La recente nota Gestis verbisque, a prevalente contenuto teologico-liturgico, non manca di fondamenti e prospettive che ne valorizzano anche la consistenza giuridica. Non sono i pochi riferimenti a norme specifiche, ma è soprattutto la scelta di privilegiare la dimensione giuridica dei sacramenti nella loro valenza costitutiva ecclesiale. Essi sono un dono, come affermato nella nota, «i tesori dei Sacramenti che ci sono stati affidati dalla Madre Chiesa. Non sono nostri! E i fedeli hanno il diritto, a loro volta, di riceverli così come la Chiesa dispone» (presentazione). Se da una parte i sacramenti sono beni destinati alle singole persone, d’altra parte appartengono all’intera comunità cristiana e per questo devono essere tutelati e garantiti dall’autorità. La giuridicità dei sacramenti è certo una dimensione parziale rispetto ad una realtà soprannaturale, ma essa concorre a evidenziarne i vincoli comunitari e ministeriali nel contesto dei quali si comprende il richiamo a salvaguardia degli elementi necessari per la loro valida celebrazione. Questa, infatti, con il suo linguaggio, è il luogo e il tempo dello stesso evento sacramentale e la comunità vivente, ha insegnato il Concilio, è il luogo concreto della continuità storica dell’agire di Dio. La rilevanza dei sacramenti non sottovaluta la dimensione costitutiva degli altri beni spirituali ribadita più volte nella nota: «Cosciente di ciò la Chiesa, fin dalle sue origini, ha avuto particolare cura delle fonti dalle quali attinge la linfa vitale per la sua esistenza e la sua testimonianza: la Parola di Dio, attestata dalle sacre Scritture e dalla Tradizione, e i Sacramenti, celebrati nella liturgia, mediante i quali è continuamente ricondotta al mistero della Pasqua di Cristo» (Gestis verbisque, n. 10). Alla Parola e ai sacramenti è intimamente connesso lo Spirito per la cui azione l’opera trinitaria continuamente è all’origine dell’evento Chiesa.
Si tratta di affermazioni basilari che fondano il necessario rapporto tra diritto e liturgia poiché, come afferma la nota, «la Chiesa nella Liturgia celebra con amore fedele e venerazione i sacramenti che Cristo stesso le ha affidato perché li custodisca come preziosa eredità e fonte della sua vita e della sua missione» (presentazione). La complessa vicenda storica della riflessione teologica e liturgica ha segnato il processo di comprensione della dimensione sacramentale come costitutiva della realtà ecclesiale. Agli inizi del xx secolo, la liturgia, ridotta a mera normativa sui riti, ad esecuzione esatta delle rubriche (rubricismo) e l’ecclesiologia costretta nella visione gerarcologica e piramidale, avviarono un cammino di riscoperta che sarebbe sfociato nel rinnovamento operato dal Vaticano ii. La canonistica, nella ricerca del fondamento del giuridico ecclesiale, percepiva la necessaria unitarietà di elementi divini ed elementi umani, quelli immutabili e quelli storici, che per una non debole analogia, come avrebbe poi insegnato il Vaticano ii, sono intimamente compenetrati in una sola realtà (cfr. lg 8). È la trama del diritto ecclesiale dove norme contingenti storicizzano il divino, in un complesso di relazioni di giustizia originate fondamentalmente da un dono da accogliere, come sono i sacramenti dai quali la Chiesa, comunità sacerdotale, è resa sacra e organicamente strutturata (cfr. lg 11).
I sacramenti, pertanto, sono un bene appartenente ai fedeli, nel caso del battesimo ad ogni persona, e hanno una specifica dimensione giuridica; sono, infatti, diritto e fonte di diritto, come è stato efficacemente sintetizzato da alcuni autori, perché si pongono sia come «realtà dotate in sé stesse di una dimensione giuridica sia quali cause di effetti giuridici nell’ordinamento canonico» (C. Errázuriz), essendo tale bene dovuto secondo giustizia dal ministro del sacramento. Papa Francesco, in relazione al sacramento della Penitenza, ha affermato che «il perdono è un “diritto” nel senso che Dio, nel mistero pasquale di Cristo, lo ha donato in modo totale e irreversibile ad ogni uomo disponibile ad accoglierlo, con cuore umile e pentito» (aas 114 (2022), 484). Emerge qui la valenza della nozione di “diritto” inteso come la res iusta, oggetto della virtù della giustizia la cui definizione, sancita nel diritto romano — constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuere (D. 1, 1, 10) — si ritrova già in Aristotele. Tale comprensione del diritto, assunta poi dall’Aquinate (cfr. Summ. Theol., ii-ii, q. 57, a. 1.), è la prospettiva del realismo giuridico dove “diritto” è la cosa che per essere dovuta genera una relazione di giustizia, una relazione intersoggettiva che è successiva alla “res” dovuta. In questa ottica gli altri significati — il diritto come norma o complesso di norme e il diritto come facoltà di esigere — sono conseguenza del bene giuridico che spetta al soggetto.
