Due dimensioni costitutive
«Ovviamente insieme»: quell’invito lanciato da san Giovanni Paolo ii agli altri cristiani a trovare insieme le forme nelle quali il ministero del Vescovo di Roma «possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» risuona ancora oggi. Sono trascorsi quasi trent’anni dall’Enciclica Un unum sint, infatti, pubblicata nel 1995, e la riflessione sulla questione del primato e della sinodalità è ancora viva, insieme all’urgenza dell’unità della Chiesa e alla richiesta di trovare una modalità di esercizio del ministero petrino che sia condivisa dalle Chiese. Il tema è quanto mai fondamentale, anche in vista della commemorazione del 1.700° anniversario del Concilio di Nicea, il primo Concilio ecumenico, che si celebrerà nel 2025.
Ecco, allora, che il documento Il Vescovo di Roma, diffuso oggi, cerca di offrire alcune conclusioni. Lo ha ribadito stamani il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, presentando il documento nella Sala stampa della Santa Sede. «La conclusione più importante», ha detto, è che ora si concorda sulla «necessità di un servizio di unità a livello universale», pur se con modalità «soggette a interpretazioni diverse». Ad ogni modo, oggi «la questione del primato non è più considerata solo come un problema, ma anche come un’opportunità di riflessione comune sulla natura della Chiesa e sulla sua missione nel mondo».
Un’idea «particolarmente interessante», ha spiegato il cardinale Koch, è che «il ministero petrino del Vescovo di Roma è intrinseco alla dinamica sinodale, così come l’aspetto comunitario che comprende tutto il Popolo di Dio e la dimensione collegiale del ministero episcopale». In tal modo, primato e sinodalità possono essere intese «non come due dimensioni ecclesiali in competizione, ma piuttosto due realtà reciprocamente costitutive». Su questo punto si è soffermato, in particolare, il cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria generale del Sinodo: «Se c’è un “luogo”, un contesto che oggi può manifestare, anzi, sta manifestando, una modalità nuova di esercitare il primato — ha detto —, questo è proprio il processo sinodale».
«Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa» come battezzato tra i battezzati e come vescovo tra i vescovi, ha sottolineato il porporato, riprendendo il discorso pronunciato da Francesco nel 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, il 17 ottobre 2015.
Questa affermazione, ha aggiunto, rovescia di fatto la prospettiva del Concilio Vaticano i che assegna al primato l’essere «il baluardo contro le pretese degli Stati moderni di subordinare la Chiesa alle leggi costituzionali», secondo un modello di Chiesa piramidale, perfetta, «superiore a ogni società umana» e al cui vertice c’è il Pontefice. Il Concilio Vaticano ii , però, ha imposto un vero e proprio vincolo, inserendo «il capitolo sul popolo di Dio nella costituzione sulla Chiesa». Il popolo di Dio, infatti, «come soggetto del sensus fidei non sarà mai una somma di persone, una massa anonima, ma la totalità dei battezzati che vive e cammina nelle Chiese». Il che significa, ha affermato il cardinale Grech, che ora «non possiamo parlare di primato e collegialità senza ricollegarli alla sinodalità». E ciò è tanto più evidente nella «presenza discreta» e nella «funzione di accompagnamento e conferma del processo» sinodale portate avanti dal Papa e che lasciano intravedere «un nuovo modo di esercitare il ministro petrino», ovvero il modo della «dinamica sinodale», sviluppata sul registro della «comunione dei fedeli, delle Chiese e dei vescovi», la quale mostra come «sarebbe possibile arrivare a un esercizio del primato a livello ecumenico».
