· Città del Vaticano ·

Messaggio per la 110ª Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata il 29 settembre

Dio cammina
con il suo popolo

epa11380464 Migrants camp around the border wall of Ciudad Juarez, Chihuahua, Mexico, 29 May 2024 ...
03 giugno 2024

«Dio cammina con il suo popolo» è il tema del messaggio di Papa Francesco per la 110ª Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata il prossimo 29 settembre. Pubblichiamo di seguito il testo del documento, presentato stamane, lunedì 3 giugno, nella Sala stampa della Santa Sede.

Cari fratelli e sorelle!

Il 29 ottobre 2023 si è conclusa la prima Sessione della xvi Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ci ha permesso di approfondire la sinodalità intesa come vocazione originaria della Chiesa. «La sinodalità si presenta principalmente come cammino congiunto del Popolo di Dio e come dialogo fecondo di carismi e ministeri a servizio dell’avvento del Regno» (Relazione di Sintesi, Introduzione).

L’accento posto sulla sua dimensione sinodale permette alla Chiesa di riscoprire la propria natura itinerante, di popolo di Dio in cammino nella storia, peregrinante, diremmo “migrante” verso il Regno dei cieli (cfr. Lumen gentium, 49). Viene spontaneo il riferimento alla narrazione biblica dell’Esodo, che presenta il popolo d’Israele in cammino verso la terra promessa: un lungo viaggio dalla schiavitù alla libertà che prefigura quello della Chiesa verso l’incontro finale con il Signore.

Allo stesso modo, è possibile vedere nei migranti del nostro tempo, come in quelli di ogni epoca, un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la patria eterna. I loro viaggi di speranza ci ricordano che «la nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo» (Fil 3, 20).

Le due immagini — quella dell’esodo biblico e quella dei migranti — presentano diverse analogie. Come il popolo d’Israele al tempo di Mosè, i migranti spesso fuggono da situazioni di oppressione e sopruso, di insicurezza e discriminazione, di mancanza di prospettive di sviluppo. Come gli ebrei nel deserto, i migranti trovano molti ostacoli nel loro cammino: sono provati dalla sete e dalla fame; sono sfiniti dalle fatiche e dalle malattie; sono tentati dalla disperazione.

Ma la realtà fondamentale dell’esodo, di ogni esodo, è che Dio precede e accompagna il cammino del suo popolo e di tutti i suoi figli di ogni tempo e luogo. La presenza di Dio in mezzo al popolo è una certezza della storia della salvezza: «Il Signore, tuo Dio, cammina con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà» (Dt 31, 6). Per il popolo uscito dall’Egitto tale presenza si manifesta in forme diverse: una colonna di nube e di fuoco indica e illumina la via (cfr. Es 13, 21); la tenda del convegno, che custodisce l’arca dell’alleanza, rende tangibile la vicinanza di Dio (cfr. Es 33, 7); l’asta con il serpente di bronzo assicura la protezione divina (cfr. Nm 21, 8-9); la manna e l’acqua (cfr. Es 16-17) sono i doni di Dio al popolo affamato e assetato. La tenda è una forma di presenza particolarmente cara al Signore. Durante il regno di Davide, Dio rifiuta di essere rinchiuso in un tempio per continuare ad abitare in una tenda e così poter camminare con il suo popolo, «da una tenda all’altra e da una dimora all’altra» (1 Cr 17, 5).

Molti migranti fanno esperienza del Dio compagno di viaggio, guida e ancora di salvezza. A Lui si affidano prima di partire e a Lui ricorrono nelle situazioni di bisogno. In Lui cercano consolazione nei momenti di sconforto. Grazie a Lui, ci sono buoni samaritani lungo la via. A Lui, nella preghiera, confidano le loro speranze. Quante bibbie, vangeli, libri di preghiere e rosari accompagnano i migranti nei loro viaggi attraverso i deserti, i fiumi e i mari e i confini di ogni continente!

Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino attraverso la storia — in particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati —, come prolungando il mistero dell’Incarnazione.

