· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-127
06 giugno 2024

Domenica 2

Ricostruire con il pane
dell’amore
ciò che l’odio distrugge

«Prese il pane e recitò la benedizione». È il gesto con cui si apre il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nel Vangelo di Marco. Partire da questo gesto di Gesù — benedire il pane — per riflettere sulle tre dimensioni del Mistero che stiamo celebrando: ringraziamento, memoria e presenza.

Primo: il ringraziamento. La parola “Eucaristia” vuole proprio dire “grazie”: “ringraziare” Dio per i suoi doni, e in questo senso il segno del pane è importante.

È l’alimento di ogni giorno, con cui portiamo all’Altare tutto ciò che siamo e che abbiamo: vita, opere, successi, e anche fallimenti, come simboleggia la bella usanza di alcune culture di raccogliere e baciare il pane quando cade a terra: per ricordarsi che è troppo prezioso per essere buttato, anche dopo che è caduto.

L’Eucaristia insegna a benedire, ad accogliere e baciare i doni di Dio, e non solo nella celebrazione: anche nella vita.

Ad esempio non sprecando le cose e i talenti che il Signore ci ha dato. Ma anche perdonando e risollevando chi sbaglia e cade per debolezza o per errore.

Perché tutto è dono e nulla può andare perduto; nessuno può rimanere a terra e tutti devono avere la possibilità di rialzarsi e riprendere il cammino.

Possiamo fare questo anche nella vita quotidiana, svolgendo il nostro lavoro con amore, precisione, cura, come un dono e una missione. Sempre aiutare chi è caduto: una volta soltanto nella vita si può guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a risollevarsi.

Per rendere grazie potremmo aggiungere altre cose. Sono atteggiamenti “eucaristici” importanti: insegnano a cogliere il valore di ciò che facciamo e offriamo.

Secondo: “benedire il pane” vuol dire fare memoria. Di cosa? Per l’antico Israele si trattava di ricordare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e l’esodo verso la terra promessa.

Per noi è rivivere la Pasqua di Cristo, la sua Passione e Risurrezione, con cui ci ha liberato dal peccato e dalla morte.

Fare memoria della nostra vita, dei nostri successi, dei nostri sbagli, di quella mano tesa del Signore che sempre ci aiuta a sollevarci, della [sua] presenza nella nostra vita.

C’è chi dice che è libero chi pensa solo a sé stesso, chi si gode la vita e chi, con menefreghismo e prepotenza, fa quel che vuole a dispetto degli altri.

Questa non è libertà: è una schiavitù nascosta, che rende più schiavi ancora.

La libertà non si incontra nelle casseforti di chi accumula, né sui divani di chi pigramente si adagia nel disimpegno e nell’individualismo: la libertà si incontra nel cenacolo dove, senza alcun altro motivo che l’amore, ci si china davanti ai fratelli per offrire il proprio servizio, la propria vita.

Infine, il pane Eucaristico è presenza reale. E con questo ci parla di un Dio che non è lontano, non è geloso, ma vicino e solidale con l’uomo; non ci abbandona, ma ci cerca, ci aspetta e ci accompagna, sempre, al punto da mettersi, indifeso, nelle nostre mani.

Questa sua presenza invita anche noi a farci prossimi ai fratelli là dove l’amore ci chiama.

Quanto bisogno c’è nel mondo di questo pane, della sua fragranza e del suo profumo, che sa di gratitudine, libertà, prossimità!

Vediamo ogni giorno troppe strade, forse una volta odorose di pane sfornato, ridursi a cumuli di macerie a causa della guerra, dell’egoismo e dell’indifferenza!

È urgente riportare nel mondo l’aroma buono e fresco del pane dell’amore, per continuare a sperare e ricostruire senza mai stancarsi quello che l’odio distrugge.

È questo anche il significato della Processione Eucaristica: partendo dall’Altare, porteremo tra le case della città il Signore.

Non per metterci in mostra e ostentare la nostra fede, ma per invitare tutti a partecipare, nel Pane dell’Eucaristia, alla vita nuova che Gesù ci ha donato.

