«Da qui preghiamo per la pace in Ucraina». A parlare ai media vaticani è don Bohdan Savula, parroco della chiesa ucraina nota come la “Rotonda”, al confine con la Slovacchia, nella provincia della Transcarpazia, nel quartiere di Horyany, alla periferia della città di Užhorod. Si tratta di una delle tre chiese più antiche dell’Ucraina, appartenente all’eparchia greco-cattolica di Mukachevo — abbellita da affreschi medievali che molti studiosi ritengono eseguiti da maestri della scuola di Giotto — dove vive una comunità che ha aperto le porte a numerose famiglie, costrette a fuggire dalle zone calde del conflitto. Di recente, inoltre, è stato emanato un decreto che consente di ottenere l’indulgenza plenaria ai pellegrini che raggiungono questo luogo, elevato a santuario mariano. Ce ne parla il parroco.
Come si sta sviluppando la vostra comunità?
Durante il periodo sovietico, quando la nostra Chiesa fu proibita, la Rotonda rimase formalmente ortodossa per un certo periodo di tempo. Nel 1959 fu colpita da un fulmine ed è rimasta chiusa fino al 1990. Quando la nostra Chiesa è uscita dalla clandestinità, la gente, per così dire, ha ripreso vita e ha fatto di tutto per restituire la Rotonda alla comunità. Si è persino discusso se restituirla agli ortodossi, poiché l’ultima volta era stata registrata come ortodossa, ma la maggioranza ha votato per la Chiesa greco-cattolica. La gente ci tiene alla propria chiesa, cerca di fare in modo che sia ben curata e che quando le persone vengono si sentano bene. Prima Horyany era un villaggio, poi annesso a Užhorod, e ora è uno dei quartieri di Užhorod. La nostra parrocchia conta 300-350 famiglie. Per quanto riguarda lo sviluppo del santuario, ci sono due aspetti. Il primo è l’aspetto spirituale: oltre alle funzioni regolari, ogni primo sabato del mese una delle parrocchie di Užhorod viene in pellegrinaggio alla nostra Rotonda. In particolare ora preghiamo per la pace in Ucraina, per tutti i soldati. Ogni tredicesimo giorno del mese organizziamo una serata dedicata a Fátima, durante la quale abbiamo una liturgia, una preghiera delle madri, una preghiera del rosario, eccetera. Il secondo aspetto riguarda lo sviluppo organizzativo di questo luogo. Abbiamo completato il restauro esterno della Rotonda. È stato fatto un lavoro su larga scala per portare la Rotonda in buone condizioni, come appare ora. E adesso vogliamo costruire un centro di pellegrinaggio dove le persone che vengono possono rilassarsi, pernottare e mangiare. È ancora in fase iniziale perché non è un periodo molto favorevole dal punto di vista finanziario, a causa della guerra. Ma stiamo lavorando. Abbiamo già dei terreni registrati per la Rotonda e credo che nel prossimo futuro verrà costruito un centro di pellegrinaggio, una cappella e verrà aperta una Via Crucis.
Užhorod si trova vicino al confine con la Slovacchia, quindi abbastanza lontano dalla zona di guerra. Come influisce il conflitto sulla vita della vostra comunità?
È vero, siamo i più lontani dai combattimenti e, grazie a Dio, all’inizio della guerra qui è arrivato solo un razzo. Invece abbiamo avuto l’afflusso di un numero enorme di rifugiati e sfollati interni. All’inizio, quasi tutti i parrocchiani avevano in casa persone provenienti da Kharkiv, Donetsk, Odesa, Dnipro, Zaporizhzhia, che stavano semplicemente fuggendo dalla guerra. Abbiamo visto il numero di queste persone e volevamo aiutarle. Abbiamo fatto davvero tanto, aiutando con denaro, cibo, vestiti e tutto ciò che potevamo. Con il tempo questo bisogno si è un po’ attenuato perché alcune persone sono tornate, altre sono andate all’estero, altre ancora hanno trovato un proprio alloggio. Ma la guerra si fa sentire perché la situazione nel Paese è molto difficile. Perché sento che, se all’inizio tutti vivevamo con l’aspettativa che sarebbe finita abbastanza velocemente, ora sta diventando molto difficile, perché tutti sono mentalmente molto stanchi e nessuno sa come finirà. Inoltre, un’altra cosa difficile sono i funerali dei militari. Per esempio, abbiamo seppellito cinque soldati della nostra parrocchia che sono morti al fronte. E ci sono diversi soldati feriti che non possono più prestare servizio. E molti altri sono ancora al fronte, quindi preghiamo sempre. Quindi, di fatto, siamo i più lontani, ma sentiamo la guerra profondamente e molto da vicino, perché quando guardi le persone che non hanno un posto dove tornare, quando guardi gli occhi dei bambini che sono rimasti orfani, è dura. Inoltre, purtroppo, quasi ogni settimana, a volte anche ogni giorno, ci sono i funerali dei nostri militari nelle parrocchie vicine e noi, come sacerdoti, siamo coinvolti. Quindi, anche se qui non succede nulla, la situazione è piuttosto difficile.
Che significato ha per lei la devozione alla Vergine Maria?
Una volta avevo letto la storia sulle apparizioni di Fátima, in cui la Madonna chiedeva di pregare per la conversione della Russia, e mi sono ricordato questo quando è iniziata l’invasione russa su larga scala. Tutto questo è molto sentito a livello spirituale, perché si tratta davvero di una lotta spirituale. E continuo a dire alle persone che dobbiamo metterci in ginocchio, pregare e digiunare continuamente. Perché, umanamente parlando, nessuna organizzazione secolare può fermare questa guerra. Pertanto, dobbiamo confidare nel Signore Dio. A livello diocesano e nazionale, spesso organizziamo giornate di preghiera e digiuno per il nostro Paese. E sono convinto che, se non fosse stato per il Signore Dio, non avrei trovato la risposta. Forse avrei lasciato l’Ucraina con la mia famiglia, perché avrei detto che qui non c’erano prospettive. Ma la fede nel Signore Dio e la fiducia nella Vergine Maria mi danno la speranza che arriverà qualcosa di buono, migliore di adesso.
di Svitlana Dukhovich