Per questo, l’incontro con il migrante, come con ogni fratello e sorella che è nel bisogno, «è anche incontro con Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito» (Omelia nella Messa con i partecipanti all’Incontro “Liberi dalla paura”, Sacrofano, 15 febbraio 2019). Il giudizio finale narrato da Matteo al capitolo 25 del suo Vangelo non lascia dubbi: «ero straniero e mi avete accolto» (v. 35); e ancora «in verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (v. 40). Allora ogni incontro, lungo il cammino, rappresenta un’occasione per incontrare il Signore; ed è un’occasione carica di salvezza, perché nella sorella o nel fratello bisognoso del nostro aiuto è presente Gesù. In questo senso, i poveri ci salvano, perché ci permettono di incontrare il volto del Signore (cfr. Messaggio per la iii Giornata Mondiale dei Poveri, 17 novembre 2019).

Cari fratelli e sorelle, in questa Giornata dedicata ai migranti e ai rifugiati, uniamoci in preghiera per tutti coloro che hanno dovuto abbandonare la loro terra in cerca di condizioni di vita degne. Sentiamoci in cammino insieme a loro, facciamo “sinodo” insieme, e affidiamoli tutti, come pure la prossima Assemblea sinodale, «all’intercessione della Beata Vergine Maria, segno di sicura speranza e di consolazione nel cammino del Popolo fedele di Dio» (Relazione di Sintesi, Per proseguire il cammino).

Preghiera

Dio, Padre onnipotente,
noi siamo la tua Chiesa pellegrina
in cammino verso il Regno dei Cieli.
Abitiamo ognuno nella sua patria,
ma come fossimo stranieri.
Ogni regione straniera è la nostra patria,
eppure ogni patria per noi è terra straniera.
Viviamo sulla terra,
ma abbiamo la nostra cittadinanza in cielo.
Non permettere che diventiamo padroni
di quella porzione del mondo
che ci hai donato come dimora temporanea.
Aiutaci a non smettere mai di camminare,
assieme ai nostri fratelli e sorelle migranti,
verso la dimora eterna che tu ci hai preparato.
Apri i nostri occhi e il nostro cuore
affinché ogni incontro con chi è nel bisogno,
diventi un incontro con Gesù, tuo Figlio e nostro Signore.
Amen.

Roma, San Giovanni in Laterano, 24 maggio 2024,
Memoria della B. V. Maria Ausiliatrice

FRANCESCO


Il cardinale Czerny nella conferenza stampa di presentazione 

«Se vivessimo le pressioni di chi è costretto a migrare
 anche noi fuggiremmo»


La migrazione non è un problema. Soffriamo del divario fra i valori migratori su cui è stata fondata l’Europa e i valori contenuti nel discorso politico attuale: questo è il problema. Così il cardinale gesuita Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, in una delle risposte date ai giornalisti in occasione della presentazione stamane, nella Sala stampa della Santa Sede, del messaggio di Papa Francesco per la 110ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 29 settembre sul tema “Dio cammina con il Suo popolo”. 

Un migrante forzato non fugge per piacere, questo è falso. Così si è espresso il cardinale Czerny  nel dialogo con i cronisti. Sollecitato a guardare al voto europeo, ha invitato a non ridurre il tema all’astrattezza. Per esempio, ha detto, non dire “migrazione”, dire “migranti”: «Questo già aiuta. Dire che la migrazione è una crisi globale è falso». E ha esortato inoltre a riconoscere il migrante come fratello e sorella. Con un po’ di fraternità sarebbe tutto diverso, ha precisato. «Sarebbe utile ricordare le radici migratorie europee. È un peccato che dopo un paio di generazioni le abbiamo dimenticate. Oggi, piuttosto che respingere e reprimere chi è in cammino, dovremmo porre attenzione ai fattori di spinta e di richiamo che sono alla base della migrazione forzata. Anche noi, se vivessimo simili pressioni, fuggiremmo». Dal cardinale l’esortazione  a rileggere il Libro biblico dell’Esodo: per il popolo di Israele, sia la spinta (lavoro forzato, schiavitù, repressione) sia il richiamo della Terra Promessa, ha affermato Czerny, erano fattori irresistibili. «Nulla avrebbe potuto dissuaderli dal pianificare quel viaggio pericoloso». Il porporato gesuita ha fatto notare, per esempio, che sull’orlo della disperazione, tanti migranti portano con loro la Bibbia e altri oggetti religiosi perché pongono la  fiducia nell’unica reale àncora di salvezza. E allora ha invitato all’accoglienza perché, ha spiegato citando il Papa, gli incontri con i migranti sono momenti di rivelazione divina. La stessa Chiesa, ha precisato ancora Czerny, «è ora in cammino sinodale, una sorta di migrazione». 

