Fuga dall’isola
Alle spalle lasciano secoli di storia e frammenti di cultura e tradizioni, oltre a una terra: quella dell’isola di Gardi Sugdub, nell’arcipelago di San Blas, al largo delle acque caraibiche di Panamá. Di fronte hanno un futuro nel nuovo insediamento di Isberyala, sulla costa meridionale del Paese centroamericano. Sono le 300 famiglie della comunità indigena Guna Yala, per le quali da ieri è cominciato il trasferimento sulla terraferma di Panamá. Il loro è un altro volto della migrazione: non ci sono guerre a costringere queste persone ad abbandonare case e averi di una vita ma gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, il mare che avanza inesorabilmente e che, con l’innalzamento del proprio livello, rischia di sommergere l’arcipelago. Il pericolo infatti è che le 378 isole, di cui solo 49 abitate, possano essere inghiottite dall’Atlantico: le stime del governo panamense non escludono che ciò possa avvenire entro il 2050.
In una conferenza stampa prima dell’addio definitivo a Gardi Sugdub, il capo della comunità indigena, José Deivis, ha voluto parlare comunque di «un giorno di festa», di un nuovo inizio, ringraziando le autorità per l’opportunità di stabilirsi altrove. Il resto dei circa cinquantamila indigeni Guna, che fino ad oggi erano riusciti a proteggere le loro terre dall’arrivo delle multinazionali del turismo, si prepara alla ricollocazione. Porta con sé quello che Papa Francesco, nella prefazione agli Orientamenti pastorali sugli sfollati climatici del 2021, ha ricordato essere un «desiderio di ricominciare» nella prospettiva di un «futuro» più sicuro per i propri figli.