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Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-022
01 giugno 2024

Le lacrime dell’eroe invincibile

Sono sempre i poveri a pagare il prezzo più alto delle guerre.

Quando ero adolescente, ho conosciuto molti uomini che avevano combattuto durante la seconda guerra mondiale. Agli occhi di un ragazzino come me apparivano come degli eroi invincibili. Ma, ogni tanto, mentre raccontavano le storie di marce e di combattimenti, vedevo scendere sulle loro guance una lacrima. Li guardavo e mi domandavo il perché di quelle lacrime. Non era forse vero che gli eroi non piangono mai?

Oggi, che ho i miei anni e le mie esperienze, do un significato diverso a quelle lacrime. Ci vedo la rabbia, lo sconforto, il dolore, il rimorso per quanto avevano visto e avevano fatto. Immagino le loro notti insonni, passate a pensare e a ripensare. Probabilmente qualcuno di loro aveva ucciso un altro essere umano la cui unica colpa era quella di indossare una divisa diversa, persone di cui non conoscevano il nome, ma che, come loro, avevano una moglie e dei figli.

La guerra è un abisso dal quale è impossibile risalire senza portarsi nell’anima ferite così profonde che non basta il tempo di una vita per poterle guarire.

Domenico

Amore e pace
vanno a braccetto

In questi tempi la parola pace sembra passata di moda. La si sente pronunciare sempre di meno e quando accade in tv, sui social, per la strada… è come se fosse buttata lì, come fosse un sogno, un’utopia, un pio desiderio al quale, in fondo, non si crede abbastanza.

Occorre, invece, meditare sul vero significato della parola pace. Gesù ha detto: «Vi do la mia pace, ma non come la dà il mondo». La pace alla quale Gesù si riferisce è la pace dei cuori. Se non abbiamo amore nel cuore e non lo doniamo al prossimo non potrà esserci vera pace, perché la pace è uno dei frutti dell’amore del cuore.

Amore e pace vanno a braccetto, come la fede nuziale con il dito anulare. Perciò dobbiamo vivere con l’amore e la pace del cuore e nel cuore e riempire d’amore e di pace ogni nostra azione, ogni nostro pensiero, ogni nostra parola. Se ogni essere umano, anziché pensare solamente al profitto e al guadagno economico e finanziario, mettesse al primo posto l’amore e la pace del e nel cuore, l’umanità intera sarebbe pervasa di bene e si vivrebbe in pace.

Tutto torna nell’insegnamento di Gesù. Occorre discernimento. Gesù, nel suo predicare per il mondo, ha sempre una parola d’amore per i poveri. Sono loro i primi ad aver bisogno di amore e di pace per poter essere riconosciuti nella piena dignità di figli di Dio e di nostri fratelli e sorelle. Ma la povertà alla quale Gesù si riferisce è una povertà a 360 gradi, che riguarda la mancanza di beni materiali, ma anche di amore, di solidarietà, di amicizia, di vicinanza. Tutti siamo poveri e tutti abbiamo bisogno di amore e di pace.

Quando un film
di Alberto Sordi
mi aprì gli occhi

Mi sento uno degli esseri umani più fortunati di tutti i tempi. Sono uno di quelli nati qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale e, da allora, le guerre le ho viste solo sui giornali e alla televisione.

Gli anni della mia gioventù sono stati meravigliosi. Allora non me ne rendevo conto, ma era così, soprattutto se paragonati a quelli delle generazioni che mi avevano preceduto. Erano gli anni del boom economico: tutto sembrava possibile e facile. Troppo facile. Da studente ribelle qual ero, anche io partecipai alle contestazioni: ci interrogavamo, volevamo capire. Anche quel benessere conquistato con tanti sacrifici dai nostri genitori ci sembrava un po’ finto.

Mi ricordo, avevo 21 anni, un film del grande Alberto Sordi: «Finché c’è guerra c’è speranza». Quando lo vidi mi si aprirono gli occhi su uno scenario nascosto ai più: giri di denaro stramiliardari intorno al traffico delle armi. Più se ne producevano, più andavano consumate. Quindi le guerre erano necessarie e potentissime case di produzione si davano un gran da fare per provocare guerre in giro per il mondo, fomentando e corrompendo potentati locali.

Il film del grande Albertone metteva in evidenza come di fronte al denaro, anche se sporco di sangue, si possono chiudere gli occhi.

Sono passati 50 anni da quel film e le cose non sono cambiate. Gran parte dell’Occidente, consapevolmente o inconsapevolmente, continua a vivere nella bambagia grazie anche a chi muore sotto le bombe o è falciato dai più sofisticati strumenti di morte che oggi vengono prodotti. L’industria delle armi non conosce crisi. Anzi. Potenti quanto e più di banche e case farmaceutiche, queste fabbriche di morte non hanno scrupoli. Conoscono i punti deboli delle nostre società consumistiche, ingorde di denaro e di ogni genere di inutile e costoso giocattolo per piccoli e adulti.

Anche se gli anni comincio a sentirli, ritorna in me lo spirito dello studente ribelle. E non importa se mi etichettano come idealista o sognatore. Io non mollo! A 71 anni, acciaccato dai malfunzionamenti dell’età, ancora urlo e continuerò ad urlare: «No alla guerra. Sì alla pace». Il contestatore che è in me non vuole morire.

Il videogame finirà

Da ragazzi, quando si giocava, se per caso colpivi qualcuno che non poteva difendersi dovevi pagare un pegno. Oggi la situazione è opposta: la sanzione ce l’hai se non colpisci l’avversario.

