizia” — una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti 12e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (Spe Salvi, n. 1-2). La speranza appartiene a ogni persona, nessuno escluso. Chi potrebbe illudersi di vivere senza speranza? Ma cosa si nasconde dietro il nome? Cos’è realmente la speranza? Cosa significa sperare? Interrogativi non affatto ovvi che impongono una risposta. Neppure l’artista che ha la prerogativa di raggiungere le vette del linguaggio ha saputo esprimere la speranza in modo da farla comprendere. Le rare volte che ci si imbatte su questo tema è facile trovare piuttosto dei cenni, dei tratti e degli schizzi (…) ma una vera descrizione della speranza sfugge. Per entrare più direttamente nel merito, comunque, è necessario partire proprio dagli artisti e dai poeti. Sono loro, infatti, che raggiungono la forma più alta ed espressiva della realtà. Bisogna essere sinceri: anche l’artista ha avuto difficoltà a descrivere la speranza. Una veloce carrellata nella storia dell’arte evidenzierebbe subito e con facilità quanta riservatezza si è avuto in proposito. Forse, per assurdo, è stato più immediato rappresentare la disperazione, il timore, la paura piuttosto che la speranza. Più fortuna hanno avuto la fede e la carità che hanno riscontrato maggior successo. La speranza, al contrario, è rimasta nascosta, nell’ombra come se avesse poca importanza per l’esistenza. Quanto si riesce a scovare è molto poco: chi la raffigura con un’àncora, chi come una donna con le ali, e chi come un angelo con il dito puntato per indicare oltre (…) la simbologia rinvia al futuro incerto e dubbioso. Della speranza, tuttavia, abbiamo bisogno adesso. Giorno dopo giorno diventa compagna fedele di vita che mostra il cammino da perseguire. Nonostante questo, pur avendone un urgente bisogno, la speranza permane con la sua dote di grande sconosciuta. Il suo nome ritorna spesso sulle labbra, ma oltre che pronunciare il termine diventa arduo esprimerne il contenuto.

di Rino Fisichella