· Città del Vaticano ·

Lezioni di pace La storia di Mirra che sa cosa vuol dire avere paura e vivere in povertà ma non conosce il rancore

Come Dio fa le sue cose

 Come  Dio  fa le sue cose  ODS-022
01 giugno 2024

Guardo l’orologio: sono in ritardo. Per colpa di quelli sono in ritardo. Ma dove sta ’sto posto? Via delle Botteghe Oscure, via del Plebiscito, via del Collegio Romano… perfetto, mi sono persa. Che poi che nome è Centro Astalli? dico alla collega che ho chiamato appena uscita dall’ufficio: oggi ci sono stata pochissimo, giusto il tempo di prendere i documenti per l’intervista, e non appena arrivo li trovo lì, in fondo al corridoio: ridono, scherzano, si divertono. Lavorare mai?

Non lo dire neanche per scherzo! Sai,
le dico, a un certo punto ho sentito quello — ormai non lo chiamo
neppure per nome — tossire
sempre più forte, sembrava si stesse strozzando. La prima cosa che ho pensato, la prima cosa è stata: Magari muori!
E nel dirlo sento ancora l’odio che mi brucia le labbra. Scusa, adesso
ti devo lasciare che sono arrivata,
e di fronte a una porticina mi
fermo.

Al Centro Astalli intervisterai una persona che ti parlerà della guerra, mi hanno detto in ufficio e io avrei voluto dirgli: Io la guerra ce l’ho dentro.

Non appena varco la soglia sento qualcuno dal basso che dice: Attenta ai gradini! La voce è di una donna.
La donna si chiama Mirra.
È il diminutivo di Miriam. Come Miriam Makeba! dico. Come la madre
di Cristo
, dice lei. Ah sì, giusto, anche quella si chiamava Miriam.
La donna di nome Mirra indossa una maglietta a maniche corte mentre io sto ancora col golfetto
di lana. Nel mio paese,
mi dice, l’inverno non esiste, e io immagino un luogo dove non esistono le notti al freddo ad aspettare il notturno, non esistono i venditori di rose che mezzi addormentati salgono su quel notturno e si mettono lì, in fondo, vicino al motore, solo per sentire caldo. Dev’essere un paese bellissimo: come si chiama? Repubblica Democratica del Congo, dice Mirra e io faccio
un cenno di assenso mentre
nella mia mente colloco questa Repubblica di non so cosa in qualche punto a caso sulla cartina dell’Africa, io di quel continente so solo dov’è il Sud Africa, e solo perché si trova giù in fondo e non puoi sbagliarti, e forse perché del Sud Africa se ne parlava per l’apartheid, anche se adesso non se ne parla più, in fondo quand’è che si parla di Africa?

È per la guerra che sei andata via? le chiedo. Mirra fa un sospiro, poi dice: per le guerre.

Non so se tutte le storie di guerra siano uguali, se tutte si riassumano in un’identica trama dove cambiano solo i protagonisti, so
che tutto quello che io conosco
della guerra l’ho imparato sui libri, in quella distesa di conquiste e conflitti che è la storia, almeno, la nostra, forse noi sappiamo fare solo questo: odiarci, aggredirci, urlare: Magari muori! e infine disperarci quando, ormai, è troppo tardi. Ma se mi aspettavo di ascoltare la solita storia fatta di atrocità e machete e stupri e cadaveri, Mirra mi racconta l’altra faccia della guerra. Eravamo una famiglia agiata e non lo sapevamo, mi dice e parlando di quegli anni non si sofferma mai su ciò che ha perso, mi parla di quello che ha fatto, quello che abbiamo fatto dopo aver perso tutto. Mi racconta di quando il pomeriggio, tornata da scuola, si toglieva la divisa e assieme alla mamma andavamo al mercato a vendere l’acqua. Vendere l’acqua? Sì, ogni giorno io e mia madre andavamo al mercato, lì, a volte, poteva capitare di incontrare un compagno di classe, mi dice Mirra, poi, fa una pausa, e in quel silenzio io vedo un mercato fatto di polvere e sopravvivenza, in questo mercato è appena arrivata una bambina con sopra la testa un secchio pieno d’acqua, di colpo il suo sguardo incrocia quello di un altro bambino che sulla testa non porta nulla, se non un cappello, anche lui tornato da scuola si è tolto la divisa e ha detto alla mamma: io vado al mercato, e adesso è lì, e anche lui vede qualcosa che lo colpisce,
vede la sua compagna di classe, con la divisa sembravamo tutti uguali, ma non lo eravamo, e anche
se il giorno dopo a scuola
il bambino non la prenderà in giro, non la additerà al resto della classe: Mirra è così povera che va al mercato a vendere l’acqua, anche se quel bambino non farà nulla
di tutto questo, perché è solo un bambino e non ha ancora imparato la cattiveria del mondo, la bambina che non si vergogna di nulla
perché non c’è nulla di cui vergognarsi in quello che fa, in quel momento, in quello sguardo
la bambina si sente di colpo piccola, dice Mirra rompendo il silenzio.

Poi prosegue nel suo racconto di guerra e mi dice che ha vissuto la fame, la violenza, la privazione, eppure quando mi parla io non vedo una vittima, vedo una donna che sulla propria pelle si è fatta carico della vita nella sua interezza come da bambina si faceva carico di un secchio pieno d’acqua.

Solo una volta la sua voce si rompe: Domani, dice Mirra, poi si interrompe come se una granata fosse caduta su quella parola, Domani sono ventotto anni che mio padre è morto, dice. Poi, non dice più niente, e per un secondo, solo un secondo, sono tentata di metterle una mano sulla spalla: Mi dispiace. Resto ferma. È stato ucciso in guerra? No, dice lei, poi mi guarda: L’ho deluso, dice. Tu? Tu deludere qualcuno? Tu che non deleghi a nessun altro la tua sconfitta, e la tua salvezza la affidi solo a Dio, perché Lui c’è sempre, mi dici, e io vorrei dirti:
Sì, sempre da un’altra parte, sempre troppo occupato in chissà
quale dei suoi progetti. L’ho deluso, ripete la voce, non ho realizzato
i miei sogni. Non ancora, la correggo. Mirra mi guarda: Se ci fosse stato mio padre, se ci fosse stato lui le cose sarebbero andate diversamente.

Cara Mirra, è inutile dirti:
È stata la guerra a distruggere tutto, perché tu non mi credi e senza parlare mi correggi: La guerra
viene dopo, la guerra può accadere perché è molto più facile dare la colpa agli altri, molto più facile odiarli, ferirli, urlargli: Magari muori! mentre quelli si strozzano piuttosto che trovare in te stessa la ragione per vivere e vedere Dio in tutte le cose, non solo quando vinci all’enalotto. Ma chi ha mai vinto all’enalotto!

E poi, questo tuo Dio, cara Mirra, ma chi l’ha visto? Tu.

Mirra, tu lo vedi nella fame, nella privazione, nella sconfitta, lo vedi nei secchi pieni d’acqua che ti pesano sulla testa ancora troppo piccola per certi pesi, Mirra, tu vedi Dio in un viaggio di dodici giorni tutti ammassati come bestie per raggiungere la vostra nuova casa fatta di paglia, vedi Dio in una gravidanza inattesa, in tua madre che ancora se ne dà la colpa: non ti dovevo lasciare così esposta in quel mercato con quel secchio pieno d’acqua sulla testa.

Tu vedi Dio in tuo padre che un venerdì sera si mette in tasca il fogliettino con i piccoli sogni dei miei figli che il giorno dopo cercherà di realizzare, e la mattina dopo,
appena alzata, tu indossi le ciabatte di papà e non fai a tempo
a metterle che subito pensi: tra poco lui si alza e gliele devo ridare.
Lui non si alza, lui muore col fogliettino dei vostri piccoli sogni ancora in tasca e un urlo squarcia la casa di paglia: tua madre che piange disperata, e in tutto questo, in tutto questo tu vedi Dio? E io? Io che Dio non lo vedo neppure nei crocifissi?

Un’ultima cosa, le dico mentre risaliamo i gradini del Centro Astalli, per rituffarci nella vita, Che cosa ti ha tolto la guerra e che cosa ti ha dato? Mirra ci pensa qualche secondo: Mi ha tolto la possibilità di essere dove vorrei essere, anche se ancora non so qual è quel luogo, io so che non c’è più.

E cosa ti ha dato, le chiedo,
se ti ha dato qualcosa? Senza incertezze, dubbi, esitazioni Mirra dice: La guerra mi ha dato il senso di responsabilità, l’umiltà,
i valori morali, mi ha dato
la capacità di vedere gli altri, di mettermi nei panni degli altri, perché come dicevamo quando scoppiò la guerra: se si deve morire si muore insieme.

E mentre ritorno alla mia vita, mentre ritorno alla mia guerra io mi chiedo: e se si deve vivere, si vive insieme?

di Violante Sergi