· Città del Vaticano ·

Hic sunt leones
Elaborare un pensiero sul continente africano senza cadere nelle riflessioni stereotipate

Afrotopia azzardo dell’utopia

 Afrotopia  azzardo dell’utopia  QUO-134
14 giugno 2024

L’attualità africana, nelle sue molteplici declinazioni, è sempre fortemente condizionata, dal punto di vista comunicativo e non solo, dalle negatività. Si tratta di una sorta di genere letterario per cui qualsivoglia riflessione sul continente sembra essere stereotipata in partenza, scadendo nei tradizionali luoghi comuni che alimentano inesorabilmente il pregiudizio. D’altronde, nel perimetro della globalizzazione dei mercati, tutti, ma proprio tutti, si sono arrogati il diritto — con algida supponenza — di prescrivere agli africani come organizzare i propri spazi politici, economici e sociali. Di fatto, viene imposto un paradigma di “sviluppo” sempre meno adeguato all’interazione costruttiva con l’Africa.

Per questo motivo occorre promuovere una vera e propria decolonizzazione delle menti. Su questi temi ruota il neologismo Afrotopia, creato dall’economista Felwine Sarr (Edizioni dell’Asino, Roma, 2018), uno dei pensatori più originali del continente africano. Dunque, Afrotopia: «une utopie active qui se donne pour tâche de débusquer dans le réel africain les vastes espaces du possible et les féconder», (“un’utopia attiva che si pone il compito di scoprire i vasti spazi di possibilità della realtà africana e di fecondarli”) afferma l’intellettuale senegalese.

Sarr non è uno qualunque: classe 1972, docente universitario e saggista, è stato inserito dal settimanale Time tra le 100 personalità più influenti del mondo per il 2021. Economista di formazione, viene considerato come una delle menti più brillanti nel vasto areopago della cultura contemporanea africana. È stato prima docente presso l’università Gaston-Berger di Saint-Louis in Senegal e dal 2020 insegna alla Duke University a Durham, nella Carolina del Nord (Usa), portando avanti una notevole attività di divulgazione.

Assieme al camerunense Achille Mbembe ha fondato gli Ateliers de la Pensée per la riflessione e il dibattito sull’Africa contemporanea. Oltre ad “Afrotopia”, Sarr ha firmato con l’economista-gesuita Gaël Giraud “Un’economia indisciplinata” (pubblicato in Italia dalla Emi), e con la storica dell’arte francese Bénédicte Savoy(anche lei citata da Time) è stato coautore del “Rapporto sulla restituzione del patrimonio culturale africano” consegnato al presidente Emmanuel Macron alla fine del 2018.

Di Sarr colpisce soprattutto la lucidità nel comprendere la complessità che caratterizza l’attuale congiuntura internazionale con particolare riferimento all’Africa. Egli parte dal presupposto che la democrazia, l’economia e il rapporto con la natura delle società moderne siano in crisi e che dunque «le forme che diamo alle nostre vite individuali e alle nostre avventure collettive debbano essere reinventate».

Di conseguenza taccia giustamente di presunzione quanti sostengono che l’unico modo per soddisfare i bisogni e affrontare le sfide sia quello imposto da alcune società cosiddette avanzate. Partendo dal presupposto che occorra «rimuovere gli ostacoli concettuali che impediscono di vedere la pluralità di mondi e le potenzialità multiple della storia» egli contesta che debba esservi un unico modello di riferimento.

In un’interessante intervista rilasciata già nel 2018 a Simone Paliaga per il quotidiano Avvenire, egli sostiene con fermezza che «Le modalità di risposta alle sfide poste alle società africane devono essere plurali e dare prova di inventività. Potrebbero, naturalmente, prendere in prestito in modo intelligente ciò che sentono di prendere in prestito, ma in nessun modo devono cadere in un mimetismo cieco,perché per affrontare le loro sfide le società africane prima di tutto devono fare affidamento alle proprie grandi risorse culturali».

In effetti, nella costruzione delle società africane post-coloniali sono state applicate delle soluzioni prêt-à-porter, ovvero dei modelli che poco avevano e hanno a che fare con la storia del continente e con le sfide poste prima dalla modernità e poi dalla post-modernità. Questi modelli sono spesso così radicati che difficilmente vengono messi in discussione dalle stesse classi dirigenti, mentre in fondo il quesito a cui sarebbe doveroso rispondere riguarda il progetto o meglio i progetti che gli africani stessi hanno il sacrosanto diritto di realizzare.

Ecco che allora la vera sfida sta proprio nel decolonizzare la mente, non limitandosi alla comprensione dei saperi di matrice occidentale. Ad esempio, molti africani laureati in filosofia o dottrine politiche non conoscono paradossalmente quasi nulla delle filosofie africane. Qui non si tratta di svalutare il pensiero occidentale con tutto il suo carico di saperi, gettando, come dire, il bambino con l’acqua sporca, in quanto, come insegna il filosofo ghanese KwasiWiredu, si tratta di acquisire una prospettiva critica facendo riferimento all’uso di risorse concettuali autoctone.

In altre parole, la decolonizzazione ha lo scopo di sviluppare, a partire proprio dall’Africa, nuove visioni di modernità o post-modernità, anziché inseguire l’idea di modernità/post-modernità secondo gli standard occidentali. Siamo pertanto di fronte a un processo di liberazione della mente e non di semplice emancipazione.

Tornando nel nostro ragionamento alla tesi di Sarrincentrata sulla cosiddetta Afrotopia, non v’è dubbio cheelaborare un pensiero sull’Africa non è facile perché, come abbiamo già detto, troppo tenaci sono i clichés e le pseudo-certezze che, come un alone di bruma, sminuiscono la realtà di un continente anni luce distante dal nostro immaginario. All’alba delle indipendenze africane, si era già affermata la vulgata afro-pessimista che squalificava il continente considerandolo alla deriva. Più di recente sembra nascere invece una retorica dell’euforia e dell’ottimismo: il futuro sarà africano. A dirlo sono soprattutto alcuni economisti convinti che l’Africa potrebbe rappresentare la prossima destinazione del capitale internazionale, perché ricco di risorse umane e commodity a non finire.

I discorsi attuali sull’Africa sono dominati dalla dialettica tra gli estremi: la fede in un futuro radioso e la costernazione davanti a un passato e presente a dir poco caotici. A questo proposito il punto di vista di Sarr spariglia le carte quando egli dice, rivolgendosi al critico letterario Carlo Mazza Galanti che: «Il continente africano esprime stili di vita, forme economiche e relazioni sociali alternative rispetto all’economia dominante, il problema è che i nostri ricercatori non investono su tutto questo per capirlo, teorizzarlo, per comprendere se e dove questi modelli hanno un potere d’irradiazione, se sono forti o deboli, cosa si può sistematizzare, cosa si può replicare, cosa si può aumentare di scala. Siamo sempre all’interno di un’economia della mancanza, non si guarda quello che abbiamo e su cui possiamo costruire ma solo quello che gli altri hanno e che noi dovremmo avere. È un problema di sguardo».

Leggendo i vari interventi di Sarr, così come vengono riportati nei suoi saggi, come anche nei vari scritti e interviste che ha rilasciato, si evince un’istanza di giustizia e partecipazione dei popoli africani che sfugge — è un eufemismo s’intende — ai grandi player internazionali. E che cioè che la democrazia, intesa nell’accezione più nobile comepartecipazione e rappresentazione della volontà popolare«non servirà a nulla se non vi sarà allo stesso tempo un contratto sociale intorno alla divisione della prosperità».

di Giulio Albanese