· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-133
13 giugno 2024

Venerdì 7

Un abbraccio
di pace
per Israele
e Palestina

Vi ringrazio di essere qui a celebrare il decimo anniversario dell’invocazione per la pace in Terra Santa. L’allora Presidente dello Stato d’Israele, il compianto Shimon Peres, e il Presidente dello Stato di Palestina, Mahmoud Abbas, accettarono il mio invito a venire qui per implorare da Dio il dono della pace.

Poche settimane prima ero stato pellegrino in Terra Santa e avevo espresso il desiderio che i due si incontrassero, per compiere un gesto storico di dialogo e pace.

Conservo il ricordo di quell’emozionante abbraccio che i due Presidenti si scambiarono, anche alla presenza di Bartolomeo i , Patriarca Ecumenico, e dei rappresentanti delle comunità cristiane, ebraiche e musulmane di Gerusalemme.

Oggi, fare memoria è importante, specialmente alla luce di quanto purtroppo sta accadendo in Palestina e Israele.

Da mesi assistiamo a una crescente scia di ostilità e vediamo morire sotto i nostri occhi tanti innocenti.

Questa sofferenza, la brutalità della guerra, le violenze che essa scatena, l’odio che semina anche nelle generazioni future dovrebbero convincerci che «ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato» (Fratelli tutti, 261).

Invece che illuderci che la guerra possa risolvere i problemi e portare alla pace, dobbiamo essere critici e vigilanti verso un’ideologia purtroppo dominante, secondo cui «conflitto, violenza e fratture fanno parte del funzionamento normale di una società» (ivi, 236).

In gioco ci sono le lotte di potere tra i gruppi sociali, gli interessi economici di parte, gli equilibrismi politici internazionali che mirano a una pace apparente.

In un tempo segnato da tragici conflitti, c’è bisogno di un rinnovato impegno per un mondo pacifico.

Non smettiamo di sognare la pace e di costruire relazioni di pace!

Ogni giorno prego perché questa guerra volga finalmente al termine. Penso a coloro che soffrono, in Israele e Palestina: ai cristiani, agli ebrei, ai musulmani.

Penso a quanto sia urgente che dalle macerie di Gaza si levi la decisione di fermare le armi e chiedo un cessate-il-fuoco.

Penso ai familiari e agli ostaggi israeliani e chiedo che siano liberati il prima possibile; penso alla popolazione palestinese e chiedo che sia protetta e riceva gli aiuti umanitari. Penso ai tanti sfollati a causa dei combattimenti, e chiedo che presto le loro case vengano ricostruite perché possano ritornarvi.

Penso a quei palestinesi e israeliani di buona volontà che, tra le lacrime e le sofferenze, si adoperano ad anticipare l’alba di un mondo pacifico.

Tutti dobbiamo impegnarci affinché si raggiunga una pace duratura, dove lo Stato di Palestina e lo Stato d’Israele possano vivere l’uno accanto all’altro, abbattendo i muri dell’inimicizia e dell’odio.

Dobbiamo avere a cuore Gerusalemme, affinché diventi la città dell’incontro fraterno tra cristiani, ebrei e musulmani, tutelata da uno statuto speciale garantito a livello internazionale.

La pace non si fa soltanto sugli accordi di carta o sui tavoli dei compromessi umani e politici. Essa nasce da cuori trasformati, sorge quando ciascuno di noi viene raggiunto e toccato dall’amore di Dio, che scioglie i nostri egoismi, frantuma i nostri pregiudizi e dona il gusto e la gioia dell’amicizia, della fraternità, della solidarietà.

Non ci può essere pace se non lasciamo che Dio stesso disarmi il nostro cuore.

Vogliamo ancora innalzare a Dio la nostra supplica per la pace, come dieci anni fa. Vogliamo chiedere al Signore di far crescere ancora l’ulivo che quel giorno abbiamo piantato.

Dobbiamo chiedere a Dio che la pace possa germogliare nel cuore di ogni uomo, in ogni popolo e Nazione, in ogni lembo di terra, al riparo da venti di guerra e innaffiato da coloro che ogni giorno si impegnano a vivere nella fraternità.

Non smettiamo di sognare la pace, che ci regala la gioia di sentirci parte di un’unica famiglia umana.

