· Città del Vaticano ·

La nota «Gestis verbisque» del Dicastero per la dottrina della fede / 2

La coppia materia e forma: uno strumento utile
e flessibile della teologia sacramentaria

 La coppia materia e forma: uno strumento utile e flessibile  della teologia sacramentaria  QUO-131
11 giugno 2024

L’intenzione profonda che sottende e ispira gli orientamenti normativi del recente documento del Dicastero per la dottrina della fede Gestis verbisque sulla validità dei sacramenti è di natura propriamente teologica e spirituale: evidenziare il primato del Signore Gesù Cristo nella vita sacramentale della Chiesa. È Gesù Cristo stesso che, nei sacramenti, continua la sua opera salvifica. È lui che battezza, è lui che perdona, è lui che ci nutre con il suo Corpo e il suo Sangue... Certo, la Chiesa ha il potere di discernere o addirittura di determinare — quando Cristo non lo ha fatto esplicitamente nell’istituire il sacramento — quali riti incarnano le intenzioni con cui Cristo intende «elargire la grazia che promana dalla Pasqua» (n. 11). Ma, rispetto alle stesse intenzioni di Cristo, la Chiesa vuole essere semplice e docile ancella. «La Chiesa è “ministra” dei sacramenti, non ne è padrona» (n. 11). Allo stesso modo, nella Chiesa, il ministro che celebra il sacramento, con l’intenzione di “fare ciò che fa la Chiesa”, si mette umilmente a disposizione della Chiesa e in qualche modo si fa da parte affinché il sacramento sia «un atto pienamente ecclesiale, sottratto all’arbitrio di un individuo» (n. 18). Ciò facendo, il ministro rispetta anche il diritto dei fedeli «di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti» (Codex iuris canonici [Cic] 213). Non per caso il documento si conclude nella terza parte con una meditazione sull’arte del celebrare e sulle disposizioni spirituali richieste da parte del ministro.

Spetta dunque alla Chiesa garantire la validità dei sacramenti, cioè la loro stessa esistenza come sacramenti, condizione necessaria anche se non sufficiente perché possano dispiegare tutta la loro straordinaria fecondità di grazia nella vita dei fedeli. È vero che la teologia contemporanea denuncia giustamente la tentazione di ridurre la celebrazione del sacramento alla questione della validità. Il rischio è non solo di trasformare il sacramento in rito magico, ma anche di distaccarlo dal contesto complessivo della celebrazione liturgica, nel quale solo può manifestare il suo pieno significato (cfr. n. 20). Ma se la teologia non deve fissarsi ossessivamente sulla sola determinazione della validità, questa è tuttavia richiesta dal realismo stesso della vita sacramentale.

Ora, per determinare l’essenza del rito sacramentale, necessaria per la validità, la teologia cattolica dal xiii secolo, e poi il Magistero, hanno spesso fatto ricorso alla dottrina della composizione ilemorfica dei sacramenti: il sacramento è composto di materia (hylè) e di forma (morphè). La Gestis verbisque riprende queste nozioni classiche (cfr. soprattutto i nn. 12-17). Per evitare infelici equivoci, vale la pena soffermarsi un attimo sulla natura e la portata di tale dottrina.

L’ilemorfismo è originariamente una dottrina filosofica. Per rendere conto del fenomeno del cambiamento, Aristotele evidenzia la struttura metafisica intrinseca degli esseri mutevoli. In essi, ci sono due principi correlativi che non esistono mai l’uno senza l’altro e la cui unione fa la sostanza: la forma e la materia, che sono tra loro in rapporto di atto e potenza. La materia è il sostrato reale ma indeterminato, capace di diventare questo o quello, mentre la forma è il tipo intelligibile che viene a determinare e a strutturare la materia. Forse oggi parleremmo di informazione (forma) e di vettore di informazione (materia)? Sebbene il modello ilemorfico sia stato immaginato per pensare la sostanza corporea, esso viene anche applicato, per estensione, a qualsiasi relazione tra un principio da determinare (la materia) e il principio determinante (la forma).

Quando la filosofia aristotelica si diffuse nell’Occidente latino, alcuni teologi che avevano familiarizzato con questo modello lo utilizzarono spontaneamente per rendere conto della struttura dei sacramenti, spiegando così la “dualità” insita nella loro essenza. In effetti, sant’Agostino aveva già presentato il sacramento come l’incontro della parola con l’elemento sensibile: «Accedit verbum ad elementum et fit sacramentum» (cfr. Omelia sul Vangelo di san Giovanni, lxxx, 3), ciò che in ultima analisi ci rimanda al Nuovo Testamento dove il battesimo viene descritto come «il lavacro dell’acqua mediante la parola» (Ef 5, 25).

San Tommaso d’Aquino spiega che i gesti compiuti nei riti sacramentali — come l’immergere nell’acqua — sono polisemici. Questi gesti simbolici, profondamente radicati nell’esperienza umana, hanno significati diversi a seconda del contesto: sono segni indeterminati, “aperti”. «Perciò per rendere perfetto il significato dei sacramenti, era necessario che si determinasse con qualche parola il significato delle cose sensibili» (Sum. theol., iiia, q. 60, a. 6). Le parole determinano i gesti, dando loro un significato in sintonia con la storia della salvezza in Cristo. Esse svolgono quindi un ruolo simile a quello della forma nella costituzione degli esseri.

Ma bisogna non irrigidire il modello ilemorfico. È un modello utile, ma molto flessibile e analogico. Per diversi motivi, non è né auspicabile né appropriato costringere tutti i sacramenti nello stampo predeterminato di un modello unico e univoco. In primo luogo, non tutti hanno la medesima struttura. Se il modello ilemorfico è illuminante nel caso del battesimo o della cresima, è assai difficile da adoperare nel caso del matrimonio. In secondo luogo, l’unione tra forma e materia produce una sostanza appartenente all’ordine ontologico, mentre il sacramento non è una “cosa” ma appartiene all’ordine intenzionale dei segni. In terzo luogo, a differenza delle realtà fisiche composte di materia e forma, nei sacramenti non c’è sempre simultaneità tra forma e materia (ad esempio, nella celebrazione del sacramento dell’Ordine, il prefazio consacratorio viene solo dopo l’imposizione delle mani). Tutte queste specificità ed altre ancora ci invitano ad usare la dottrina ilemorfista con forte senso di analogia.

Pertanto, l’ilemorfismo rimane uno strumento flessibile e utile per pensare la struttura essenziale del sacramento e dunque per valutare la validità delle celebrazioni, condizione necessaria perché si dispieghi a pieno l’inesauribile ricchezza dei sacramenti di Cristo.

di Serge-Thomas Bonino
Religioso domenicano, presidente della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino