· Città del Vaticano ·

Parole e gesti di Papa Francesco

Per dire no alla guerra bisogna dire no alle armi

Pope Francis holds a flag with Father Alex Zanotelli, in Verona, Italy, May 18, 2024. ...
01 giugno 2024

«Cosa rimane di una guerra?». Sono passati quasi 10 anni da quando Papa Francesco si poneva e poneva al mondo questo interrogativo. Era il 19 novembre 2015 — vigilia di un Anno Santo straordinario — e, durante una Messa mattutina a Casa Santa Marta, il Pontefice usava delle parole durissime verso i trafficanti di armi: «Questi che operano la guerra, che fanno le guerre, sono maledetti». Colpisce, rileggendola oggi, anche la conclusione di quella omelia: «Proprio alla porta del Giubileo della misericordia — affermava il Papa — che il nostro giubilo, la nostra gioia sia la grazia che il mondo ritrovi la capacità di piangere per i suoi crimini, per quello che fa con le guerre». Un decennio dopo, alle porte di un altro Giubileo — quello del 2025 — Francesco torna a levare un accorato appello (sempre in forma di domanda) perché prevalgano le ragioni della pace e non la follia della guerra. «È troppo sognare — si legge nella Bolla di indizione dell’Anno Santo, Spes non confundit — che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?». In mezzo a queste due affermazioni, ispirate dallo stesso instancabile impegno per la causa della pace, ci sono innumerevoli appelli rivolti direttamente a chi fabbrica e traffica strumenti di morte e a chi quegli strumenti compra in nome di una sicurezza che è invece paradossalmente sempre più lontana.

Nell’era della «Guerra Mondiale a pezzi», con i conflitti in Ucraina e Medio Oriente a inquietare l’umanità intera, il Papa ammonisce che in tale situazione bellica tutti perdono tranne un gruppo, «che guadagna tanto: i fabbricanti di armi. Questi guadagnano bene, sopra la morte degli altri». Ed ecco che nell’Enciclica Fratelli Tutti e ora anche nella Bolla giubilare, Francesco propone un’iniziativa che, qualora applicata, sarebbe rivoluzionaria: «Con il denaro che si impiega nelle armi in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa».

Ritorna il sogno di Raoul Follereau che in piena Guerra Fredda chiedeva a russi e statunitensi di dargli l’equivalente del costo di due soli bombardieri. Tanto sarebbe bastato, sottolineava, per curare tutti i malati di lebbra del mondo. Ma anche il sogno di Madre Teresa di Calcutta che ai potenti della Terra diceva: «La gente non vuole armi, ma pane», «non vuole bombe, ma solo stare insieme, amarsi gli uni gli altri».

Venendo ai nostri giorni, con un’argomentazione logica che non lascia spazio a scappatoie, il Papa nel giorno di Natale dell’anno scorso ha osservato che «per dire no alla guerra, bisogna dire no alle armi. Perché, se l’uomo, il cui cuore è instabile e ferito si trova strumenti di morte tra le mani, prima o poi li userà». E queste armi le sta usando, purtroppo, avviluppato in un tragico circolo vizioso per cui più ci si sente insicuri, più si comprano armi. Proprio questa escalation non fa che deteriorare la nostra percezione sul futuro che ci appare sempre più incerto e oscuro.

Le denunce del Pontefice non rimangono nella sfera della teoria, ma trovano corrispondenza concreta nei dati allarmanti sulle spese per gli armamenti. Per il Rapporto sipri , l’Istituto internazionale di ricerca per la pace di Stoccolma, mai — dalla fine della Guerra Fredda — si è speso così tanto in armi. E mentre le organizzazioni umanitarie fanno sempre più fatica a recuperare fondi, i grandi gruppi militari-industriali vedono crescere i loro profitti esponenzialmente.

A contrapporsi ancora una volta sono dunque la cultura della vita e la cultura della morte, come già aveva profeticamente preconizzato Giovanni Paolo ii . Una contrapposizione su cui si gioca gran parte del destino dell’umanità. Sta a noi, ognuno di noi — non si stanca di ripetere Francesco —, scegliere se lasciare alle future generazioni un pianeta che sia Casa comune di tutti o un deserto senza vita di nessuno.

di Alessandro Gisotti