Questa gioia l’ho vista a Verona, sul volto di quei due papà, un israeliano e un palestinese, che si sono abbracciati davanti a tutti. Di questo hanno bisogno Israele e Palestina: di un abbraccio di pace!

Chiediamo al Signore che i Capi delle Nazioni e le parti in conflitto possano ritrovare la via della concordia e dell’unità. Che tutti si riconoscano fratelli.

(Momento di preghiera nel decennale dell’Invocazione per la pace in Terra Santa)

Sabato 8

Per una
società
più giusta
e più umana

Nel momento in cui assumete i vostri incarichi, vorrei che riflettessimo su tre parole che possono esservi di guida nel vostro servizio: famiglia, speranza e pace.

Le Nazioni che rappresentate hanno ciascuna la propria storia, cultura, tradizione e identità. Al tempo stesso, sono parte di un’unica famiglia umana.

E in effetti, l’immagine di famiglia applicata alla Comunità internazionale è appropriata.

Il nobile lavoro della diplomazia, ad ambedue i livelli, bilaterali e multilaterale, ha lo scopo di promuovere e far crescere tali valori, indispensabili all’autentico e integrale sviluppo di ogni persona, come al progresso dei popoli.

Incoraggio i vostri sforzi e quelli dei vostri governi per coltivare il bene comune, proteggere i diritti fondamentali e la dignità di tutti e costruire una cultura di solidarietà fraterna e di cooperazione.

Purtroppo, il tessuto della famiglia delle nazioni è oggi lacerato dalla tragedia di conflitti civili, regionali e internazionali.

Pensiamo a cosa sta succedendo in Sudan, Ucraina, Gaza e Haiti, per fare solo alcuni esempi.

Contemporaneamente, assistiamo a molteplici crisi umanitarie conseguenti a tali conflitti, compresa la mancanza dell’accesso ad alloggio, cibo, acqua e cure mediche adeguati.

Attenzione
ai problemi
della
migrazione forzata

Dobbiamo anche porre attenzione ai problemi della migrazione forzata, al numero crescente di sfollati interni, al flagello del traffico di esseri umani, agli effetti dei mutamenti climatici, specialmente sui soggetti più poveri e vulnerabili, e agli squilibri economici globali che contribuiscono alla perdita della speranza, specialmente tra i giovani.

Causa di grave preoccupazione è anche il declino della natalità, che si sperimenta in molti Paesi.

Intraprendere un dialogo lungimirante, costruttivo e creativo, basato sull’onestà e sull’apertura, per trovare soluzioni condivise e rafforzare i legami che ci uniscono come fratelli e sorelle all’interno della famiglia mondiale.

Dobbiamo anche ricordarci dei nostri obblighi nei confronti delle future generazioni, chiedendoci in che tipo di mondo vogliamo che vivano i nostri bambini e chi verrà dopo di loro.

La risposta a tale domanda implica speranza. Essa è il messaggio centrale dell’imminente Anno Giubilare, che la Chiesa Cattolica celebrerà a partire dal prossimo 24 dicembre.

Di fronte all’incertezza per il futuro, è facile scoraggiarsi, diventare pessimisti e perfino cinici.

Eppure la speranza ci porta a riconoscere il bene presente nel mondo, e ci dà la forza necessaria ad affrontare le sfide dei nostri giorni.

Per questo mi piace pensare a voi Ambasciatori, come a segni di speranza, perché siete donne e uomini che cercano di costruire ponti tra i popoli, e non muri.

Le elevate responsabilità che esercitate ricordano che la ricerca di un terreno comune, la comprensione reciproca e le espressioni concrete di solidarietà sociale sono tutte cose possibili.

Ho fiducia che la vostra missione contribuirà, oltre che a consolidare le buone relazioni tra le vostre Nazioni e la Santa Sede, alla costruzione di una società più giusta, più umana, in cui tutti siano accolti e in cui a tutti siano date le opportunità necessarie ad avanzare insieme sul sentiero della fraternità e della convivenza pacifica.

Infatti la pace è «frutto di relazioni che riconoscono e accolgono l’altro nella sua inalienabile dignità».