(Omelia nella messa del Corpus Domini celebrata al Laterano, seguita dalla processione eucaristica verso Santa Maria Maggiore)

Lunedì 3

Diminuisca
l’iniquità
in campo
economico
e finanziario

Ho letto con interesse i risultati del lavoro svolto in due anni, per avviare un dialogo tra finanza, umanesimo e religione: non è facile. Avete scelto di iniziare questi “Dialoghi” con esponenti del sistema finanziario italiano.

Un’economista mi ha detto una volta: dialogo fra economia e filosofia, religione e umanesimo è possibile. Dialogo fra finanza, teologia e umanesimo, invece, molto difficile. È curioso questo!

[Il] sistema, questo finanziario italiano ha alle spalle una storia antica, nella quale, ad esempio, i “Monti di Pietà” furono un grande sprone ad aiutare i più poveri senza cadere in logiche assistenzialistiche, e favorirono prestiti per permettere alle persone di poter lavorare e ritrovare la dignità.

Mi ha colpito l’obiettivo che vi siete dati: ragionare insieme agli alti vertici della finanza sulla possibilità che l’impegno di fare-bene e quello di fare-il-bene possano andare di pari passo.

Compito nobile coniugare l’efficacia e l’efficienza con la sostenibilità, l’inclusione e l’etica. Il vostro convincimento è che il magistero sociale della Chiesa possa rappresentare una bussola.

Perché questo accada è necessario non fermarsi al momento esortativo, ma essere capaci di guardare al funzionamento della finanza, per denunciare i punti deboli e immaginare correttivi concreti.

Un esempio. Nel siglo de oro — il xvi secolo — in Spagna il commercio della lana era fiorente e muoveva grandi capitali.

I teologi spagnoli si misero a dissertare su quel commercio e diedero valutazioni etiche che mutarono con il cambiamento del contesto.

La guerra nelle Fiandre fece sì che quanti lavoravano nell’allevamento e nella tosatura non ricevessero più un pagamento adeguato al lavoro, allora costoro denunciarono quel sistema finanziario mostrandone i punti deboli e chiedendo maggiore equità.

I teologi spagnoli poterono intervenire perché conoscevano quel processo di lavoro e quindi non si limitarono a dire: “bisogna cercare il bene comune”, ma spiegarono cosa non andava e chiesero precise azioni di cambiamento per il bene comune.

A voi spetta capire come far sì che l’iniquità diminuisca. Ho sentito un critico politico che diceva: “In questo Paese si governa dalle tasche”: è brutto!

Avete lavorato su tre piani: pensiero, concretezza e valorizzazione del bene.

È necessario non perdere di vista la concretezza, perché in gioco vi è la sorte dei più poveri, delle persone che faticano a trovare i mezzi per una vita dignitosa.

Il lavoro fatto a Milano è incoraggiante e potrebbe essere buona cosa estenderlo anche ad altri centri finanziari, promuovendo un Dialogo che genera un cambio di paradigma. Infatti il paradigma tecnocratico resta dominante; c’è bisogno di una nuova cultura, capace di dare spazio a un’etica adeguatamente solida, a una cultura e a una spiritualità.

(Ai partecipanti ai “Dialoghi per una finanza integralmente sostenibile”, promossi
dalla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice)

Per una
spiritualità
dell’unità e
del dialogo
tra le religioni

Saluto la Presidente del Movimento dei Focolari, alla quale vorrei dire: prego tanto per la tua Patria, che soffre in questo momento; e saluto voi che partecipate a questo Convegno interreligioso.

Ringrazio per la perseveranza con cui l’Opera di Maria porta avanti il cammino iniziato da Chiara Lubich con persone di religioni non cristiane che condividono la spiritualità dell’unità.

È stato un cammino rivoluzionario, che fa tanto bene alla Chiesa. È un’esperienza animata dallo Spirito Santo, radicata nel cuore di Cristo, nella sua sete di amore, di comunione, di fraternità.