Ma quale spazio resta all’uomo per reclamare un tale diritto? La difficoltà proviene dalla natura asimmetrica della relazione tra Dio e l’uomo, ma Dio ha lasciato alla Chiesa i suoi doni ed in questa ottica il fedele può reclamare come “suo” il bene, il sacramento, non nei confronti di Dio ma, al contrario, all’interno della Chiesa e con diretta relazione al ministro e alla funzione ministeriale (cfr. istruzione Redemptionis sacramentum, nn. 12, 57, 58, 91, 92, 139, 141, 162-163, 184). La dimensione giuridica dei sacramenti viene affermata e descritta nel combinato disposto di due canoni, il canone 213 (cceo can. 16), esplicitamente riguardante il diritto dei fedeli, e il can. 843 (cceo can. 381 § 2) che invece in modo diretto fa emergere il dovere dei ministri. Il diritto ai sacramenti non è un diritto assoluto; ci sono requisiti implicanti una valutazione sia da parte dello stesso fedele sia da parte del ministro, valutazioni tese sia a salvaguardare il bene del sacramento, che comunque sfugge alla “prigionia” della norma positiva, sia a garantire il cammino personale di adesione a Cristo, diverso per ogni fedele. Così, ad esempio per la santa Comunione si richiede lo stato di grazia che lo stesso fedele è chiamato a valutare (can. 916) ed un giudizio anche in considerazione delle circostanze, valutazione questa, lasciata prevalentemente alla prudente discrezione del ministro (can. 915).
La retta applicazione del canone esige anche la rimozione da parte dell’autorità di quelle prassi pastorali che non garantiscono al fedele la giusta libertà nel godere del sacramento, così ad esempio riguardo ai sacramenti della iniziazione cristiana ai fanciulli, in particolare l’Eucaristia, la normativa codiciale, se da una parte prevede la possibilità della proibizione (can. 912) come potrebbe essere per il non raggiungimento dell’uso di ragione o per la non adeguata disposizione (cfr. can. 914), dall’altra indica che la preparazione e la conoscenza dei fanciulli siano valutate “secondo la loro capacità” (cfr. 913 § 1). Ciò comporta la necessità di valutare le circostanze personali e non disporre norme che vadano in contrasto con le esigenze minimali contenute nel codice. Un’azione questa che fa parte di tutta una organizzazione ecclesiale evangelizzante che scaturisce come conseguenza necessaria del diritto ai sacramenti. Esplicitamente il can. 843 § 2 chiede di strutturare una programmazione di servizi al fine di favorire efficacemente il godimento del diritto ai sacramenti. Se il Concilio ci ha ridonato un popolo di Dio costitutivamente sacerdotale, allo stesso tempo ha insegnato che il sacerdozio ministeriale trova il suo significato nel servizio al sacerdozio comune. Un servizio che, tenendo presenti le peculiarità di ciascun sacramento, è chiamato anche a trascendere i rischi di una comprensione legalista/burocratica. Circa l’eventualità di un diniego, che di fronte ad una almeno apparente giusta richiesta di un sacramento dovrebbe costituire sempre una rara eccezione, va sottolineato che tale circostanza dovrebbe tramutarsi nell’avvio di un cammino di conversione, mantenendo sempre la “porta aperta”.
Diversificate sono, infine, le attenzioni a rimuovere prassi che rendono gravoso il godimento del diritto ai sacramenti: la barriera spesso rappresentata dalla malattia fisica o psichica e, in genere, la disabilità non possono ostacolare l’esercizio del diritto ai sacramenti. Così non soltanto il condizionamento dovuto al pagamento di una “tassa”, ma anche le limitazioni dell’esercizio e del godimento del diritto fondamentale ai sacramenti per motivi di “ordine pubblico”, come nel caso della recente pandemia o anche le limitazioni in forza di un abusivo utilizzo del can. 223 § 2. Considerevole, pertanto, è il contributo della nota alla maturazione di una comunità cristiana che riscopre la propria identità nell’essere “ministra” dei Sacramenti perché «celebrandoli ne riceve essa stessa la grazia, li custodisce e ne è a sua volta custodita» (Gestis verbisque, n. 11). (giacomo incitti)
*Canonista della Penitenzieria apostolica
di Giacomo Incitti*