Solo quando mettiamo da parte l’indifferenza e la paura può fiorire un genuino clima di rispetto reciproco, che porti a una durevole concordia.

La vostra presenza è segno eloquente della volontà delle Nazioni che rappresentate e della Comunità internazionale nel suo complesso di affrontare le situazioni di ingiustizia, discriminazione, povertà, disuguaglianza che affliggono il nostro mondo e che ostacolano le pacifiche aspirazioni delle generazioni presenti e future.

È mio auspicio che nell’esercitare il vostro ruolo di diplomatici vi sforzerete sempre di essere costruttori di pace, quelli benedetti dall’Onnipotente.

(Agli ambasciatori di Etiopia, Zambia, Tanzania,
Burundi, Qatar e Mauritania in occasione
della presentazione delle lettere credenziali)

Senza acqua
nessun
progresso

È significativo che una delle immagini più emblematiche della città di Roma sia quella di Oceano che, su un carro di cavalucci marini guidato da tritoni, si fa strada tra le vie... come se la stessa Urbe fosse immersa nei domini del mare.

Gli antichi hanno voluto decantare in tal modo l’arrivo dell’acqua al centro della città, che in tal modo recuperava la sua maestosità, dopo anni di carestia e angoscia, imposti dalle guerre che avevano distrutto le sue infrastrutture.

L’acqua è necessaria per la vita dell’uomo, non ci può essere nessun progresso, neppure sociale, senza di essa.

Persino la grande città di Roma è immersa nell’oceano concettuale del potere delle acque.

Quanti ci hanno preceduto l’onoravano, non solo nella loro arte, ma anche con la preghiera di lode al Creatore.

San Francesco d’Assisi nel Cantico delle Creature la evoca come «sorella acqua», definendola «utile e umile, preziosa e pura».

È deplorevole che noi snaturiamo tali epiteti, trasformando ciò che è utile in un oggetto da sfruttare. Oltraggiamo ciò che realizza un lavoro umile e silenzioso per il bene comune. E invece di considerare prezioso questo dono, lo trasformiamo in moneta di scambio, motivo di speculazione, veicolo di estorsione.

Il poverello d’Assisi conclude definendo l’acqua come pura. L’Acqua Vergine che sgorga dalla Fontana di Trevi deve il suo nome a una giovane fanciulla del popolo che con audacia indicò ai legionari romani il luogo dove si trovava la sorgente, ed era inoltre apprezzata per la sua purezza.

Questa bontà che l’acqua porta alla gente semplice corre il rischio di essere violata da malignità, egoismo e disprezzo dell’altro.

Tutta la nostra civiltà è immersa nell’Oceano ed è necessario un cambiamento radicale per recuperare il senso di quegli aggettivi di san Francesco.

Valorizziamo la sua utilità comune nella sicurezza alimentare, il suo umile lavoro nella regolazione del clima, lottiamo contro l’inquinamento per restituirle la sua preziosa bellezza e facciamo il proposito di non violare la sua purezza, lasciandola come eredità alle prossime generazioni.

(Messaggio per l’evento «Inmersos en el cambio» in Costa Rica)

Mercoledì 12

La Scrittura
è una lettera
d’amore
di Dio
all’uomo

Proseguiamo le catechesi sullo Spirito Santo che guida la Chiesa verso Cristo nostra speranza. Abbiamo contemplato l’opera dello Spirito nella creazione; oggi lo vediamo nella rivelazione, di cui la Sacra Scrittura è testimonianza ispirata da Dio e autorevole.

San Paolo afferma: «Tutta la Scrittura è ispirata da Dio». E un altro passo del Nuovo Testamento dice: «Mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio».

Questa è la dottrina dell’ispirazione divina della Scrittura, che proclamiamo come articolo di fede nel Credo, quando diciamo che lo Spirito Santo «ha parlato per mezzo dei profeti».

Lo Spirito Santo, che ha ispirato le Scritture, è anche Colui che le spiega e le rende perennemente vive e attive. Da ispirate, le rende ispiratrici.

In questo modo lo Spirito Santo continua, nella Chiesa, l’azione di Gesù Risorto che, dopo la Pasqua «aprì la mente dei discepoli all’intelligenza delle Scritture».

