· Città del Vaticano ·

Domani a Cracovia la beatificazione del presbitero martire Michał Rapacz

Ha compiuto fino in fondo
la volontà divina
nel servizio sacerdotale

 Ha compiuto fino in fondo la volontà divina nel servizio sacerdotale  QUO-134
14 giugno 2024

Domani a Cracovia il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, beatifica in rappresentanza di Papa Francesco, il sacerdote diocesano Michele (Michał) Rapacz, martire: fu infatti ucciso in odio alla fede il 12 maggio 1946 nei pressi di Płoki, dove era parroco.

Nato il 16 settembre 1904 nel villaggio di Tenczyn, nell’arcidiocesi di Cracovia, i suoi genitori Jan e Marianna gestivano una fattoria ed erano una coppia armoniosa e pia.

Michał, dopo aver finito le elementari a Tenczyn, continuò l’educazione nella scuola media di Myślenice. Nel 1926 entrò nel Seminario maggiore di Cracovia. Il 1° febbraio 1931 fu ordinato presbitero dall’arcivescovo Adam Stefan Sapieha. Dopodiché fu inviato come vicario nella parrocchia di Płoki vicino a Trzebinia. Dopo due anni fu trasferito nella parrocchia di Rajcza, dove prestò servizio per quattro anni. Poi, per decisione dell’arcivescovo Sapieha, fu nuovamente inviato a Płoki come amministratore e quindi parroco. Vi rimase fino alla morte.

Don Michele si distingueva per lo zelo nell’adempimento dei suoi doveri pastorali. Si impegnò nella catechesi dei bambini e dei giovani, nella celebrazione dei sacramenti e nella predicazione della Parola di Dio. Dedicò molta attenzione alla gestione dei gruppi del Rosario Vivo, delle associazioni giovanili e del teatro amatoriale, cercando di offrire ai loro membri una formazione religiosa, culturale e patriottica. Era esigente per se stesso e per gli altri, ma allo stesso tempo si distingueva per bontà, gentilezza e rispetto per le persone. Godeva della benevolenza dei fedeli.

Nonostante la difficile situazione economica della parrocchia, ha fornito aiuto materiale ai poveri. Dedicava molta cura e sostegno spirituale agli ammalati.

Era un uomo di preghiera, innamorato dell’Eucaristia. Ogni giorno visitava il Santissimo Sacramento in chiesa. Spesso vi si recava di notte per una lunga adorazione o preghiera davanti all’immagine miracolosa della Madonna di Płoki. Teneva per uso personale il Liber animarum, l’elenco dei credenti della parrocchia, nel quale annotava le sue osservazioni sul loro impegno religioso e sui problemi che affrontavano. Portava con sé questi appunti nella preghiera e affidava a Dio le persone e le loro famiglie. Era solito terminare questa preghiera celebrando la Via Crucis.

La pietà di don Michał Rapacz si caratterizzava della fiducia in Dio e del desiderio di compiere fino in fondo la volontà divina nel servizio sacerdotale.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la sua opera non piaceva ai comunisti che presero il potere nel Paese. Egli, da parte sua, non ha combattuto direttamente, né con le parole né con i fatti, contro il regime. Ha semplicemente predicato il Vangelo e ha ricordato i valori cristiani che ne derivano. Cercò di risensibilizzare le coscienze, che dopo il conflitto avevano perso la capacità di riconoscere il bene e il male, la verità e la menzogna.

I nemici della fede videro l’efficacia del suo ministero pastorale e decisero che ciò minacciava la loro influenza sulla società, di cui cercarono di impadronirsi instillando un’ideologia atea.

Avvertito più volte di essere stato condannato a morte, don Michele decise di restare al suo incarico pastorale fino alla fine. A chi lo informava della minaccia rispondeva: «Sono pronto a dare la vita per le mie pecore».

Nella notte tra l’11 e il 12 maggio 1946 un gruppo di militanti comunisti eseguì la condanna a morte. Le sue ultime parole, pronunciate mentre veniva condotto fuori dalla canonica nella vicina foresta, sentite dalla sorella, furono: «Padre, sia fatta la tua volontà!».

La situazione politica del dopoguerra in Polonia non ha permesso un rapido avvio del processo di canonizzazione. Manifestazioni di discriminazione e perfino di persecuzione della Chiesa nel Paese e di repressione contro quanti professavano la fede cristiana durarono fino alla fine degli Anni ottanta del secolo scorso. Negli anni 1986-1987, il vescovo Julian Groblicki, ausiliare di Cracovia, incoraggiato da Papa Giovanni Paolo ii , iniziò a raccogliere documenti e testimonianze riguardanti il martirio di don Rapacz.

Il 23 gennaio 1993 l’arcivescovo di Cracovia, cardinale Franciszek Macharski chiese all’allora Congregazione delle Cause dei Santi il consenso allo svolgimento del processo e il 10 marzo 1993 quest’ultima emise il Nihil obstat. Il procedimento diocesano si chiuse il 9 novembre dello stesso anno. I fascicoli del caso furono trasferiti a Roma. Tuttavia, carenze formali e sostanziali non hanno consentito di proseguire i lavori. L’indagine diocesana doveva essere completata.

Il 29 settembre 2005 l’arcivescovo di Cracovia, cardinale Stanisław Dziwisz, ha ripreso il procedimento. Il 30 giugno 2017 i lavori diocesani sono stati chiusi dall’attuale arcivescovo Marek Jędraszewski. Gli atti del processo integrativo sono stati trasferiti alla Congregazione delle Cause dei Santi a Roma. Essa ha confermato la validità del processo diocesano il 16 marzo 2018.

Dopo un approfondito esame dei materiali raccolti, i singoli organi del Dicastero delle Cause dei Santi, cioè la riunione dei consultori storici, il congresso dei consultori teologici e infine la congregazione ordinaria dei cardinali e dei vescovi, hanno espresso pareri positivi, riconoscendo che il martirio di don Michele Rapacz gli è stato inflitto in odio alla fede. Papa Francesco lo ha confermato in un decreto firmato il 24 gennaio gennaio scorso.

di Pawel Ptasznik
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