Il debito di Borges
Kafka e Borges, cronaca di una passione annunciata. Il cantore di Buenos Aires della vita come labirinto era destinato a incrociare il cammino del narratore praghese: i due hanno come pochi altri artisti del Novecento, forse Fellini o Bergman o Dalì, creato un loro mondo, con una cifra perfettamente riconoscibile, un universo ben compaginato e con un’anima propria, un mondo appunto “borgesiano” o “kafkiano”, indicato con il nome che diventa aggettivo ed assume un preciso significato ed il potere di evocare un’atmosfera caratteristica.
Più volte Borges, nei saggi come negli articoli e soprattutto nelle sue conversazioni, ha riconosciuto il debito e l'influenza ricevuta da Kafka, apprezzandone soprattutto la semplicità della scrittura: «Il mio primo ricordo di Kafka è del 1916, quando decisi di imparare il tedesco (...). Mi colpì di Kafka che scriveva in maniera semplice, tanto che anche io potevo capirlo. (...) Dopo, ebbi la possibilità di leggere Il Processo e, a partire da questo momento, l’ho letto continuamente. (...) Kafka, invece, ha i testi, soprattutto nei racconti, in cui si stabilisce qualcosa di eterno. Possiamo leggere Kafka e pensare che le sue favole sono tanto antiche quando la storia, che questi sogni furono sognati da uomini di un’altra epoca senza necessità di vincolarli alla Germania o all’Arabia. (...) Credo che i racconti siano superiori ai suoi romanzi. (...) Scrissi dei racconti in cui provai ambiziosamente e inutilmente a essere Kafka. Questi racconti erano interessanti ma mi resi conto che non avevo realizzato il mio proposito e che dovevo cercare un altro cammino. Kafka fu tranquillo, quasi un po’ segreto, io scelsi di essere scandaloso. (...) Kafka è stato uno dei grandi autori di tutta la letteratura. Per me è il primo di questo secolo. Ero presente agli atti della conferenza sul centenario di Joyce e quando qualcuno lo paragonò a Kafka, dissi che si trattava di una blasfemia. È che Joyce è importante nella letteratura inglese e nelle sue infinite possibilità, ma è intraducibile. Invece Kafka scriveva in un tedesco molto semplice e delicato. A lui importava l’opera non la fama, questo è evidente».
Parole che testimoniano la passione viscerale dell'argentino verso il praghese, a dimostrazione che in quel 1916, quando il primo cominciò a leggere il secondo, sarà avvenuto quello che Kafka auspicava rispetto alla lettura di un libro: «Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martelli sul cranio, perché allora lo leggiamo? Ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi. Un libro deve essere una piccozza per rompere il ghiaccio che è dentro di noi».
di Andrea Monda