Può capitare che un certo passo della Scrittura, che abbiamo letto tante volte senza particolare emozione, un giorno lo leggiamo in un clima di fede e di preghiera, e allora quel testo si illumina, ci parla, proietta luce su un problema che stiamo vivendo, rende chiara la volontà di Dio in una certa situazione.

A che cosa è dovuto questo cambiamento, se non a una illuminazione dello Spirito?

Parole che
sotto l’azione
dello Spirito,
diventano
luminose

Le parole della Scrittura, sotto l’azione dello Spirito, diventano luminose. La Chiesa si nutre della lettura spirituale della Scrittura, cioè della lettura fatta sotto la guida dello Spirito che l’ha ispirata.

Al suo centro, come un faro che illumina tutto, c’è l’evento della morte e risurrezione di Cristo, che compie il disegno di salvezza, realizza tutte le figure e le profezie, svela tutti i misteri nascosti e offre la vera chiave di lettura dell’intera Bibbia.

La morte e risurrezione di Cristo è il faro che illumina anche la nostra vita.

L’Apocalisse descrive ciò con l’immagine dell’Agnello che rompe i sigilli del libro «scritto dentro e fuori, ma sigillato con sette sigilli», l’Antico Testamento.

La Chiesa, Sposa di Cristo, è interprete autorizzata del testo della Scrittura ispirato. [Essa] è la mediatrice della sua proclamazione autentica. Poiché la Chiesa è dotata dello Spirito Santo, essa è «colonna e sostegno della verità».

Compito della Chiesa è aiutare i fedeli e quanti cercano la verità a interpretare in modo corretto i testi biblici.

Un modo di fare la lettura spirituale della Parola di Dio è la lectio divina. Consiste nel dedicare un tempo della giornata alla lettura personale e meditativa di un brano della Scrittura.

Questo è importante: tutti i giorni prenditi un tempo per ascoltare, per meditare, leggendo un passo della Scrittura.

Mi raccomando: abbiate sempre un Vangelo tascabile e portatelo nella borsa, nelle tasche… Così quando siete in viaggio o quando siete un po’ liberi lo prendete e leggete… durante la giornata leggetelo una, due volte, quando capita.

Ma la lettura spirituale per eccellenza della Scrittura è quella comunitaria che si fa nella Liturgia, nella Messa.

Lì vediamo come un evento o un insegnamento, dato nell’Antico Testamento, trova il suo pieno compimento nel Vangelo di Cristo.

L’omelia, quel commento che fa il celebrante, deve aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita. Ma per questo dev’essere breve: un’immagine, un pensiero e un sentimento.

L’omelia non deve andare oltre gli otto minuti, perché dopo con il tempo si perde l’attenzione e la gente si addormenta, e ha ragione.

Voglio dire ai preti che parlano tanto, e non si capisce di che cosa parlano: omelia breve; un pensiero, un sentimento e uno spunto per l’azione, per come fare.

Non più di otto minuti. Perché l’omelia deve aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita.

E tra le tante parole di Dio che ogni giorno ascoltiamo nella Messa o nella Liturgia delle ore, ce n’è sempre una destinata in particolare a noi. Qualcosa che tocca il cuore.

Accolta nel cuore, essa può illuminare la giornata, animare la preghiera. Si tratta di non lasciarla cadere nel vuoto!

Come certi brani musicali, la Sacra Scrittura ha una nota di fondo che l’accompagna dall’inizio alla fine, e questa è l’amore di Dio.

«Tutta la Bibbia — osserva Sant’Agostino — non fa che narrare l’amore di Dio».

E San Gregorio Magno definisce la Scrittura «una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura», come una lettera dello Sposo alla sposa, ed esorta a «imparare a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio».

Non
dimenticare
il Vangelo
tascabile

«Con questa rivelazione — dice il Vaticano ii — Dio invisibile, nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé».

Avanti con la lettura della Bibbia! Ma non dimenticate il Vangelo tascabile: in qualche momento della giornata leggere un passo. E questo vi farà vicinissimi allo Spirito Santo che è nella Parola di Dio.

Lo Spirito, che ha ispirato le Scritture e ora spira dalle Scritture, ci aiuti a cogliere questo amore di Dio nelle situazioni concrete della vita.

(Udienza generale in piazza San Pietro)