· Città del Vaticano ·

Ricostruire la fiducia

 Ricostruire la fiducia  ODS-022
01 giugno 2024

«Give Peace a chance!» (Date una possibilità alla pace!). Così cantava John Lennon sul finire degli anni ’60. D’allora, di acqua sotto i ponti — dove spesso bivaccano tanti poveri — ne è passata molta. Eppure, non sembra che siano stati fatti tanti passi avanti. Anzi. «Mala tempora currunt!», ora più che mai.

Lennon stesso si accomiatò da questo mondo in conseguenza di un gesto che proprio pacifico non fu. E se il suo amico e collega George Harrison pregava due volte — come insegna sant’Agostino — cantando «Give me Light, Give me Truth, Give me Peace on earth» (Dammi luce, dammi verità, dammi pace in terra), attualmente, di luce ne abbiamo ben poca, di verità anche troppe (tante quanti i contendenti che si combattono in varie parti del mondo) e, quanto alla pace, là dove ancora resiste, non sappiamo se e fino a quando potrà durare.

Certo, l’epoca in cui i Beatles — da poco ex — ci regalavano questi versi era detta “Era dell’Acquario”, durante la quale armonia e comprensione (harmony and understanding) si sarebbero affermate ed avrebbero regnato sovrane con la pace che avrebbe guidato i pianeti e l’amore che avrebbe mosso le stelle («Then Peace will guide the planets and Love will stir the stars»).

Quanti sogni evaporano al mattino. Chissà, forse l’Acquario aveva la guarnizione del tappo consumata ed ha perso acqua. Tant’è che ora, se non è a secco, risulta piuttosto all’asciutto.

Eppure la pace è una condizione a cui tutti anelano, ricchi e poveri. Non c’è sviluppo senza di essa, non c’è giustizia, non c’è libertà e tantomeno democrazia. Ciononostante la hybris descritta dagli antichi greci non sembra essersi esaurita e gran parte degli uomini continuano a scegliere la via della sopraffazione dell’altro per affermare il proprio potere e la propria supremazia.

È una spirale perversa nella quale stanno precipitando tante nazioni e che — nonostante le giustificazioni accampate da chi le governa — non provoca altro che morte, dolore e miseria. Quante risorse consumate in cannoni e munizioni piuttosto che per la salute, l’istruzione e il benessere dei cittadini?

Ahimè, la storia non sembra aver insegnato molto. Anche quella recente: basti pensare alla Gran Bretagna uscita vittoriosa, ma stremata dalla seconda guerra mondiale. E se volessimo cercare esempi più recenti o contemporanei non c’è che l’imbarazzo della scelta.

È sconcertante constatare come le stesse dinamiche non risparmino nessuno. E se tanti individui ricchi sono disposti a tutto per mantenere o possibilmente aumentare i loro privilegi, fra i poveri troppo spesso si assiste alla guerra, appunto, fra poveri. L’unica differenza, più d’apparenza che di sostanza, è che a scatenare rivalità, competizione, ecc... è una lotta per la pura sopravvivenza.

È con amarezza che si assiste a ben scarsa solidarietà in situazioni in cui ci si aspetterebbe che persone sulla stessa barca, accomunate dalla medesima condizione di disagio, unissero i propri sforzi in uno scopo comune. Invece non si stringono a coorte e sembra prevalere la convinzione che chi fa da sé fa per tre. Così, ognun per sé, ma manca l’ognun per tutti.

Naturalmente, e per fortuna, ci sono anche tanti che rifuggono tale atteggiamento. Intanto non si può prescindere dalla storia personale di ciascuno e quindi dai motivi e meccanismi che l’hanno condotto in povertà. Né è senza importanza l’indole individuale: la mancanza o carenza di autostima facilmente conduce alla diffidenza verso il prossimo.

Ed è questo uno dei grandi temi su cui deve impegnarsi il mondo della carità, in uno sforzo che porti alla ri-costruzione del sentimento di fiducia.

È bello e fa ben sperare vedere quante persone, risollevatesi dalla povertà, a loro volta trovano una nuova ragion d’essere nel dedicarsi a chi ancora è bisognoso, memori del bene e dell’aiuto ricevuti.

Forse gioca un ruolo la gratitudine, la riconoscenza che spinge a volersi sdebitare.

Questa è la luce che può evitarci di vedere quello che i giapponesi — ahiloro, ne sanno qualcosa — chiamano pikadon: il lampo abbacinante dell’esplosione atomica. (Fabrizio Salvati)

di Fabrizio Salvati