Di «testo di riferimento per il dialogo ecumenico» e «prezioso punto di partenza per una rinnovata discussione sull’esercizio del primato e della sinodalità» ha parlato Sua Eminenza Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede — Catholicossato di Etchmiadzin. In collegamento da remoto, ha ribadito che «la sinodalità della Chiesa cattolica è un criterio importante per le Chiese ortodosse orientali nel cammino verso la piena comunione», tanto più che queste ultime hanno una «secolare esperienza di sinodalità». Centrale, nel suo intervento, il richiamo alle «varie proposte del documento» per rafforzare la sinodalità “ad extra”, definite «promettenti», così come l’idea di «distinguere più chiaramente tra le diverse funzioni del Papa, da un lato, come Patriarca della Chiesa latina, dall’altro, come ministro di unità tra diverse Chiese e, infine, come capo di Stato». Al riguardo, Sua Eminenza Khajag Barsamian ha espresso apprezzamento per «il reinserimento del titolo di “Patriarca d’Occidente” tra i titoli storici del Papa», in quanto esso «testimonia la sua fratellanza con gli altri Patriarchi», così come «l’insistenza di Papa Francesco sul suo ministero di Vescovo di Roma, perché è in quanto Vescovo di Roma, Chiesa “che presiede alla carità”, come dice Ignazio di Antiochia nella Lettera ai Romani, che il Papa è chiamato a servire la comunione delle Chiese». L’auspicio della Chiesa Apostolica Armena è dunque che questo documento «dia nuovo slancio per riflettere insieme su un nuovo modello, un modello non di giurisdizione ma di comunione».
Da remoto è intervenuto anche l’arcivescovo Ian Ernest, direttore del Centro anglicano di Roma e rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede, il quale ha sottolineato l’importanza sia della proposta della sinodalità “ad extra”, contenuta nel documento, sia di «una riformulazione o di un commento ufficiale all’insegnamento del Vaticano i », in quanto esso rappresenta «un grande ostacolo tra le nostre Chiese». In particolare, l’arcivescovo Ernest ha affermato che «è ancora necessario presentare l’insegnamento del Vaticano i alla luce di un’ecclesiologia di comunione, chiarendo la terminologia utilizzata».
Da tutti i relatori, inoltre, è giunto l’auspicio che Il Vescovo di Roma venga condiviso con le diverse Chiese cristiane — cosa che il Dicastero preposto e la Segreteria generale del Sinodo intendono fare — così da poter proseguire la riflessione «ovviamente insieme». Una presentazione più approfondita del documento con teologi di diverse tradizioni si terrà nella serata di oggi presso l’Œcumenicum, l’Istituto di studi ecumenici dell’Angelicum.
Rispondendo, poi, alle domande dei giornalisti, il cardinale Koch si è soffermato sul tema dell’infallibilità del Papa, ricordando che il Concilio Vaticano ii parla «dell’infallibilità della Chiesa». «Il Papa non ha altra infallibilità che la fede della Chiesa cattolica», ha aggiunto, ed è su questa direzione che si può continuare il dialogo ecumenico. Quanto al primato, il porporato ha evidenziato come «per tutti i cristiani, è chiaro che il capo della Chiesa è Cristo. Il primo compito del Vescovo di Roma, dunque, è l’obbedienza a Cristo e far sì che tutta la Chiesa faccia la stessa cosa. Il primato nella Chiesa è, invece, un’altra cosa» ed è questo l’obiettivo del dialogo e del cammino ecumenici. Al riguardo, il cardinale prefetto ha citato i tanti momenti cui ha preso parte Papa Francesco, dagli Incontri interreligiosi per la pace ad Assisi, alla Giornata di riflessione e spiritualità “Mediterraneo frontiera di pace” a Bari. «In questo senso, il Pontefice esercita, nella pratica, un primato», ha spiegato il porporato, anche perché «chi altro oggi può dire che la vera sorella della pace è la giustizia?»
Infine, Koch ha invitato a fare una distinzione tra «la dimensione patriarcale» e «il titolo di “Patriarca dell’Occidente”»: quest’ultimo oggi ha un valore per lo più storico, ha spiegato, anche perché la maggioranza della Chiesa cattolica non è più in Occidente, ma in altre zone, come per esempio in America Latina.
di Isabella Piro