Costruire una società
L’invito a mettere da parte indifferenza e paura per camminare insieme
sul sentiero della fraternità
Famiglia, speranza e pace: sono le tre parole guida affidate dal Papa ai nuovi ambasciatori di Etiopia, Zambia, Tanzania, Burundi, Qatar e Mauritania, ricevuti stamani, 8 giugno, nella Sala Clementina, in occasione della presentazione delle lettere credenziali. Pubblichiamo il discorso del Pontefice.
Eccellenze!
Con piacere vi do il benvenuto in occasione della presentazione delle Lettere con cui venite accreditati come Ambasciatori Straordinari e Plenipotenziari presso la Santa Sede per i vostri Paesi: Etiopia, Zambia, Tanzania, Burundi, Qatar e Mauritania. Vorrei chiedervi di trasmettere cortesemente ai vostri rispettivi Capi di Stato i miei saluti e i miei sentimenti di stima, assieme all’assicurazione del mio ricordo nella preghiera per loro e per i vostri concittadini.
Nel momento in cui assumete i vostri incarichi, vorrei che riflettessimo brevemente su tre parole che possono esservi di guida nel vostro servizio: famiglia, speranza e pace.
Primo: famiglia. Le Nazioni che rappresentate hanno ciascuna la propria storia, cultura, tradizione e identità. Al tempo stesso, sono parte di un’unica famiglia umana. E in effetti, l’immagine di famiglia applicata alla Comunità internazionale è appropriata, perché le famiglie «costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro» (Lett. enc. Fratelli tutti, 114). Il nobile lavoro della diplomazia, ad ambedue i livelli, bilaterali e multilaterale, ha lo scopo di promuovere e far crescere tali valori, indispensabili all’autentico e integrale sviluppo di ogni persona, come al progresso dei popoli. In questa prospettiva, incoraggio i vostri sforzi e quelli dei vostri governi per coltivare il bene comune, proteggere i diritti fondamentali e la dignità di tutti e costruire una cultura di solidarietà fraterna e di cooperazione.
Purtroppo, il tessuto della famiglia delle nazioni è oggi lacerato dalla tragedia di conflitti civili, regionali e internazionali. Pensiamo soltanto a cosa sta succedendo in Sudan, Ucraina, Gaza e Haiti, per fare solo alcuni esempi. Contemporaneamente, assistiamo a molteplici crisi umanitarie conseguenti a tali conflitti, compresa la mancanza dell’accesso ad alloggio, cibo, acqua e cure mediche adeguati. E in più, dobbiamo anche porre attenzione ai problemi della migrazione forzata, al numero crescente di sfollati interni, al flagello del traffico di esseri umani, agli effetti dei mutamenti climatici, specialmente sui soggetti più poveri e vulnerabili, e agli squilibri economici globali che contribuiscono alla perdita della speranza, specialmente tra i giovani. Causa di grave preoccupazione è anche il declino della natalità, che si sperimenta in molti Paesi. Alla luce di tali sfide, è essenziale intraprendere un dialogo lungimirante, costruttivo e creativo, basato sull’onestà e sull’apertura, per trovare soluzioni condivise e rafforzare i legami che ci uniscono come fratelli e sorelle all’interno della famiglia mondiale. In proposito, dobbiamo anche ricordarci dei nostri obblighi nei confronti delle future generazioni, chiedendoci in che tipo di mondo vogliamo che vivano i nostri bambini e chi verrà dopo di loro.
La risposta a tale domanda implica la seconda parola: speranza. Essa è il messaggio centrale dell’imminente Anno Giubilare, che la Chiesa Cattolica celebrerà a partire dal prossimo 24 dicembre (cfr. Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, 9 maggio 2024). Di fronte all’incertezza per il futuro, è facile scoraggiarsi, diventare pessimisti e perfino cinici. Eppure la speranza ci porta a riconoscere il bene presente nel mondo, e ci dà la forza necessaria ad affrontare le sfide dei nostri giorni. Per questo motivo, mi piace pensare a voi, cari Ambasciatori, come a segni di speranza, perché siete donne e uomini che cercano di costruire ponti tra i popoli, e non muri. Le elevate responsabilità che esercitate ricordano che la ricerca di un terreno comune, la comprensione reciproca e le espressioni concrete di solidarietà sociale sono tutte cose possibili. In proposito, ho fiducia che la vostra missione contribuirà, oltre che a consolidare le buone relazioni tra le vostre Nazioni e la Santa Sede, anche alla costruzione di una società più giusta, più umana, in cui tutti siano accolti e in cui a tutti siano date le opportunità necessarie ad avanzare insieme sul sentiero della fraternità e della convivenza pacifica.
Infatti la pace — la terza parola che vi offro — è «frutto di relazioni che riconoscono e accolgono l’altro nella sua inalienabile dignità» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2024). Solo quando mettiamo da parte l’indifferenza e la paura può fiorire un genuino clima di rispetto reciproco, che porti a una durevole concordia. La vostra presenza qui è un segno eloquente della volontà delle Nazioni che rappresentate e della Comunità internazionale nel suo complesso di affrontare le situazioni di ingiustizia, discriminazione, povertà, disuguaglianza che affliggono il nostro mondo e che ostacolano le pacifiche aspirazioni delle generazioni presenti e future. È mio auspicio che nell’esercitare il vostro ruolo di diplomatici vi sforzerete sempre di essere costruttori di pace, quelli benedetti dall’Onnipotente (cfr. Mt 5, 9).
Cari Ambasciatori, mentre iniziate la vostra missione presso la Santa Sede, vi offro nella preghiera i miei migliori auguri, e vi assicuro la costante disponibilità della Segreteria di Stato e degli altri Dicasteri e Uffici della Curia Romana ad assistervi nell’adempimento dei vostri compiti. Su voi e sulle vostre famiglie, colleghi e concittadini, invoco di cuore l’abbondanza delle benedizioni di Dio. Grazie.