Viviamo in un tempo dominato da pressapochisti, ad iniziare dal vicino di casa.

Il videogame è azionato contro chi non può difendersi e il linguaggio è solo vendicativo.

La codardia è la violenza dei pressapochisti.

Ma non vi preoccupate: il videogame terminerà con la fine della razza umana e del creato e di tutto il pianeta mosso dalle ideologie e dagli olocausti in nome delle idee.

La guerra
e la pace di Ciro

C’è un grande testo di Fabrizio De André – «La bomba in testa» – che inizia così: «E io contavo i denti ai francobolli. Dicevo: “Grazie a Dio, buon Natale”. Mi sentivo normale. Eppure i miei trent’anni erano pochi più dei loro. Ma non importa, adesso torno al lavoro…».

Stavo ascoltando questa canzone qualche giorno fa in stazione mentre osservavo i passanti, tante persone frustrate, arrabbiate… perché vittime di un sistema che non va, che ti spinge a volere sempre di più.

Io ho vissuto una grande guerra, una guerra interiore. La guerra di Ciro è durata parecchi anni. Di giorno mi mettevo in trincea, la notte, invece, mi mettevo a bombardare. Le grida erano le mie bombe, le botte i carri armati. Quanti ne ho presi inutilmente e quante bombe mi sono avanzate.

La mia guerra — con un nemico che stava dentro di me, ma anche fuori di me — è finita nel 2019 con la caduta e la disarmonia di alcune persone che mi stavano attorno e con la mia caduta (dal secondo piano di un ospedale).

Alla fine, nella guerra di Ciro ha vinto Gesù. E Gesù vince sempre tutte le guerre, quelle interiori e quelle mondiali. Il male è in un sistema che non va, che rende la persona un finto guerriero, uno schiavo senza più umanità. Ci vuole comprensione per tutti e da tutti. Così si può tornare alla normalità. Io l’ho cercata questa normalità e alla fine l’ho trovata.

La preghiera
dei carcerati

Chi pensa alla pace? Sembrerà strano, ma nelle carceri ogni domenica, durante la Santa Messa, si prega per la pace. È un’invocazione corale e per niente di facciata. Chi è in carcere ha già combattuto la sua guerra contro la legge, ha messo in discussione la vita di altre persone, ha concorso al peggioramento della qualità della vita. Ogni detenuto, la sua guerra l’ha vissuta e ne è uscito sconfitto. Ma in carcere ha la possibilità — se lo vuole — di ritrovare la pace anzitutto con se stesso e, poi, con la famiglia (che è la prima a soffrire) e poi con la società.

Pace, dunque, dentro di sé, e auto-responsabilizzazione in un percorso suggerito e guidato da educatori, psicologi, agenti della Penitenziaria. Il carcere può offrire (ma purtroppo non è sempre così) l’occasione per intraprendere la strada del proprio miglioramento attraverso il lavoro, lo studio, lo sport, la lettura, le occasioni culturali, il volontariato.

In questi ambiti il carcere aiuta il detenuto a diventare un uomo che riesce a guardare a un suo “dopo” senza buio.

Credetemi, è importante che il sistema carcerario abbandoni l’idea dei cancelli e delle celle chiuse per diventare un luogo che fa crescere o, meglio, rinascere le persone. Oggi, purtroppo, solo la Costituzione afferma questo e poche, poche realtà in Italia rispettano il dettato della Carta repubblicana. Solo recentemente il legislatore ha introdotto il tema della giustizia riparativa. Si tratta di un provvedimento importante, una scommessa da riempire di contenuti e soprattutto da far conoscere e applicare.

Le oltre trecentomila persone che sono alle prese con il sistema giustizia, o ingiustizia, in Italia, devono poter riprendersi il tempo della pace. E le carceri devono divenire il luogo dove si ricomincia a guardarsi per ridare a sé e agli altri la pace che, spesso, in noi detenuti è stata violata.

Non servono bombe atomiche
ma di amore

Mai come ora si è tornati a parlare di bombe atomiche. Ma per ottenere la pace bisogna parlare d’amore, non di bombe.

Il diritto alla vita appartiene a tutti ed è inviolabile. Oggi questo diritto appare appeso a un filo sottilissimo che potrebbe essere reciso da un momento all’altro. Per questo è importante far conoscere alle nuove generazioni il progetto Manhattan e le conseguenze dell’uso delle bombe atomiche. La storia degli hibakusha (i sopravvissuti alle bombe di Hiroshima e di Nagasaki) ne è una prova drammatica. A causa delle loro condizioni fisiche e del contagio da uranio, queste persone furono espulse da ogni centro abitato.

Negli anni passati si è fatto tanto per cercare di abolire l’uso delle armi nucleari. Ma non è bastato.

Diffondiamo l’amore, che di odio, sofferenze e dolore è pieno il mondo!

È bello
fare la pace

La pace è una ricerca. La continua ricerca della pace. «Lasciami in pace... Voglio stare in pace... Sto in pace... Che pace!». Usiamo il termine pace come sinonimo di benessere, di serenità pur essendo ovunque circondati da venti di guerra. Siamo stanchi della guerra e voglio pensare e credere che la guerra esista solo per farci desiderare la pace. Sì, perché è bello fare la pace.

Daniele

Elio

Attilio

Ciro

S.C.

Tonino

Arcangelo