L’Unione europea
La guerra e la situazione in Ucraina, l’incertezza economica, il rischio di declassamento, la perdita di slancio e la conseguente ricerca di identità: sono tutti i fattori che hanno prodotto il risultato del voto europeo con il quale gli elettori dei 27 Paesi Ue hanno mostrato le loro paure e le loro critiche nei confronti di una Europa che sembra «troppo tecnocratica, troppo distante, troppo pignola su certi argomenti». Monsignor Antoine Hérouard, vicepresidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece), e arcivescovo di Digione, offre una riflessione sul post voto, definendo «di malcontento e contro i governi in carica in molti Paesi» quello espresso dai cittadini europei.
La Comece invia un segnale di incoraggiamento agli eletti, chiedendo loro di essere consapevoli di «essere al sevizio dell’Europa intera e non soltanto di dover difendere alcuni interessi particolari». La costruzione europea, è il punto fondamentale per i vescovi, deve essere una «costruzione solidale che crea legami fra i Paesi membri, ma che anche pone l’Europa in modo speciale e in modo originale nel rapporto con i grandi Paesi del mondo».
Quello degli europei, spiega Hérouard, è un appello del quale occorre tenere conto, espresso con un voto critico, che comunque fa restare come gruppo «più numeroso del Parlamento europeo il Partito popolare europeo». A conti fatti, quindi, «il risultato non significa che si debba assecondare la logica di un certo numero di partiti” definiti di estrema destra o populisti», ma significa anche «che le insoddisfazioni espresse nelle elezioni devono essere prese in considerazione nell’esercizio della maggioranza che emergerà attraverso la scelta dei principali leader». Di fronte ad un Parlamento europeo uscente che, sottolinea il presule, in questi anni ha riflesso un processo di «forte scristianizzazione» del continente europeo, è la Chiesa a ricordare che «le libertà individuali non sono senza limiti», che esistono «doveri gli uni verso gli altri e verso la costruzione di una società e di un’Europa solidale, in cui ci sia un posto reale per i più piccoli, per i più fragili, per coloro che sono in difficoltà di ogni tipo», e che va affrontata la questione migrazioni, «in modo sincero, vero e anche con una certa apertura, perché non basta dire che l’Europa non vuole più migranti».
Ciò al quale in parte si è assistito, prosegue l’arcivescovo di Digione, è invece l’agire di un governo che ha «cercato di definire quelli che alcuni hanno chiamato nuovi diritti, ma che sono più una questione di moltiplicazione dei diritti individuali senza tenere conto degli elementi di solidarietà necessari all'interno della società». La Comece, non manifestando in alcun modo appoggio per una o l’altra politica, ribadisce poi che i temi legati alla tutela della vita, dei diritti dei lavoratori, al mutuo soccorso internazionale e allo sviluppo dei Paesi più poveri restano i valori europei «incoraggiati dalla Chiesa» e che hanno a che fare con «la democrazia, con lo Stato di diritto, con valori molto diversi e molto ampi, ai quali Papa Francesco ha fatto spesso riferimento nei suoi numerosi discorsi sull'integrazione europea».
Hérouard e la Comece indicano poi l’urgenza di affrontare la questione ambientale, che raccoglie diffidenza da parte degli europei per via dei cambiamenti, anche costosi, che può richiedere, anche segnati da un alto costo economico, e invitano l’Europa a porsi, attraverso decisioni e misure politiche, al servizio dei cittadini, facendosi prossima alle loro preoccupazioni, proteggendoli e non ripiegandosi su se stessa. L’Europa che serve non è quella che difende «soltanto i diritti personali di ciascuno», ma è quella che costruisce «una vera solidarietà fra i Paesi e fra i cittadini», perché «il progetto europeo è un progetto di solidarietà di unione di comunione in un certo senso» e questo non va mai dimenticato.
di Francesca Sabatinelli
e Xavier Sartre