Lo Spirito apre sentieri di dialogo e incontro a volte sorprendenti. Come avvenne più di cinquant’anni fa in Algeria, dove nacque una comunità interamente musulmana aderente al Movimento.

Così è stato anche per gli incontri di Chiara con i leader di varie religioni: buddhisti, musulmani, indù, ebrei, sikh. Un dialogo che si è sviluppato fino ad ora.

Il fondamento su cui poggia questa esperienza è l’Amore di Dio che si attua nell’amore reciproco, nell’ascolto, nella fiducia, nell’accoglienza e nella conoscenza gli uni degli altri, nel pieno rispetto delle rispettive identità.

Con il tempo è cresciuta la collaborazione nel cercare di rispondere insieme al grido dei poveri, nel prendersi cura del creato, nel lavorare per la pace.

Attraverso questo cammino alcuni non cristiani hanno condiviso la spiritualità dell’Opera o alcuni suoi tratti caratteristici e li vivono in mezzo alla loro gente.

Con queste persone si va oltre il dialogo, si condivide il sogno di un mondo più unito, nell’armonia delle diversità.

La vostra testimonianza è motivo di gioia, di consolazione, specie in questo tempo di conflitti, nei quali la religione viene strumentalizzata per alimentare lo scontro.

(Al convegno interreligioso
del Movimento dei focolari)

Martedì 5

Non si può
e non si deve cedere
alla logica
delle armi

Sono spiritualmente unito all’intera Comunità diocesana, che celebra per la prima volta la memoria liturgica di Santa Maria Salus Populi Romani, ricordando altresì il Voto con cui il popolo di Roma, insieme al suo Pastore, Pio xii , fece alla Madonna il 4 giugno 1944 per implorare la salvezza della città, quando stava per consumarsi lo scontro frontale tra l’esercito tedesco e gli alleati anglo-americani.

La devozione all’antica icona custodita nella basilica di Santa Maria Maggiore è da secoli viva nel cuore dei romani, che ad essa si rivolsero per presentare suppliche e invocazioni, specialmente durante le pestilenze, le calamità naturali, le guerre.

Davanti a questa immagine hanno trovato eco le vicende salienti della vita religiosa e civile di Roma.

Non sorprende quindi che il popolo volle affidarsi ancora una volta a Maria Salus Populi Romani mentre l’Urbe viveva l’incubo della devastazione nazista.

A ottant’anni di distanza, il ricordo di quell’evento così carico di significato vuole essere occasione di preghiera per quanti hanno perso la vita nel secondo conflitto mondiale e di rinnovata meditazione intorno al tremendo flagello della guerra.

Troppi conflitti in diverse parti del mondo sono ancora oggi aperti. Penso in particolare, alla martoriata Ucraina, alla Palestina e Israele, al Sudan, al Myanmar, dove ancora rumoreggiano le armi e altro sangue umano continua ad essere versato.

Sono drammi che toccano vittime innocenti, le cui grida di terrore e sofferenza chiamano in causa le coscienze: non si può e non si deve cedere alla logica delle armi!

A vent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, nel 1965, Paolo vi , parlando all’Onu, si chiedeva: «Arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica e bellicosa che finora ha intessuto tanta parte della sua storia?» (4 ottobre).

Questa domanda, che attende ancora una risposta, stimola a operare in favore della pace in Europa e nel mondo.

La pace è un dono di Dio, che deve trovare cuori disponibili ad accoglierlo e ad operare per essere artefici di riconciliazione e testimoni di speranza.

Auspico che le iniziative promosse per commemorare il Voto popolare alla Madre di Dio, nei quattro luoghi che furono protagonisti di quell’avvenimento, possano ravvivare nei romani il proposito di essere dappertutto costruttori della pace vera, rilanciando la fraternità come condizione essenziale per ricomporre conflitti e ostilità.

