· Città del Vaticano ·

Lezioni di pace Arrivare in Canada portandosi dietro solo il dolore

La fede di un cuore che non guarisce mai

 La  fede  di un cuore  che non guarisce mai  ODS-022
01 giugno 2024

In Canada arrivano molti rifugiati e immigrati. Ufficialmente, nel 2023 sono arrivate quasi 500.000 persone. Le vediamo ogni giorno nella nostra comunità di Toronto. Lavorano come volontari e portano un nuovo desiderio di vita e di speranza. La loro voglia di vivere è contagiosa. La maggior parte ha dovuto lasciare la famiglia, talvolta anche figli e genitori.

«Non è difficile?», ho chiesto a una giovane madre che ha lasciato tre figli, tra cui due gemelli, e un marito. «Sì, è molto difficile», risponde emozionata, seppur contenta di poter parlare di loro. «La guerra non ti lascia altra possibilità. Spero di portarli qui quando mi sarò sistemata. Parlo con loro ogni giorno».

L’Etiopia, il paese dal quale proviene, è divisa e divisa è anche la Chiesa. Tutto ciò avviene a causa della guerra civile. Lo vediamo
pure a Toronto, dove la comunità etiope è al suo interno piuttosto frammentata. «Sapete quanta violenza subiscono le persone lì? Quasi tutti coloro che vengono qui hanno perso un genitore o un figlio a causa della guerra. È una follia.
Non posso dirvi quello che ho sentito in patria su torture
e altre cose del genere»,
dice Mimi, impegnata dalle 5
del mattino nel preparare la colazione nella nostra mensa comunitaria per i senza dimora di Toronto.

«Stavo parlando con una persona arrivata da poco in Canada che ha perso la maggior parte della sua famiglia durante la guerra. Ormai convive con questa rabbia. Odia così tanto i suoi nemici che, persino qui, la rabbia non la lascia mai. Non ha pace. Pensa che un giorno esploderà. Non so cosa significhi. Ho paura per lui».

Tuttavia, non è solo l’Etiopia
a sperimentare la guerra. Sembra che tutti i rifugiati arrivati ultimamente siano stati toccati da questa forma di male capace di sedurre i cuori di molti a spese della vita di tanti fratelli e sorelle.

Nella nostra comunità, i tamil arrivati dallo Sri Lanka
portano profonde cicatrici causate dal conflitto civile. Molti
di loro sono segnati da un vero e proprio trauma che non sono
in grado di curare e il più delle volte finiscono per strada, sono vittime dell’alcol, tentano il suicidio,
lasciano intere famiglie distrutte. Per questo, la loro stessa comunità volta loro le spalle.

Ne conosciamo i nomi e insieme spezziamo il pane, vivendo la paura di vedere un giorno il loro nome sui giornali. Succede tanto spesso che la guerra sembra vincere sempre, anche quando non c’è più.

C’è però, all’interno di queste ferite che sembrano non guarire mai, una forma di fede che cerca
il rispetto genuino e risponde con gratitudine a qualsiasi forma
di compassione. Quale tipo di fede
è questa, proveniente
da un cuore che non guarisce
mai e da un’anima che ha visto il male in faccia?

Questa fede, nata da una vita sconfitta, mi ha fatto ricordare il caso di Dylan. Era un ebreo adottato da genitori tedeschi che parlavano, tra le altre lingue, l’ebraico, il greco antico e il latino. Era solito interpretare per noi i salmi in tutte queste lingue e insegnarci il loro significato.

Aveva combattuto nell’esercito israeliano ed era finito per strada
a causa della sua dipendenza dall’alcol. Per questo motivo aveva perso la sua famiglia e, alla fine
dei 60 anni, girava per le strade
di Toronto. Ricordo che, quando
la Corte Suprema decise di legalizzare l’eutanasia in Canada,
mi confessò piangendo che considerava questa decisione un grande male. «Prima — mi disse — ho pensato molte volte che la mia vita non valesse più la pena di essere vissuta. Ho fallito di brutto. Ma mi sono sempre ricordato che questo è un pensiero malvagio e che non dovrei pensarla così. Oggi, però, con la legalizzazione dell’eutanasia, mi sento dire che sono un vigliacco se non la faccio».

La Corte suprema del Canada ha legalizzato l’eutanasia nel 2015. Da allora 44.958 persone sono morte per questo motivo (secondo le statistiche del 2022).

Quando è diventata legale, poche persone hanno capito il male che si stava insinuando. Dylan
era uno di loro. Aveva troppe ferite e non poteva farsi sedurre di nuovo dal male con la tentazione della morte.

La fede delle persone che hanno conosciuto il male a causa della guerra ci aiuta a capire il fallimento di una società basata sull’idea secondo cui la morte possa essere un’opzione se la vita non è abbastanza buona.

Bob ne è icona perfetta. Suo padre aveva una carriera militare in Eritrea e lui lo ha seguito.
«C’è pace ora nel tuo Paese?». «No, non c’è mai pace lì», ha confessato. «C’è sempre qualche tipo di guerra. Dopo un po’ me ne sono andato
e sono rimbalzato da un Paese
all’altro. Sono finito in Canada
e qui ho capito cosa mi hanno fatto la guerra e la vita che facevo.
Ora sto cercando di cambiare.
È molto difficile. Tutti i giorni vado in chiesa, prego e digiuno fino alle 15. Questo mi ha aiutato: pregare ogni giorno e digiunare. Continuerò a farlo».

Anche Bob viene a confessarsi quasi tutti i giorni. I nostri incontri sono molto brevi. Se lo si guarda negli occhi si ha paura
di scoprire la sua anima a causa di ciò che ha vissuto. Ma se non avete paura, vedrete una nuova fede che potrebbe essere la cura per una società tentata dall’illusione della morte.

di Nicolaie Atitienei *

* St. John the Compassionate Mission
Toronto