Il G7 segua l’esempio
I leader del g7 dovrebbero avere il coraggio di lavorare per la pace, come Papa Francesco, e come lui dovrebbero fare la differenza. Maoz Inon e Aziz Abu Sarah, israeliano il primo, palestinese il secondo, una volta scesi dal palco che a Verona, lo scorso 18 maggio, li ha visti protagonisti dell’abbraccio con il Pontefice durante l’incontro “Giustizia e Pace si baceranno”, hanno iniziato a sentirsi i testimoni del messaggio di fraternità del Papa. Ed entrambi, in questa veste, si rivolgono ai partecipanti al 50° vertice del Gruppo dei Sette, che si apre in questi giorni in Puglia e al quale venerdì prenderà parte Papa Francesco, per dire che non si può parlare di soluzione in Medio Oriente se non si invitano i protagonisti: i pacifisti di una parte e dell’altra.
Il Papa, spiega Aziz, il cui fratello è stato ucciso in un carcere israeliano, «ci ha indicato che il progetto del futuro è abbracciarsi l’un l’altro, e che tutto dipende da ciò che decidiamo di fare, se vogliamo sostenere la paura e l’odio o piuttosto la pace». L’essere stati abbracciati dal Papa di fronte al mondo intero legittima adesso il loro appello contro «la guerra, la vendetta, le uccisioni, i conflitti e per la pace»; il loro essere stati accolti da Papa Francesco, prosegue Aziz, «ha fatto sì che ci ascoltassero persone che altrimenti non lo avrebbero mai fatto». Il Pontefice è la voce della pace nel mondo, e Aziz e Maoz intendono essere i suoi “ambasciatori”. Un lavoro difficile, ammette il palestinese, poiché «la pace è una questione di azione, di rimboccarsi le maniche e lavorare. E lo stesso vale per la speranza, non si può dire: spero nella pace e aspettare che accada», occorre operare per fare in modo che succeda, ma «è molto difficile di fronte alla rabbia di persone senza speranza». Aziz e Maoz sono convinti di aver dimostrato che «la pace è possibile», e che la strada, «insieme alla guida di Papa Francesco», si può trovare.
«Non ho scelto di essere un messaggero, né di Papa Francesco, né della pace – confida Maoz - ma sono stato scelto dai miei genitori, nel momento in cui sono stati uccisi da Hamas, lo scorso 7 ottobre. Loro hanno scelto me, con la loro educazione mi hanno dato gli strumenti e la forza per fare in modo che il loro sacrificio fosse per la pace e non per la guerra». Questo è il mandato che entrambi, Aziz e Maoz, hanno assunto su loro stessi: «Dimostrare che c'è speranza e ribadire che si può vivere insieme», fare in modo che ci possa essere una connessione, anche se fondata sul dolore o sulla rabbia, che restano, che non vanno mai via, ma che anziché muovere verso l’odio alimentano la missione di pace. «Ogni volta che parlo con i miei amici a Gaza vivo il loro terrore, quando sento la mia famiglia a Gerusalemme o in Cisgiordania, ho paura per loro - è la voce di Aziz – ma non permetto che questa rabbia e questa paura mi facciano desiderare di fare del male a qualcun altro».
Questo preciso momento storico è, per entrambi, quello fondamentale per parlare di pace, il momento in cui si perdono le vite e le case, il momento in cui a vincere è la distruzione. Aziz e Maoz sono il vero spauracchio per gli estremisti, perché rappresentano «una via alternativa», perché, dice Aziz, «niente spaventa chi vuole la guerra, come due persone di entrambe le parti che si uniscono e che dicono di volere la pace per mostrare a tutti che non esiste altra strada che non sia quella della fraternità».
Il pensiero dei due va ai bambini, a quelli che sono vittime, a quelli che dovranno essere educati al rispetto della vita. «La nostra speranza – parla Aziz - è che vedendo che a parlare contro la vendetta siamo noi che abbiamo perso i nostri familiari, comincino a farlo anche le altre persone». Per Maoz fondamentale è «non essere schiavi del passato, ma riuscire a tracciare un nuovo futuro», che possa mettere al riparo le vite, che possa vedere raggiunto un accordo, forse oggi, forse tra decenni, il che dipenderà da chi, come Aziz e Maoz, riuscirà a divenire a sua volta simbolo dell’unica strada possibile, quella della pacificazione. Entrambi sanno che se scegliessero la via della vendetta potrebbero apparire ad alcuni come degli “eroi”, ma non è questo il tipo di eroismo che i due amici cercano, quanto quello di ragionare su come fermare la guerra e le uccisioni, quello che dovrebbe essere l’unico argomento ad animare i presenti al g7, concludono Aziz e Maoz, e cioè come «salvare oltre un milione di persone dal fiume al mare».
di Francesca Sabatinelli