· Città del Vaticano ·

Parla Rachel Goldberg-Polin, il cui figlio è ostaggio di Hamas

Non c’è una concorrenza tra le lacrime

 Non c’è una concorrenza tra le lacrime  QUO-136
17 giugno 2024

«Non ho più avuto notizie di Hersh, da quando cinquanta giorni fa Hamas ha rilasciato un suo video», ci dice Rachel Goldberg-Polin, la mamma di Hersh, 23 anni, da 254 giorni ostaggio a Gaza. «L’Osservatore Romano» segue la vicenda umana di Rachel e di Hersh fin dallo scorso ottobre, a Gerusalemme, dove vive con il marito Jon e le due sorelle più piccole di Hersh, ma anche a Roma, dove lo scorso novembre Rachel è stata ricevuta da Papa Francesco. «In quel video — assai critico nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu — mi dicono che Hersh stesse in realtà leggendo un testo preparatogli da Hamas, ma io sono certa che le parole di amore che alla fine ha rivolto a noi, alla sua famiglia, fossero autenticamente sue. Mi si è stretto il cuore nel rivederlo. Ma almeno so che è vivo. Anche se con un braccio amputato».

Hersh, il 7 ottobre, fuggendo dal concerto del Supernova festival, aveva trovato riparo in un rifugio insieme a una ventina di ragazzi. Quando i terroristi vi hanno fatto irruzione, sparando e lanciando granate, 18 di loro sono stati uccisi; Hersh e altri 2 si sono salvati perché protetti dai corpi degli uccisi, ma l’esplosione di una bomba gli ha tranciato il braccio sinistro. «E purtroppo — aggiunge con un sorriso amaro Rachel — Hersh è mancino come me».

Nei giorni scorsi era circolata la voce che gli Stati Uniti avessero deciso di intraprendere trattative dirette per la liberazione dei 5 ostaggi con passaporto americano, tra cui Hersh. Ne ha avuto conferma?

Sì, l’avevo sentita anch’io lunedì scorso ma non ho avuto conferma. Ho incontrato il giorno successivo il Segretario di Stato Blinken e ci ha detto che loro sono concentrati solo sul negoziato globale per il cessate il fuoco e la liberazione di tutti gli ostaggi.

E come giudica l’andamento del negoziato globale?

Io vedo un problema a monte: ci sono molti negoziatori, ma solo due decisori. Solo da loro dipende l’esito. Ci sono, è vero, anche molte istituzioni influenti che spingono per una soluzione ragionevole. Tra questi indico per primo Papa Francesco che anche domenica scorsa ha implorato Hamas di accettare l’accordo. La visione globale della sofferenza del Papa è anche la mia. E lo dico non solo in riferimento ai 129 ostaggi, che sono di diverse religioni e vengono da 24 diversi Paesi, ma lo dico anche pensando alle centinaia di migliaia di abitanti di Gaza, che innocenti si trovano in mezzo al fuoco incrociato di questo orribile conflitto. Papa Francesco sta alzando la sua voce, anche oltre il miliardo e trecento milioni di cristiani che rappresenta, perché vi sia un immediato cessate il fuoco, e perché possano entrare i necessari aiuti umanitari a Gaza.

Non pensa che questa sensibilità alla sofferenza comune non sia abbastanza condivisa qui in Israele, e anche in Palestina?

Dio ci ha dotato di intelletto e ragione. Se li usiamo appropriatamente comprendiamo che le sofferenze non si misurano, non si pesano. La mia, quella di Hersh, quella degli altri 128 ostaggi e le loro famiglie, ma anche quella delle centinaia di migliaia di abitanti di Gaza, pari sono. Non può darsi una competizione della sofferenza. Non c’è una concorrenza tra le lacrime, le lacrime sono tutte uguali e pesano tutte lo stesso da qualunque occhio escano. Se creiamo questa competizione, io credo che commettiamo una colossale ingiustizia.

Come immagina che Hersh stia oggi relazionando coi suoi sequestratori?

Hersh è un ragazzo molto socievole e curioso. Non ha alcun pregiudizio, né etnico né religioso. E soprattutto è molto gentile. Ha diversi amici palestinesi e musulmani. Uno di loro è venuto a trovarci. Capisco che anche per loro questa vicenda sia difficile, perché viviamo tutti all’ombra di un assurdo paradigma di contrapposizione. Hersh non parla arabo, ma solo ebraico, anche se la sua madrelingua è l’inglese. In famiglia parliamo inglese. Quando ci siamo trasferiti in Israele Hersh aveva 8 anni.

Inoltre voi siete una famiglia religiosa.

Sì, siamo tutti religiosi. Sono abituata a pregare più a lungo almeno due volte al giorno. Ma dal 7 ottobre preghiamo molto più frequentemente. Le confido che in questi mesi trovo un grande sollievo in particolare nella lettura dei Salmi, la loro dimensione spiccatamente umana mi genera continue risonanze al tempo che sto vivendo. A volte mi capita che qualcuno mi chieda: come puoi essere credente dopo quello che ti è capitato? Io rispondo che proprio perché sono credente riesco a sostenere questa prova difficile. Senza la preghiera non ce la farei.

Se potesse inviare un messaggio ai potenti del mondo, cosa vorrebbe dirgli?

Mettete da parte le vostre politiche, i vostri interessi, il vostro ego, e rimettete al centro del vostro servizio l’uomo, la sua dignità, la vita. Io non so cosa significhi vivere in una condizione di grande potere, immagino che la responsabilità che ti senti sulle spalle sia molto pesante. Però penso che alla fine del giorno, quando ti metti davanti allo specchio, e sei costretto ad essere onesto con te stesso, non puoi non chiederti se quello che stai facendo ha una qualche efficacia nell’alleviare la miseria della condizione umana di molti. L’efficacia del tuo lavoro per liberare questi ostaggi innocenti. Ma dirò di più: per liberarci tutti. Perché siamo tutti ostaggi: ostaggi di questa degenerazione del vivere insieme.

Alcuni degli ostaggi rilasciati hanno riferito di essere rimasti informati delle iniziative del forum delle famiglie, delle manifestazioni di piazza che si svolgono incessantemente per il negoziato, per la loro liberazione. Se Hersh potesse dunque sentirla cosa vorrebbe dirgli?

Gli ripeterei la frase che questa mattina, quando ho camminato per più di un’ora, ho ripetuto continuamente come un mantra: I love you. Stay strong. Survive. I love You.

da Gerusalemme
Roberto Cetera