Dal 14 al 18 giugno le sale Uci Cinemas proietteranno, in anticipo rispetto alla distribuzione sulle piattaforme digitali, i primi due episodi della quarta stagione di «The Chosen».
The Chosen, serie televisiva divisa in sette stagioni che racconta la vita di Gesù e dei suoi discepoli, è divenuta con gli anni un fenomeno globale, con duecento milioni di spettatori e ottocento milioni di visualizzazioni dei singoli episodi. Diretta dal regista statunitense Dallas Jenkins, già doppiata in cinquanta lingue (è la serie televisiva più tradotta in assoluto), The Chosen è prodotta grazie alle libere donazioni degli spettatori alla fondazione Come and See.
Sono due i set principali in cui la serie viene girata: una è nello Utah, a Provo, vicino Salt Lake City, dove è stata ricostruita la città di Gerusalemme, ed uno in Texas, a Midlothian, vicino Dallas, dove è stata ricostruita Cafarnao, prendendo a modello le città di Pompei ed Ercolano. Accanto all’illustrazione di episodi basati sui Vangeli, come la moltiplicazione dei pani e dei pesci, o Gesù che cammina sulle acque, o la danza di Salomè, la serie racconta anche storie frutto della creatività degli sceneggiatori, storie che servono a creare il vissuto dei personaggi che attorniano Gesù.
Rispetto alle prime tre stagioni, che hanno illustrato la missione di Gesù e delineato i rapporti tra i vari personaggi, la quarta stagione si preannuncia più drammatica, in quanto illustrerà come l’opposizione al messaggio di Cristo diventi violenta da parte di chi comincia a vedere nella sua crescente influenza sul popolo una minaccia al potere costituito. L’attore Alaa Safi, che interpreta il ruolo di Simone lo Zelota, e Giovanni Zappalà, referente internazionale per l’Italia di The Chosen, hanno tenuto una conferenza stampa su Zoom in previsione del passaggio cinematografico delle prime due puntate della quarta serie.
Simone lo Zelota è menzionato solo un paio di volte nelle Scritture. Gli sceneggiatori hanno immaginato che sia il fratello del paralitico guarito da Gesù. Per prepararsi al ruolo, Safi ha detto di essersi documentato sul movimento degli Zeloti, per comprendere la loro ansia di proteggere il popolo contro l’ostilità dei romani e la loro fervente attesa dell’arrivo del Messia liberatore. «Tanto mi bastava per capire quanto fosse importante per il mio personaggio lasciare la propria casa, lasciare un fratello paralitico, per cercare di rendersi utile. Poi mi sono concentrato sulla mia pratica di arti marziali, perché anch’io, quando ero piccolo, ho vissuto qualcosa di simile: non tanto il bisogno di lasciare casa mia, ma certo quello di rifugiarmi in una disciplina che mi permettesse di rinforzarmi, di costruirmi delle difese e di prepararmi alla vita. Sono state le arti marziali a darmi questa disciplina. Il punto decisivo della mia comprensione del personaggio consiste nel passaggio dal credere in una vita basata unicamente sulla forza — e quindi in verità su una forma di paura, su un bisogno di controllo per limitare la paura — ad una filosofia nuova, basata sull’amore, sull’accettazione, sul perdono e su un atteggiamento di fiducia nei confronti della vita. È stata un’intuizione immediata che mi ha aiutato nell’impostazione di ogni scena del mio personaggio».
Alaa Safi ha poi aggiunto: «Nella quarta stagione entriamo in una fase in cui nel mio personaggio si installa il dubbio: tutto quello che, seguendo Gesù, ha creduto finora, cioè che sia giusto abbandonare le armi, fidarsi di una forza ancora più grande della violenza e della lotta, tutto ciò a cui il mio personaggio ha rinunciato solo per amore di Gesù, perché Gesù glielo ha chiesto, perché si fida di Lui e crede che sia il Messia, torna ora, al momento della sfida, come una possibile, o forse inevitabile alternativa».
Ma quale aspetto di questa serie ha fatto appassionare il pubblico ad una storia così marcatamente religiosa? Giovanni Zappalà ha ricordato che spesso dimentichiamo di vivere in un mondo e in un tempo segnato dalla presenza di Cristo sulla terra: «La storia è divisa in Avanti Cristo e Dopo Cristo. La chiave del successo di The Chosen è far conoscere i motivi per cui nella Giudea di oltre duemila anni fa un piccolo gruppo di uomini in così poco tempo abbia avuto un impatto così forte sulla storia dell’umanità. Se è ben raccontata, è una storia che non può non suscitare interesse. Spesso la cinematografia ha raccontato la storia di Cristo e dei suoi discepoli, sottolineando la deità di Cristo, la santità di questi uomini, dipingendoli come inarrivabili rispetto a noi che siamo deboli e fragili. Invece The Chosen racconta un Gesù che è vero Dio, ma è anche vero uomo, e descrive i discepoli come ragazzi pieni di dubbi, che stanno cercando di decidere cosa fare della loro vita. È interessante capire il contesto della Giudea di duemila anni fa, dove il popolo ebraico, che era sotto l’oppressione romana, aspettava un liberatore, il Messia; ma si aspettava un liberatore politico, e per questo gli zeloti stavano preparando una rivolta basata sulla forza. Invece arriva Gesù che inizia a dire “ama il tuo nemico, perdona, porgi l’altra guancia”. Tutto sembra, fuorché una rivoluzione. Eppure, dopo duemila anni, ancora ne parliamo».
«Ogni volta che ho visto al cinema la storia di Gesù», ha aggiunto Alaa Safi, «ne sono rimasto affascinato. Quello di Gesù è un messaggio universale, che risuona nel tempo, ma la particolarità di The Chosen è anche il fatto di essere una serie, e di permettere perciò allo spettatore di seguire i personaggi per molto più tempo, su un arco narrativo molto più lungo, e quindi di affezionarsi alle loro vicende. Questo aspetto è poi legato ad un linguaggio intenzionalmente accessibile e moderno, con uno spiccato senso dell’umorismo, che favorisce un’identificazione più forte e più facile. Questa identificazione è anche la ragione del suo successo mondiale, perché al di là della cultura di base o della religione nella quale siamo stati educati, parliamo di valori universali, umani, nei quali ci ritroviamo tutti».
Ed ha aggiunto: «La scelta poi di raccontare la storia dal punto di vista dei testimoni che hanno incontrato Gesù, basandosi sullo sguardo dei discepoli e delle altre persone che sono intorno a Lui, fa sì che gli spettatori possano identificarsi almeno in uno dei personaggi, e ritrovarsi nell’esperienza di almeno uno di loro. Lo leggiamo ogni giorno nei messaggi che ci arrivano: ognuno, con la sua storia personale, ha la possibilità di relazionarsi ad uno dei personaggi. E molto spesso le testimonianze che riceviamo ci dicono anche che gli spettatori si sono imbattuti nella serie in un momento di grande difficoltà nella loro vita. È come una risposta ad un bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi per uscire da un momento di difficoltà, dovuto per esempio alla perdita di una persona cara. Anche questo ci rende molto responsabili e desiderosi di far bene. È meraviglioso per un artista sapere che quello che fa è utile ad altre persone, che il suo lavoro stimola un’esperienza positiva, in un rapporto di comunione con il pubblico. Ci fa bene saperlo, e andiamo al lavoro sempre con grande allegria, senso di responsabilità e soddisfazione».
di Rosario Tronnolone