Può essere costruttore di pace chi la possiede in se stesso e, con coraggio e mitezza, si impegna a creare legami, a stabilire rapporti fra le persone, ad appianare le tensioni in famiglia, al lavoro, a scuola, tra gli amici.

Maria, sempre vigile e premurosa verso tutti i suoi figli, ottenga per l’umanità intera il dono della concordia e della pace.

Affido tutti gli abitanti di Roma, specialmente gli anziani, i malati, le persone sole e in difficoltà, alla materna intercessione di Maria Salus Populi Romani.

Lei, la Vergine della tenerezza e della consolazione, rafforzi la fede, la speranza e la carità per irradiare nel mondo l’amore e la misericordia di Dio.

(Lettera nell’80° anniversario del voto a Maria Salus populi romani)

Mercoledì 6

Cancellare
il debito
dei Paesi
poveri

Saluto il cardinale Turkson, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, e tutti voi che partecipate all’incontro “Debt Crisis in the Global South”, che si propone di avviare un dialogo sull’attuazione di politiche che aiutino a risolvere il problema del debito che affligge molti Paesi del sud globale, che affligge milioni di famiglie e di persone nel mondo.

Ai popoli non serve un finanziamento qualsiasi, ma quello che implica una responsabilità condivisa tra chi lo riceve e chi lo concede.

Il beneficio che questo può apportare a una società dipende dalle sue condizioni, da come viene usato e dagli ambiti in cui si risolvono le crisi dei debiti che possono prodursi.

Dopo una globalizzazione mal gestita, dopo la pandemia e le guerre, ci troviamo di fronte a una crisi del debito che colpisce soprattutto i Paesi del sud del mondo, generando miseria e angoscia, e privando milioni di persone della possibilità di un futuro dignitoso.

Di conseguenza, nessun governo può esigere moralmente dal suo popolo che subisca privazioni incompatibili con la dignità umana.

Per cercare di rompere il circolo finanziamento-debito sarebbe necessaria la creazione di un meccanismo multinazionale, basato sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli, che tenga conto del significato globale del problema e delle sue implicazioni economiche, finanziarie e sociali.

L’assenza di tale meccanismo favorisce il “si salvi chi può”, dove a perdere sono sempre i più deboli.

In sintonia con il magistero dei miei predecessori, vorrei ribadire che sono i principi di giustizia e di solidarietà a far trovare piste di soluzioni.

Su questa via è indispensabile operare in buona fede e con verità, seguendo un codice di condotta internazionale, con norme di valore etico, che tuteli i negoziati.

Pensiamo a una nuova architettura finanziaria internazionale audace e creativa.

Giovanni Paolo ii osservava che il tema del debito estero «non è solamente di carattere economico, ma investe i principi etici fondamentali e deve trovare spazio nel diritto internazionale» e riconosceva che il Giubileo del 2000 potesse «costituire un’occasione propizia per gesti di buona volontà [...], [per] condonare i debiti o almeno ridurli [...] in funzione del bene comune» (Udienza generale, 3 novembre 1999).

E questa era una tradizione del popolo ebreo, nell’anno giubilare si condonavano i debiti.

Vorrei farmi eco di questo appello profetico, oggi più urgente che mai, tenendo presente che il debito ecologico e il debito estero sono due facce di una stessa medaglia che ipoteca il futuro.

Per questo, l’Anno Santo del 2025 verso cui ci stiamo incamminando ci chiama ad aprire la mente e il cuore per essere capaci di sciogliere i nodi di quei cappi che strangolano il presente, senza dimenticare che siamo solo custodi e amministratori, non padroni.

Vi invito a sognare e ad agire insieme nella costruzione responsabile della nostra casa comune; nessuno può abitarla con la coscienza tranquilla quando sa che attorno a sé c’è una moltitudine di fratelli e sorelle affamati e anche immersi nell’esclusione sociale e nella vulnerabilità.

Permettere che ciò accada è peccato, peccato umano, anche se uno non ha fede, è peccato sociale. Quello che state facendo è importante.

(Ai partecipanti all’Incontro “Debt Crisis
in the Global South”)