Nel corso della conferenza stampa la voce di Blessing Okoedion, presidente di Weavers of Hope, “Tessitrici di speranza”, è risuonata con potenza. La sua è stata una testimonianza di riscatto dalla tratta. È riuscita a fondare questa associazione con altre donne africane che hanno avuto la sua simile sventura, aiutando dal 2018  circa 150 ragazze e donne ad uscirne e ad iniziare un percorso di re-inserimento sociale e lavorativo. Proprio in Nigeria, il suo Paese, l’associazione lavora sensibilizzando e offrendo empowerment in particolare nelle zone rurali. Lei viene dallo stato di Edo, oggi considerato il centro della tratta di esseri umani in Nigeria, dove in migliaia vengono reclutate e obbligate a una vita fatta di abuso, debito, umiliazione, violenze e soprattutto, di omertà. Blessing è stata fatta venire in Europa nel 2013, sotto scacco per un presunto “debito” di 65 mila euro. «Per gli sfruttatori sei una merce in vendita su cui speculare e guadagnare — ha lamentato — e per i compratori di sesso sei una merce in vendita da comprare e usare per il loro piacere». La donna ha fatto anche notare che «il fenomeno è ampiamente frainteso». Dopo essere fuggita, l’incontro con suor Rita Giaretta a Casa Rut a Caserta (la religiosa è attualmente responsabile di Casa Magnificat a Roma) le ha cambiato la vita. La sua rinascita è raccontata nel suo libro “Il coraggio della Libertà”. Blessing è diventata mediatrice culturale e interprete, laureandosi all’Orientale di Napoli. Con il tempo si è fatta spazio nella sua vita anche l’opportunità di ritrovare quei valori cristiani che la famiglia di origine le aveva trasmesso e che erano stati inquinati «da una donna che si diceva cristiana e che frequentava una delle tante chiese che proliferano in Nigeria». Blessing ha sottolineato l’importanza del supporto psicologico e della relazione interpersonale per le vittime costrette a subire a lungo i traumi della tratta. «C’è ancora molto da fare» affinché le ex vittime possano realmente condurre «una vita in autonomia senza rischi». 

Anche suor Patricia Murray, dell’Istituto della Beata Vergine Maria, segretaria esecutiva dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg), ha ricordato gli ostacoli geografici e i muri dei rifiuti che si frappongono nei viaggi delle persone costrette a migrare per guerre e povertà. «Meritano il nostro rispetto, la nostra accettazione e il nostro riconoscimento. Ma questo — ha precisato la religiosa — accadrà solo quando ci avvicineremo e le incontreremo». 

È di grande incoraggiamento il messaggio del Papa, ha commentato Emanuele Selleri, direttore esecutivo dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (Ascs), organizzazione di volontariato nata vent’anni fa come braccio sociale, operativo e culturale della Regione Europa-Africa dei Missionari di San Carlo – Scalabriniani. Impegnata alle frontiere europee di Ventimiglia, Oulx, Calais e Ceuta o alle “frontiere interne italiane”, come la zona del Gran Ghetto di Rignano nelle campagne tra Foggia e San Severo, e finendo con progetti di sviluppo in Guatemala, Bolivia e Brasile, l’Ascs opera nell’accoglienza integrale, nell’animazione interculturale soprattutto con i giovani e nella cooperazione allo sviluppo. 

Selleri ha richiamato quanto ripeteva san Giovanni Battista Scalabrini: «l’emigrazione è legge di natura» e ha chiosato: «La questione migratoria non può essere gestita nella società e nella Chiesa lavorando solo con i migranti, ma includendo anche le comunità autoctone in un lavoro costante e incessante di creazione di spazi e tempi per l’incontro tra le persone». Un incontro, ha concluso, «che genera conoscenza, convivialità, amicizia e armonia». (antonella palermo)